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Piccolo cabotaggio. (10). Dalle Tremiti a Isola Piccola (seconda parte)

di Tano Pirrone

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Il viaggio da Gallipoli alla Sicilia si è svolto regolarmente, senza fretta. Abbiamo passato in rassegna le coste calabre a distanza di sicurezza, rispettando scrupolosamente le indicazioni del portolano: Cirò Marina, Crotone, Area Marina di Capo Rizzuto, Le Castella, Soverato, Punta Stilo, Monasterace Marina, Riace Marina, Roccella Jonica, Gioiosa Jonica, Melito di Porto Salvo e poi giù dritti fino alla costa siciliana per raggiungere la nostra meta.

Ci aspettano due isole, anzi una, anzi sei. L’enigmatica chiusa del report precedente sarà sembrata ai pochi lettori residui un espediente per suscitare curiosità e stimolo a leggere la puntata n. 10, che poi è questa. L’isola che secondo il programma iniziale avremmo dovuto visitare è l’Isola Piccola nel piccolo porto di Marzamemi. Ma si può tralasciare l’opportunità di accennare all’isola gemella, incorporata artificialmente alla terra ferma? Non so voi, ma io certo non so resistere. E si possono tralasciare due piccole isole poco a sud di Marzamemi, l’Isola di Capo Passero e l’Isola delle Correnti, autentico, inattaccabile finisterrae? Non so voi, ma io certo non so resistere! E si possono trascurare altre piccole isole, isolette, isolotti che da qui alle Eolie ci troveremo sulla rotta? No, io non sono proprio capace; troverò il modo di infilarle a mo’ di piccole perle per farne un monile. E quindi, vento in poppa, decidiamo di fare una piccola variazione, che Ciro, lo skipper partenopeo che ci guida sulle rotte che già furono di Odysseus, fa sua senza battere riccio. Invece di andar dritto a Marzamemi, ci dirigiamo poche miglia più a Sud dove prima doppiamo Isola di Capo Passero e subito incontriamo l’Isola delle Correnti. Viriamo lentissimamente per tornare indietro, prendendoci tutto il tempo possibile per goderci lo spettacolo e parlarne fra noi.

 

L’Isola delle Correnti è un’isola-non isola, un’isola ad ore, nel senso che è collegata alla terraferma tramite un braccio artificiale, distrutto varie volte dalle onde del mare. Quando la bassa marea trasforma l’isola in una penisola, essa rappresenta l’estremo meridionale dell’isola siciliana. Ci andammo con mia moglie in un giorno cocente di luglio o di agosto; aspettammo che l’alta marea si ritirasse di quella spanna – non siamo in Normandia e i due fabbricati dell’isola non sono certo Saint-Michel – sufficiente per camminare nell’acqua senza bisogno di nuotare. Sul punto più alto dell’isola (ben 4 metri slm!) si erge un faro , dove decenni fa alloggiava il farista con la sua famiglia, di forma rettangolare, con davanti un ampio piazzale. Il faro è in fase di decadimento, essendo da anni in disuso. Prima di arrivare al faro, sulla destra, un edificio più piccolo, in stato di abbandono, la cui arcaica funzione mi è sconosciuta. Sull’isolotto cresce poca flora, ma vi abbondano piantine di porro selvatico, capperi e altri arbusti tipici della macchia mediterranea [1]. Dal 1987 l’isoletta è stata inclusa nel piano regolatore dei parchi e riserve naturali, per il peculiare ecosistema.

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L’Isola di Capo Passero si affaccia di fronte alla cittadina di Portopalo [2], proprio nell’estrema punta meridionale della Sicilia. È isola da poco tempo, ché fino alla metà del XVIII secolo era collegata alla terraferma da un sottile istmo sabbioso. Lo testimoniano anche antiche mappe, che indicavano l’attuale isola come un piccolo promontorio roccioso. Successivamente le correnti hanno determinato la sommersione di questa lingua di sabbia, formando così l’attuale canale largo circa 300 metri. Estesa circa 35 ettari, accoglie due gruppi di costruzioni: il Forte, pregevole opera di architettura militare del ‘600, recentemente restaurata, cui dal 1871 è annesso un Faro e, sulla sponda occidentale, proprio di fronte a Portopalo, i caseggiati della vecchia tonnara (piede della tonnara [3], malfaraggio [4] e case).

[2]Il forte

[3]La vecchia tonnara di Portopalo

Poche miglia ed eccoci alla meta: l’Isola Grande, ormai inglobata nel molo, protegge a braccia aperte, quasi con tenerezza, il riparato porticciolo: al centro, come in un presepe marino, l’Isola Piccola, detta anche Isolotto Brancati dal nome di un medico chirurgo, Raffaele, che sull’isolotto costruì, forse su un precedente edificio, una bella casa, un villino, che occupa ancora oggi , insieme con il piccolo giardino alberato ed una piccolissima corte che lo cinge chiusa da un muretto, tutta la superficie dell’isolotto.

