Ambiente e Natura

Da Ischia, dopo il terremoto

Riceviamo in Redazione da Giuseppe Mazzella di Rurillo – destinatario del messaggio del sindaco di Ponza da inoltrare a tutti gli ischitani (leggi qui) – , e volentieri pubblichiamo.

 

Terremoto a Ischia: il contributo del Prof. Giuseppe Luongo (*)

Due epicentri (uno a mare ad occidente di Forio e l’altro a mare a Nord di Lacco Ameno-Casamicciola). Due profondità ipocentrali (10 Km per l’epicentro a ovest di Forio; 5 Km per l’epicentro a Nord di Lacco Ameno-Casamicciola). Magnitudo (4.0) ritenuta bassa rispetto ai danni rilevati.

Da questi dati risulta necessario produrre una riflessione sull’evento e sulla sua interpretazione. Provo a fornire un mio contributo su quanto accaduto, nella speranza che si possa aprire un dibattito su un quadro fenomenologico che appare del tutto complesso.
La diversità dei due epicentri può essere ricondotta ad una diversità di modello geologico utilizzato (velocità delle onde sismiche nel sottosuolo) e alla distribuzione delle stazioni sismiche utilizzate per la localizzazione.
Entrambi i dati sull’epicentro non giustificano gli effetti osservati a terra. Infatti un epicentro in mare dovrebbe produrre sulla costa danni della stessa entità (se non maggiori) di quelli osservati nell’entroterra (Casamicciola alta: Piazza Bagni; Maio; La Rita; Fango) tenuto conto che nelle due aree (costa e zona interna) le caratteristiche meccaniche dei suoli sono del tutto simili e lo stesso può dirsi delle tipologie costruttive. Ma ciò non si osserva in quanto i danni sulla costa sono insignificanti rispetto a quelli della zona interna.
Con tale scenario è poco verosimile che l’epicentro sia in mare.
D’altronde la sismicità storica dell’isola ha sempre rilevato che la sorgente che ha generato i terremoti è localizzata al bordo settentrionale del monte Epomeo, ovvero proprio nella zona dei danni osservati in questo ultimo terremoto.
Quindi la localizzazione epicentrale ottenuta con la strumentazione sismica è in contrasto con l’epicentro dei danni. Questa differenza ritengo sia dovuta alla distribuzione delle stazioni sul continente, mentre l’epicentro è fuori rete.
In queste condizioni il calcolo effettuato sui dati registrati tende ad avvicinare l’epicentro alle stazioni in terraferma.
Ancora, la profondità ipocentrale appare inferiore a quella determinata con i dati strumentali (5-10 Km). Quest’osservazione si basa sulla ridotta dimensione dell’area interessata dai danni di maggiore intensità e sull’elevato gradiente geotermico dell’isola (150 °C/Km). Questo valore del gradiente indica che la temperatura a 3 Km di profondità risulta superiore ai 400°, temperatura alla quale le rocce a quella profondità non hanno più un comportamento fragile, ma duttile e quindi non rispondono con fratturazioni (e quindi terremoti) agli sforzi tettonici (cut-off sismico).
In buona sostanza la profondità ipocentrale deve ritenersi inferiore ai 3 Km, dato coerente con la distribuzione dei danni.
Infine, il tormentone “magnitudo bassa-danni elevati”. La relazione magnitudo-danni apre un capitolo di ricerca interessante perché potrebbe significare che, in casi di strutture geologiche come quella di Ischia (area vulcanica, sismicità superficiale, suoli particolarmente fratturati, bassa rigidità delle rocce affioranti), sia inadeguata in quanto “tarata” in aree con caratteristiche geologiche e sismiche del tutto diverse.
Questo risultato emerso a Ischia evidenzia che la magnitudo rappresenta in modo sintetico un processo complesso che “cela” gli elementi che concorrono alla sua quantificazione. Infatti tale parametro rappresenta gli elementi geometrici, meccanici e deformativi della sorgente (faglia). Nelle aree vulcaniche generalmente i terremoti hanno sorgenti di piccola dimensione (diffusa fratturazione) e bassa rigidità (terreni sciolti o poco cementati).
Quindi a parità di magnitudo, rispetto ad aree tettoniche ad elevata sismicità, nelle aree vulcaniche la deformazione (movimento relativo dei blocchi separati dal piano di faglia) è significativamente più elevata, proporzionalmente al più basso valore delle superfici di rottura e della rigidità del mezzo.
Infine un’ultima considerazione. Nelle aree con ipocentri a piccola profondità, come il caso in esame (profondità ipocentrale 1-2 Km), l’energia liberata dalla sorgente trova poca resistenza dalla copertura e quindi le rocce tendono ad essere spinte verso l’alto, producendo deformazioni notevoli in superficie. Il fenomeno tende a caratterizzarsi come un’“esplosione”.
La notizia odierna. Una replica di magnitudo 1.9 è stata localizzata sull’isola. Questo dato confermerebbe l’ipotesi che l’epicentro della scossa principale sia da localizzare sull’isola. Naturalmente potrebbe obiettarsi che si è in presenza di una migrazione della sismicità. In tal caso la sorgente avrebbe dimensioni ragguardevoli.

(*) Giuseppe Luongo – Professore Emerito di Geofisica della Terra Solida
Università degli Studi di Napoli Federico II

 

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