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Bianchinodi Lucia Galli
Ospitiamo un racconto di Lucia Galli – architetto e collaboratrice di riviste del settore – che coltiva, tra altri interessi, anche il piacere della scrittura e l’amore per Ponza. Questo suo racconto è stato premiato ad una delle passate edizioni del Premio di narrativa “Storie inaspettate” che la FITeL (Federazione Italiana Tempo Libero) annualmente promuove.
Mi avevano diagnosticato un disagio da contatto. Questo almeno secondo le più recenti teorie sul comportamento. Ad una prima valutazione di me stessa mi sembrava difficile da accettare. Venivo a volte accusata di freddezza o di mostrare un atteggiamento distaccato che richiedeva tacitamente agli altri di stare a debita distanza, ma ne ero il più delle volte inconsapevole. Niente di grave, né di patologico. Soltanto una specie di paralisi espressiva che si manifestava nell’impossibilità per l’individuo “malato” di lanciare segnali positivi e non, ai propri potenziali interlocutori attraverso semplici manifestazioni corporee. Degna figlia di una madre che anni prima, in piena esplosione di terapie analitiche (Woody Allen docet), mi aveva chiesto “Ma la psiche esiste?”, davo poca importanza a queste diagnosi guardando con un misto di scetticismo e di rispetto al grande padre delle teorie analitiche, Freud. Poi al mare un’estate ho incontrato Bianchino. Avevo preso in affitto da alcuni isolani un appartamento in una vecchia casa bianca ed azzurra posta su un’altura dell’isola di Ponza.
Comunque, tornando al mio racconto, come tutti gli altri giorni a mattinata inoltrata scendevo “a mare ” insieme al mio cane, il mio Ciro, percorrendo una stradina che si dipanava tra case bianche e vegetazione mediterranea. Man mano che scendevo il caldo si faceva insopportabile, mentre davanti ai miei occhi si presentavano scorci sempre più affascinanti. Credevo che il problema fosse risolto. Ma il piccolo bracco non voleva demordere: gli piacevo e me lo dimostrava in tutti i modi. Una volta arrivati ad un bivio, decisi di svoltare a destra e fu Bianchino, chiameremo così d’ora in poi il piccolo bracco, ad indicarmi un sentiero scosceso tra rocce e cespugli. Andava avanti di pochi passi e tornava indietro a richiamarci, quasi a volerci suggerire di seguirlo. Accettato l’invito, io e Ciro, lo seguimmo per una ripida e pericolosa discesa tra le rocce fino a raggiungere una piccola baia tranquilla dove riposavano alcune vecchie imbarcazioni di pescatori. Mentre il mio cane si tuffava in mare, esprimendo appieno il suo incontenibile piacere di stare nell’acqua, io mi sdraiai in un angolo riparato. Bianchino una volta perlustrata la piccola baia da cima a fondo, si stese al mio fianco cercando di far aderire, per quanto possibile, tutto il suo piccolo corpo al mio. Quel corpicino caldo, certo non emanava profumo di pulito, ma trasmetteva, con una forza espressiva ineguagliabile, la ferrea volontà di istituire con me un preciso contatto. Ecco spiegato che cos’era il contatto! Ad una certa curva Bianchino ci lasciò per raggiungere il gruppo degli altri cani liberi. Il giorno dopo si ripeté lo stesso rituale e così per altri giorni ancora. Bianchino trascorreva la giornata con noi; se ci fermavamo a ristorarci in un bar, ci stava a poca distanza con un atteggiamento timido e riservato. Il più delle volte dovevo convincerlo a raggiungerci sotto l’ombra rinfrescante di qualche pianta nei patii dei ristoranti e dei bar. Ma ormai il reciproco innamoramento era avvenuto e la gente che ci incontrava si stupiva dell’attaccamento che quella bestiola riusciva a dimostrare con un misto di entusiasmo, dedizione e timidezza. Sono partita senza di lui solo dopo aver saputo che era di una famiglia del luogo. Ho conosciuto la sua padrona e mi è sembrata molto “giusta”. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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