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Di là dal muretto rocce affioranti ed il placido mare del porticciolo; sul davanti una vasca trapezoidale, comunicante col mare, forse una piscina. La casa ha un colore rosso stinto, tipico delle case cantoniere ed uno stile vagamente razionalista, che ci spinge a datare la sua costruzione verso la metà degli anni trenta del secolo scorso.

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Nel villino soggiornò anche Vitaliano Brancati [5] , saggista, scrittore e drammaturgo siciliano, autore anche di numerose sceneggiature per il cinema italiano [6]. I suoi romanzi sono diventati film famosi, che fecero epoca: Il bell’Antonio, Mauro Bolognini, 1962; Don Giovanni in Sicilia, Alberto Lattuada, 1967; Paolo il caldo, Marco Vicario, 1973. La Governante, Giovanni Grimaldi, 1974, è, invece, liberamente tratto dal suo dramma omonimo. Di lui Leonardo Sciascia ha scritto: “Brancati è lo scrittore italiano che meglio ha rappresentato le due commedie italiane, del fascismo e dell’erotismo in rapporto tra loro e come a specchio di un paese in cui il rispetto della vita privata e delle idee di ciascuno e di tutti, il senso della libertà individuale, sono assolutamente ignoti”.
Mio padre mi raccontava di averlo avuto compagno di collegio al San Michele di Acireale.

[6]

La foto d’istituto ritrae i convittori dell’anno 1919. Entrambi avevano 12 anni, essendo nati nel 1907 (mio padre il 7 marzo e Brancati il 24 luglio). Non so se il ricordo di quanto raccontato da mio padre sia vero o se si tratti di un falso ricordo. Lo scrittore siciliano morì giovane, nel 1954, vittima dell’audacia di un allora famoso luminare della chirurgia.

Marzamemi era all’origine un piccolo borgo di pescatori, nato attorno all’approdo, sviluppato dagli arabi che vi impiantarono una tonnara intorno all’anno mille.

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Araba è l’origine del nome: marsà in quella lingua vuol dire porto o rada, o baia (Marsala = porto di Allah). Parecchie sono le ipotesi che si fanno, ma certo la più suggestiva è quella che accredita Marsà ‘al hamam, cioè “Baia delle tortore”, per l’abbondante passo di questi uccelli in primavera. La tonnara venne acquistata nel 1630 da una ricca famiglia nobile netina, che la potenziò, trasformandola in moderna industria, essendo, fra l’altro, la famiglia proprietaria di altre due tonnare, quella di Capo Passero, che abbiamo già visto, e quella di Fiume di Noto [7]. Oggi Marzamemi è frazione-frazionata (nel senso che appartiene per metà a Pachino e per metà a Noto). È proprio un vizio, la dualità, da queste parti! Dal porto di Marzamemi, in passato salpavano navi colme di mosto destinato ad innervare gli esangui vini del Nord Italia e d’Oltralpe. Oggi i mosti locali si trasformano in vini prodotti in loco da valenti enologi e che rappresentano una voce significativa nella bilancia commerciale siciliana e una forte attrazione per il turismo enogastronomico. Il piazzale dell’antico porto – cosidetto Caricatore – detto balàta, dall’arabo balàd, lastra, per via della pavimentazione con lastre di pietra, oggi è di giorno porto e di sera luogo di incontro e divertimento [8].

[8]

Lì dove si imbarcavano per porti lontani tonno, cotone e poi mosto e vino, arrivano turisti, risorsa di rilievo non solo economica. Marzamemi ha saputo adeguarsi senza grandi stravolgimenti, ma non senza qualche commento negativo sulla qualità dell’ospitalità.

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Passando sotto un arco si accede nella Piazza Regina Margherita, dove affacciano le case dei pescatori, oggi botteghe o piccole case per l’estate, le due chiese, entrambe dedicate allo stesso santo – la dualità colpisce ancora! – e il Palazzo di Villadorata. Proprio in questa piazza e in questo palazzo si svolge il film di Gabriele Salvatores, Sud (1993) [9].

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Note

[1]    http://www.nauticareport.it/dettnews.php?idx=18&pg=6275 [11]

[2]    Portopalo di Capo Passero. Comune autonomo dal 1974, conta circa 3900 abitanti. Nel 1996 in acque internazionali a circa 19 MN una vecchia nave di legno stracolma di poveracci in fuga provenienti da India, Pakistan, Sri Lanka affondò. Ci furono almeno 283 morti accertati. Una tragedia immane, dimenticata per anni, portata in Tv recentemente ne I fantasmi di Portopalo di Beppe Fiorello (2017).
Altri film girati a Portopalo: Agguato sul mare, Pino Mercanti (1955); Salvatore – Questa è la vita, Gian Paolo Cugno (2006); Malavoglia, Pasquale Scimeca (2010); Sicilia di sabbia, doc, Massimiliano Perrotta (2011).

[3]    Piede della tonnara. è l’appoggio delle reti sulla terraferma.

