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Il Mediterraneo e l’Europa. Un altro modo di vedere le cose

segnalato da Sandro Russo
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Sul sito la voce “Mediterraneo” è ricchissima, con circa 500 articoli – 72 schermate, da 7 articoli ciascuna: accedere dai quadratini a fondo pagina, in Frontespizio – che a vario titolo riprendono il tema.
Si parla, è vero, soprattutto del Mare Nostrum come entità culturale, antropologica e ‘poetica’, ma non mancano articoli di attualità (o ‘politici’) sulla questione dei migranti che raggiungono le nostre coste o, spesso, perdono la vita in mare.

Mi ha colpito una serie di articoli che ieri (5 luglio 2017), all’indomani di una serie di risposte negative che i nostri governanti hanno ricevuto dall’Europa, il quotidiano la Repubblica ha dedicato al problema.

Ne vorrei riportare due, più brevi, in chiaro; gli altri due di approfondimento – di Gianluca di Feo e di Andrea Bonanni -, in file .pdf come allegato.
Da L’amaca di Michele Serra del 5 luglio 2017 (in prima pagina di Repubblica)

Finalmente il colossale scandalo della migrazione scaricata quasi per intero sulle spalle di Italia e Grecia comincia a uscire dalle nebbie dell’ipocrisia. Gli incravattati di Strasburgo si accapigliano, i toni si fanno vigorosi (dunque più consoni alla battaglia politica), la coltre dei convenevoli si lacera. Costretta a non parlare più solo delle sue regolette e dei suoi conticini, l’Europa perde l’aplomb contabile e comincia a sporcarsi le scarpe nel fango che le compete: l’immigrazione, ovvero la vita, la morte, la fame, la guerra, la paura, il razzismo.

Se i centomila profughi e migranti a vario titolo arrivati nei primi sei mesi di quest’anno fossero stati distribuiti equamente tra tutti i paesi membri, qualcosa sarebbe cambiato in meglio; e forse in molto meglio. Come può essere tollerata la vergogna di quei consociati orientali che pigliano quattrini con la destra e respingono a ceffoni i migranti con la sinistra? Che club è un club che accetta membri come l’Ungheria? Se finalmente se ne parlasse sul serio, l’Europa perderebbe la sua detestabile compostezza e si presenterebbe, meno pettinata ma piena di lividi e di umanità, al suo appuntamento con la storia.

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Il mediterraneo come fortezza

di Lucio Caracciolo

Gli europei vedono il Mediterraneo come un fossato a protezione della Fortezza Europa. Non ingannino le retoriche edificanti, i richiami ai valori universali, le professioni di fede nei diritti umani scandite dai principali leader euroccidentali, peraltro contraddette da loro autorevoli omologhi dell’ex impero sovietico. Nella pancia degli europei domina la paura dell’alieno, minaccia alla nostra identità. Potrà apparire irrazionale. Ma sappiamo che spesso è questa classe di sentimenti a mobilitare gruppi e individui, non la cartesiana identificazione dei propri interessi. L’aria del tempo colora il Mediterraneo di spaventose tinte, svilendolo a Canale delle Minacce. Inutile demonizzare i “populismi” — brillante invenzione delle élite. Conviene semmai disporsi all’anatomia di questa passione antimediterranea per identificarne radici e conseguenze geopolitiche, da cui i decisori — si fa per dire — distilleranno terapie.

Motore della paura è l’impropria quanto potente equazione migranti=invasori=terroristi. Quattro fattori di spinta determinano quei flussi umani che nei media nordeuropei sono apparentati alla Völkerwanderung — l’età delle migrazioni tra IV e VI secolo, allora in senso opposto (esodo di tribù germaniche verso l’Europa centromeridionale) — dunque destinati a rimescolare nel profondo le nostre società: demografia, economia, clima e geopolitica. Tutti strutturali, almeno nel medio periodo. Non esistono politiche che possano neutralizzarli o riorientarli radicalmente. Allo stesso tempo, nelle ipermediatizzate democrazie europee non è concesso ai leader ammettere che un problema non abbia soluzione, quindi per definizione non sia tale. L’incrocio perverso fra la cogenza dei propulsori migratori e la coazione a mentire di chi è deputato ad amministrarne le conseguenze eccita gli xenofobi europei che dipingono le migrazioni quali anticamera dell’apocalisse.

Dei quattro fattori, decisiva è l’asimmetria demografica fra Europa e Africa. La prima rappresenta il 10% della popolazione mondiale (738 milioni stimati nel 2015), ma scenderà al 7% nel 2050, quando la seconda, che vale il 16% (1.186 milioni), supererà il 25%, raddoppiando (2.478 milioni). Soprattutto, l’età mediana in Europa è di quasi 45 anni, nell’Africa subsahariana, serbatoio dei flussi, non tocca i 20. E mentre a nord del Mediterraneo il tasso di fecondità è in genere ben sotto la soglia dei due figli per donna che assicura la stabilità della popolazione, nell’Africa subsahariana si tocca quota cinque, con punte fra Nigeria e Senegal. A muovere uomini e donne verso terre più promettenti — non necessariamente in Europa, anzi nove volte su dieci per mancanza di alternative i migranti si spostano in Africa — è l’intreccio fra eruzione demografica e depressione economica, aggravata dal mutamento climatico che rende inabitabili ampie porzioni di territorio a sud del Sahara.

Prima il blocco quasi totale degli sbocchi occidentali — concordato dalla Spagna con il Marocco e i suoi vicini — poi il patto Merkel-Erdogan che ha ridotto ai minimi termini la corrente orientale e balcanica, hanno deviato la netta maggioranza dei flussi transmediterranei verso la direttrice mediana.

Tra flussi mediterranei e stretta ai valichi alpini imposta dai vicini europei, l’Italia è così trasformata, da paese di transito, in destinazione obbligata dei migranti. Dai 43 mila arrivi del 2013 siamo passati ai 181 mila del 2016. Quest’anno sembriamo destinati a valicare la soglia non solo psicologica dei 200 mila, visto che nel primo semestre l’incremento rispetto allo stesso periodo del 2016 è stato superiore a un quarto. Soprattutto, aumentano i migranti dall’Africa occidentale (sette delle prime otto nazionalità, con la curiosa quanto sintomatica eccezione del Bangladesh). Al primo posto la Nigeria, esuberante quanto fragile colosso demografico. Tutto indica che per il tempo visibile l’Italia dovrà attrezzarsi al mutamento del suo profilo sociale e culturale. Siamo sempre più dentro il Mediterraneo, senza una politica mediterranea. Men che meno con una strategia di integrazione/ assimilazione, da cui i nostri governi fuggono per non rischiare l’impopolarità. Ma in questo non siamo soli.

[Da la Repubblica del 5 luglio 2017, pag. 29]

Mediterraneo e Europa. Da la Repubblica del 5 luglio 2017. Articoli di Gianluca Di Feo e Andrea Bonanni.pdf [3] 

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