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Umberto Tommasini: il fabbro anarchico (3)

di Rosanna Conte

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Finito il confino a Ponza, la vita di Umberto non interrompe il legame che, pur sotterraneo, rimane con la nostra isola.

Iniziato qualche decennio prima col seme dell’anarchismo, recatogli dal fratello internato  sulla nostra isola durante la prima guerra mondiale, continua con nuove esperienze in cui incrocia spesso ex-confinati conosciuti durante il periodo ponzese.

Tornato a Trieste nel febbraio del 1932, per espatriare aspetta che da Ponza arrivi il mese successivo l’amico Luigi Calligaris che, però, per motivi di salute non ce la farà e tornerà indietro.  Umberto, invece, passa clandestinamente le frontiere di Slovenia, Austria, Svizzera e Francia e arriva in aprile a Parigi dove ripara presso Giovanni Repetto, un compagno anarchico conosciuto sulla nostra isola.
Ottiene la carta di identità necessaria per lavorare grazie a Giobbe Giopp, il giovane ingegnere repubblicano che è riuscito a sottrarsi al confino di Ponza dove ha lasciato anche una fidanzata, che lo aspetterà invano, espatriando clandestinamente durante un permesso per dare gli esami all’università.

[2] Giobbe Giopp

Negli otto anni in cui Umberto resta in Francia, non riuscirà più ad avere documenti regolari oltre questo, e incontrerà grandi difficoltà a trovare non solo lavoro, ma anche alloggio.
I quotidiani problemi per la sopravvivenza lo spingono a volte a pensare che la condizione di espatriato non sia utile alla causa antifascista perché smorzano lo spirito necessario alla lotta.
Le diverse feste e scampagnate organizzate per raccogliere fondi per il Comitato Pro Vittime Politiche, pur essendo, o forse proprio per questo, piacevoli momenti di incontro, fanno sentire ancora di più il peso dell’inazione.

Eppure non sta senza far nulla. Oltre a collaborare anche da posizioni di responsabilità col Comitato, collabora per l’edizione del giornale La Protesta, per la produzione e diffusione di manifesti, partecipa al Convegno anarchico di Sartrouville, insomma è molto attivo e la sua riflessione rivoluzionaria non si ferma mai. Più vicino a Giustizia e Libertà – di cui tuttavia critica le mire egemoniche – che al PCdI e al PSI, discute e mantiene stretti rapporti con Carlo Rosselli, a cui è legato da stima reciproca.

A Parigi incontra Anna, anche lei anarchica, e inizia una convivenza che porterà alla nascita di un figlio, Renato. L’ha voluto fortemente lei, nonostante la consapevolezza della precarietà della loro vita e la possibilità concreta di dover vedersela da sola.
E questo succede ben presto, quando, dovendo portare il bambino in zona di mare per motivi di salute, trova lavoro come domestica sulla costa francese della Manica mentre Umberto parte volontario per la Spagna.

Già, perché il 20 luglio del 1936 la popolazione operaia di Barcellona è insorta non solo contro il generale fascista Francisco Franco, ma anche contro il potere centrale catalano : la sua è una rivolta di classe. In Spagna più che il  comunismo, si è diffuso e consolidato l’anarco-sindacalismo il cui fine è una  società organizzata secondo i principi del federalismo, governata con la democrazia diretta che realizzi l’ideale del comunismo libertario.

[3] Miliziani anarchici nel 1936

Gli anarchici europei si sentono subito coinvolti, specie quelli espatriati da paesi con regimi dittatoriali, come gli italiani riparati a Parigi, e sono i primi  a partire volontari..

Anche Carlo Rosselli, fondatore di Giustizia e Libertà, sente l’esigenza di combattere per evitare l’affermazione di altri governi reazionari in Europa, e si attiva convocando i rappresentanti di tutti i partiti in esilio a Parigi, ma davanti alla loro decisione  di non inviare reparti armati, è agli anarchici che si rivolge per ottenere i documenti necessari a passare la frontiera.

[4] Carlo Rosselli

Il 7 agosto del 1936 anche Umberto parte. Il 20 con la colonna Ascaso, tra i cui responsabili c’è Rosselli, si muove da Barcellona verso il fronte, il 24 è al fronte a fare trincee e il 28 vive il primo scontro armato.

Che emozioni in quei giorni per lui: le città catalane piene di bandiere anarchiche, l’accoglienza esaltante che gli spagnoli riservano ai volontari italiani, i saluti con il canto dell’Internazionale continueranno a riscaldargli il cuore per il resto della sua vita.

[5] Sede del Comitato Regionale della Federazione Anarchica Internazionale

Gli spagnoli sono veramente coraggiosi. Specialmente le donne. Le donne erano trascinatrici dei miliziani perché gli uomini, che credono di essere superiori alle donne, quando vedevano una donna che correva avanti, loro correvano dietro. Delle donne coraggiosissime.

[6] Miliziane della guerra di Spagna

Le pagine sulla guerra di Spagna, piene di vicende gloriose, ma anche torbide, lasceranno nel suo animo anche ricordi tristi.

