di Rosanna Conte
Pieno il bordo piscina, al Santa Domitilla, ieri sera per la presentazione dell’ultimo libro di poesia di Antonio De Luca, Navigare la rotta.
A chiudere il cerchio c’erano il giornalista Paolo Mieli, la critica letteraria Maria Gargotta, l’editore Sandro Teti, il professore Francesco D’Episcopo, che ha insegnato Letteratura italiana, Critica letteraria e Letterature comparate presso l’università Federico II di Napoli, e naturalmente Antonio De Luca.
La serata dedicata a Navigare la rotta è stata un’occasione di riflessione sul mar Mediterraneo, il mare per eccellenza, il mare amniotico della nostra cultura, cronotopo dell’animo dell’autore che in esso ritrova tutto quanto è vita: l’amore, il viaggio, il dolore, l’amore, il mito, ma principalmente l’altro.
Emblematica è stata l’apertura della serata con voci che hanno declamato in una pluralità di lingue mediterranee versi che ci hanno trasmesso, attraverso il ritmo e la musicalità, il senso avvolgente dell’onda ed hanno contemporaneamente fatto percepire in chi le ascoltava la continuità e contiguità dei popoli che si affacciano su quel mare.
Molto articolata la presentazione di Paolo Mieli che ha indirizzato la riflessione verso la casa, quella che Antonio ha giù al Fieno, il suo rifugio, la casa-eremo quella che crea l’isolamento adeguato per la riflessione e la composizione. E se, come ha confermato l’autore, Ponza è la sua Itaca a cui desidera sempre tornare, questa casa ne è il cuore pulsante. Del resto, e noi già lo sappiamo, è il Fieno il luogo in cui affondano le radici culturali di Antonio De Luca. L’antica saggezza contadina e l’amore per la vigna li ha appresi lì, dai vecchi vignaioli e lì l’isola non è isola, ma il luogo da cui si svela il mondo, il luogo in cui si può tracciare la rotta di una vita in viaggio continuo, come quello di Ulisse.
E qui hanno concordato sia il presentatore che il professor D’Episcopo: l’arrivo ad Itaca di Antonio De Luca è gravido di tensione verso la pace, verso l’incontro, a differenza di quello dell’eroe greco che preannuncia la lotta e lo scontro.
Ognuno tende ad avere una casa che sia il ventre materno dove la pace sia vita, simbiosi, poesia.
C’è chi già l’ha trovata, come Maria Gargotta che legge e sente molto della sua città nei versi di Antonio. Napoli è la città del mare e del mito, ma anche della terra e dell’arte, della bellezza e della cultura mediterranea. E’ proprio in Napoli la sua casa-eremo, dove tende ad arrivare e dove non rimpiange l’altrove.
C’è chi se la sta preparando, come l’editore Sandro Teti, che non ne disvela le coordinate, ma non prevede il mare. In una casa-eremo il mare, tremenda forza vitale, anche se non è visibile, è presente nella sua simbologia.
C’è chi ancora non ha trovato dove costruirla, come il professor D’Episcopo, che, nato lontano dal mare, ha vissuto a Napoli ed ora è a Salerno.
Come per molti di noi, la percezione del mare è diventata abitudine. C’è chi sta bene solo a vederlo e quel luogo è la sua casa.
Ma forse per saper ben individuare la propria casa-eremo c’è bisogno del privilegio ricco dell’ozio e i divini doni della follia che appartengono solo al poeta padrone della povertà e della fortuna perché, pur non avendo regole, egli può riuscire a navigare la rotta impescrutabile della vita attraverso la bellezza e la poesia che alitano sulla sua anima.
Quando i suoi versi ci avvolgono nel loro ritmo e nel loro carico di significato e anche noi possiamo intravvedere dove indirizzare la nostra rotta, la poesia diventa Poesia