[4]    Malfaraggio. Nelle tonnare, il complesso dei fabbricati a terra destinati alla lavorazione dei tonni, a magazzini, ad alloggi ecc.

[5]    Vitaliano Brancati. (Pachino, 1907 – Torino, 1954) Nato da famiglia borghese nell’estremo lembo meridionale dell’isola, si trasferisce ben presto a Catania, la città che ispirerà la sua produzione matura offrendogli la scena teatrale delle sue vie e piazze barocche. Si laurea in lettere con una tesi su De Roberto. Confondendo, come tanti coetanei, la sua adolescenziale inquietudine con il velleitario ribellismo e l’enfatica mitologia del regime fascista dà inizio alla prima fase della sua produzione di scrittore, che più tardi rinnegherà, perché subalterna a modelli dannunziani e mussoliniani. Scrive anche opere di transizione, di cerniera fra la retorica delle prime prove e lo spirito critico della produzione matura. La conversione all’antifascismo si deve soprattutto all’influenza esercitata da Giuseppe Antonio Borgese, scrittore di respiro europeo e d’impronta liberale. Del 1934 è Gli anni perduti, il romanzo corale sul tedio della provincia e sul tempo dissipato, sull’inerzia dei giovani e sulle loro irrealizzabili utopie. Abbandona la Roma dei salotti letterari e delle redazioni di regime e sceglie di tornare in Sicilia, eleggendo quel microcosmo a oggetto dei suoi romanzi. Collabora con l’Omnibus di Leo Longanesi, fucina di anticonformismo politico e letterario e scuola di satira del costume. Attacca il patetico “gallismo” siculo, ma anche il velleitario tentativo di sottrarsi alle pigri abitudini e ai logori pregiudizi della provincia. Nel 1946 sposa Anna Proclemer da cui si separa poco prima della morte. Collabora a giornali e periodici di area liberal-radicale come l’Europeo, Il Tempo e Il Mondo di Pannunzio. Proprio sul Mondo esce a puntate Il bell’Antonio (1949), il romanzo-capolavoro, in cui la noia e lo scacco, e l’impotenza del protagonista, assurgono a metafore riassuntive, a chiavi di lettura di un’intera epoca storica. L’ultima fase della produzione brancatiana, più aspra e pessimistica, più aperta alle questioni e alle domande estreme culmina nel romanzo incompiuto (e postumo) Paolo il caldo (1955), amaro congedo dai miti della sicilianità, drammatica esasperazione d’una sensualità ossessiva, spietata autoanalisi compiuta sulla soglia della morte [estrapolato dalla voce Brancati Vitaliano, curata dal Prof. Antonio Di Grado in Enciclopedia della Sicilia, Franco Maria Ricci, 2007].

[6]    Alcune delle 22 sceneggiature scritte da Vitaliano Brancati: Anni difficili, Luigi Zampa (1948); Guardie e ladri, Mario Monicelli e Steno (1951); Altri tempi, Alessandro Blasetti (1952); Viaggio in Italia, Roberto Rossellini (1952); L’arte di arrangiarsi, Luigi Zampa (1954).

[7]    È il Tellàro, che nasce dai Monti Iblei, nei pressi di Palazzolo Acreide e scorre per 48 km, segnando il confine geografico fra le provincie di Ragusa e di Siracusa. Sbocca a nord di Vindicari. L’area della foce è sede di importanti resti archeologici, non ancora del tutto riportati alla luce, dell’antica Eloro. A pochi chilometri, in territorio di Noto, si trova la Villa romana del Tellàro, una ricca residenza extraurbana della tarda età imperiale romana.

[8]    http://www.ardilio.net/pachinesi/balata/balata.htm [12]

[9]    Sud di Gabriele Salvatores (1993). Soggetto e sceneggiatura: Franco Bernini, Angelo Pasquini e Gabriele Salvatores; fotografia: Italo Petriccione. Interpreti: Silvio Orlando (Ciro Ascarone), Antonio Catania (Elia), Francesca Neri (Laura Cannavacciuolo). Premi: David di Donatello 1994 per il miglior suono in presa diretta; Nastri d’Argento 1994 per la migliore colonna sonora.
Trama. In una calda domenica primaverile, l’apertura dei seggi elettorali in un piccolo centro del Sud viene turbata dall’irruzione di tre cittadini italiani ed uno eritreo – tutti disoccupati – intenzionati, armi alla mano, ad occupare la scuola che ospita le votazioni. Il caso vuole che nella sede del seggio vi sia anche la figlia di un politico di spicco della zona, colluso con la mafia locale. Inoltre viene subito rinvenuta una scheda truccata, prova lampante dei brogli messi in atto dallo stesso politico. Inizia una trattativa tra gli occupanti, intenzionati a resistere ad oltranza, e le forze dell’ordine che alla fine del film sgomberano i quattro. La scena finale mostra come la stessa figlia dell’onorevole smascheri il broglio consegnando la scheda che lo prova ai Carabinieri.

[Piccolo cabotaggio. (10) Dalle Tremiti a Isola Piccola (seconda parte) – Continua]