L’arrivo nel novembre del ’36 delle Brigate Internazionali, che si distinguono nella difesa di Madrid e nella battaglia di Guadalajara, provoca uno spostamento della direzione militare della guerra a favore dei comunisti. Le lotte interne fra i gruppi politici che governano la Spagna vanificano i successi della base operaia. Le forze ministeriali si neutralizzavano reciprocamente perché se qualcuno faceva qualche lavoro importante, gli altri per non fargli avere dei successi, li sabotavano.
Barcellona, la città catalana che aveva visto la vittoria della popolazione operaia insorta anche in nome di una rivoluzione sociale, assiste nel giro di pochi giorni ad una resa che si può comprendere solo col tradimento della stessa idea rivoluzionaria.
Il clima stalinista che vi si crea porta nel ’37 le diverse fazioni a spararsi fra loro (dai comunisti viene ucciso l’anarchico Berneri)

[7] Camillo Berneri

La vicenda del fallito tentativo di affondare le navi militari franchiste e italiane nel porto di Ceuta, nel febbraio del ’37, ne è un esempio lampante.
I protagonisti, Umberto Tommasini, Giobbe Giopp, Gino Bibbi, il triestino Cimadori e il siciliano Fontana, non solo vengono bloccati durante il viaggio verso Ceuta e tenuti in carcere, ma corrono il rischio concreto di essere uccisi. E’ per caso che riescono a salvarsi e a non scomparire nel nulla.
Rimandato a Parigi dopo il mancato sabotaggio, va in carcere per mancanza di documenti, ma quando ne esce riprende la sua attività rivoluzionaria organizzando un attentato a Mussolini durante una sua visita a Trieste.
Anche questa volta stanno insieme, Tommasini, Giopp e Bibbi, ma in più c’è Buda, un altro anarchico conosciuto al confino a Ponza, che è diventato un informatore della polizia.

[8] Mario Buda

Così il piano fallisce.

Scoppiata la guerra il governo francese inizia un controllo molto stretto sui sovversivi e nel settembre del ’39 viene inviato nel campo di internamento di Vernet d’Ariège. Nel 1941 è estradato in Italia e inviato al confino a Ventotene, dove incontra vecchi compagni, ma anche le conoscenze degli ultimi anni, tra le quali c’è Di Vittorio col quale Umberto ha un conto in sospeso per una discussione a Parigi sull’uccisione di Berneri in Spagna.

[9] Giuseppe Di Vittorio

Nel fermento dello scambio di idee tra i confinati nel piccolo spazio di Ventotene, Tommasini si relaziona con tutti: rifiuta di aderire al Movimento Federalista di Altiero Spinelli, prova simpatia per Camilla Ravera e Umberto Terracini tenuti ai margini dal partito comunista in quanto dissidenti, tenta di ottenere un avvicinamento alle posizioni anarchiche del socialista Jacometti conosciuto in Spagna.
Chiede di potersi abbonare alla rivista Relazioni Internazionali, ma gli viene rifiutata l’autorizzazione: E’ un fabbro anarchico, non ha motivi di studio

Da Ventotene, dopo la caduta del fascismo, Umberto con gli altri anarchici e gli slavi, viene mandato nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari, dove resta fino all’11 settembre del ’43.
Intuendo, dopo la liberazione di Mussolini al Gran Sasso, che il fascismo è ancora in piedi, non torna a Trieste, dove sarebbe immediatamente rimesso in carcere.
Si ferma nel bolognese, presso sua sorella, dove aiuta e collabora con la piccola comunità attraversando l’occupazione tedesca e poi quella americana.

Appena possibile, nell’autunno del ’44, riprende i contatti con i compagni anarchici. Li va a cercare uno alla volta: Migliorini a Figline, i fratelli Girolimetti vicino Rimini, Buda a Savignano, Soprani a Forlì, Castagnoli ad Alfonsine, Bigi a Firenze. Per due volte va anche a Trieste, una città in preda al terrore nel ’44.
Prima della fine della guerra può finalmente ricongiungersi con Anna ed il figlio ormai cresciuto.

Con la pace la sua attività si articola fra il sindacato, la pubblicazione del giornale anarchico Germinal, ma anche in scontri, nella Trieste divisa in due zone fino al 1954, con nazionalisti, comunisti e i mai scomparsi fascisti, tanto da farsi 11 mesi di carcere per aver affisso manifesti in cui si incitavano i poliziotti ad uscire dalla polizia.

Fino al termine della sua vita Umberto Tommasini, il fabbro, non abbandona mai l’ideale di una società giusta e libera e, man mano che la sua generazione va scomparendo, si preoccupa sempre più di trasmettere alle nuove generazioni i valori dell’anarco-comunismo diventandone il fulcro, e non solo a Trieste.

La sua morte, nel 1980, avvertita come l’interruzione del filo con un passato ricco di esperienza e saggezza, non ha impedito alle nuove generazioni di continuare sulla strada da lui tracciata.

[10] Umberto Tommasini che vende Germinal per le strade di Trieste

Tuttora continua la pubblicazione di Germinal (giunto al n. 125), ormai on-line, il gruppo anarchico ha una sua sede a Trieste, produce mostre e pubblicazioni, organizza dibattiti e manifestazioni in sintonia con le sue idee.

[Umberto Tommasini: il fabbro anarchico (3) – Fine]