Ambiente e Natura

Racconti d’estate (2). Tutti pazzi per Pupi

di Francesco De Luca

 

La si vedeva passare sul Corso di mattina. Sbucava dal grottone di Pascarella col cagnolino nero al guinzaglio. Prendeva posto ad un tavolino del Maga Circe. Vittorio ‘i Luca le faceva la prima attenta fotografia. Mora, alta, maglietta a mezze maniche e pantaloncini corti, ai piedi sandali con un leggero tacchetto. I capelli tirati su davano risalto al collo e all’altezza. Di carnagione scura. Imponente nella persona.

Lasciava la farmacia del padre don Luigi D’Atri, Silverio, dottorino di fresca laurea e sbirciava.

Nella Piazza, ovvero il tratto che va dal bar Tripoli alla salita Musella, si parlava dimesso nei gruppi di persone che facevano finta di essere attenti alle barche in uscita o in entrata nel Mamozio. In verità si infiorettavano commenti su di lei, Pupi. Così la chiamava il marito o l’accompagnatore. Un maturo signore. Si diceva fosse un rinomato pittore.

Anche lui, dopo una mezzoretta, lasciava l’arco di Pascarella e la raggiungeva. Capelli brizzolati, più avanti negli anni, corporatura prestante. Avevano preso casa sugli Scotti di Basso.

Si portavano giù dove Ciro Iacono costruiva le barche. Insieme a Maurino approntavano una barchetta a remi. E fino a quando non si escludevano alla vista, Ernesto Prudente, Silverio D’atri, Giuseppe De Luca si intrattenevano a commentare quella coppia che muoveva le assolate giornate estive.

Ponza era una scoperta per i romani, quelli più avveduti, quelli più vogliosi di emozioni genuine. L’arcipelago si apriva, senza alcun ostacolo, al godimento dei turisti.

Sì, ancora era presente nell’opinione nazionale: “Dove? A Ponza? Ma non c’è il carcere?”

No, non c’era nessun divieto e la corsa della nave Anzio-Ponza lo confermava. E l’isola si dava agli sguardi stupiti di chi impiantava il suo treppiedi e si metteva a disegnare gli scorci con la Torre dei Borbone a troneggiare, o i vicoli che si imbucavano e sparivano… per poi ritornare visibili più in là.

La gioventù isolana aveva le sue punte di diamante in coloro che ho menzionato. Ernesto, insegnante, e già presente in tutto quanto si muovesse nell’orizzonte isolano, fossero notizie, bravate, incontri sentimentali. Silverio D’Atri col fratello Benito, erano dottorini in procinto di spiccare il volo. Belli, vivaci. C’era Michele Martinelli, studente in medicina a Napoli, aitante, prestante, simpatico. Seguiva Giuseppe De Luca, universitario, ottimo sub, fisico sportivo.

Pupi sì, Pupi faceva girare gli occhi e la testa a più d’uno in quel microcosmo che attendeva l’occasione per rompere la scorza di paese ingrugnito dalla povertà e dalla ristrettezza.

Nel pomeriggio poi, Pupi e il compagno facevano la passeggiata fino a Chiaiadiluna, da sempre attrattiva per i tramonti.

Il cagnolino talora era osteggiato dai cani locali, tutti da caccia e perciò, dato il periodo, inattivi e liberi.

Nel pomeriggio Pupi si presentò in farmacia col barboncino in braccio. Aveva avuto un contrasto con Ulisse, il cane di Temistocle, il panettiere. Il forno era ubicato in via Corridoio e di lì passava Pupi per salire sopra gli Scotti.

Silverio D’Atri era in farmacia. Visitò il cane e tranquillizzò la padrona che, da quel giorno, aveva con chi dialogare che non fosse Clorinda, dove comprava l’occorrente per la cucina o zì Ceccio, che giù al Mamozio affittava il barchino.

“Attenzione che si sciuleia” – avvertiva zì Ceccio all’atto di imbarcare. Sullo scalo del Mamozio infatti il fondo era scivoloso per le alghette. Da sopra il cornicione tutti attendevano uno scivolone di Pupi per… vedere qualcosa in più del lecito, e invece scivolò il compagno.

Di nuovo in farmacia e di nuovo Silverio a rassicurare e a dare pomate. Pupi premurosa ma anche gioviale, Silverio rigoroso ma anche amicale.

Al tavolino della Maga Circe al mattino prendevano la colazione tutti e tre. Fornendo ai curiosi materia per commenti verdi di invidia.

L’isola aveva in questi episodi momenti di sana agitazione che nell’inverno di solitudine avrebbero trovato spiegazione.

“Oggi il levante non ci fa uscire con la barca, – disse l’uomo – dove ci consigli di andare, Silverio ?”

“Beh – rispose – andate a Chiaiadiluna. Lì sarà sicuramente buono”.

“Certo, come ho fatto a non pensarci…”

In due pezzi Pupi era uno spettacolo, perché aveva le ridondanze giuste nei posti giusti. La sua presenza aggiunse alla spiaggia, già bella, una grazia maggiore.

La spiaggia era frequentata da ragazze isolane, dai giovani corteggiatori, da qualche mammina con i piccoli e da tanti ragazzi. Un pubblico modesto. Al mare soltanto per alleviare la calura e per intrattenersi con quella presenza che per lunghi mesi mugugna e atterrisce. Al mare, per giocare col mare. A Pupi il mare offriva un’ ulteriore occasione per mettere in mostra le grazie di cui l’aveva dotata madre natura. Con generosità.

Il clima paesano era sereno e poi, si sa, l’estate non agita gli animi, li sopisce. Ma qui era stata messa in agitazione tutta la sfera ormonale della gioventù ponzese.

Fu così che in quella mente pirotecnica di Ernesto nacque un’idea.

Due giorni dopo Pupi col barboncino scese sul Corso e si recò direttamente in farmacia. Ne uscì con Silverio e furono inghiottiti dal vortice dei vicoli bianchi. La stessa cosa accadde nel pomeriggio.

A controllarne le mosse c’era il gruppo con Ernesto, Peppino, Aristide. Tentavano di controllarle ma non più di tanto. La cosa non sembrava ispirata dall’invidia. Anzi. Tanto è vero che, dopo un giorno, non ci fu più l’attesa di vedere le mosse della coppia.

I due si muovevano sicuri, in barca la mattina, ritorno per il pranzo, passeggiata la sera, al Lanternino, sul piazzale di Chiaiadiluna. E l’accompagnatore? Assente per quattro giorni, ritornò deluso. Era stato convocato d’urgenza a Roma, in veste di partecipante alla Mostra d’arte Quadriennale.

Confidò poi a Pupi che a Roma nessuno sapeva niente della Mostra. Aveva incontrato il Direttore generale del Ministero della Pubblica Istruzione e anche il direttore dell’ Accademia delle Belle Arti ma non aveva trovato riscontro. Aveva mostrato la lettera d’invito ma al Ministero gli avevano detto che il firmatario era in vacanza in Grecia.

La lettera d’invito? Era stata pensata da Ernesto e fatta realizzare da Aristide, che aveva agganci a Roma.

Lo scherzo aveva tenuto il pittore lontano da Ponza, e soprattutto lontano da Pupi.

Milanese di nascita, romana d’adozione, ponzese per amore. Alta, pelle abbronzata, corpo scultoreo, viso dolce ed occhi sereni, con una propensione ad innamorarsi.

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