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Pisaca’ 1938 (2)di Marcella Sansoni
Caldo, faceva già caldo e Arina decise che avrebbe fatto la turistica, avrebbe preso il sole e sarebbe diventata scura come la sua amica. Kavita, abbracciando la custodia del violino, dondolava assieme alla vecchia nave e ricordò all’amica che i soldi non erano molti e che il loro progetto era diverso. – Il tuo! – Ribattè tutta eccitata Arina che trovava magnifico il mare, il treno, la tiella di Gaeta con i calamari e perfino il figlio piccolo di Yelena. In realtà Antonio era soprattutto un mostriciattolo informatico per il quale i segreti erano baggianate altro che braghe dei maschi e buchi segreti delle femmine – pensò Kavita. Sbarcarono due donne, due valigioni e la custodia del violino che era sera, quando l’isola, tutta intera, era colore del cobalto tutt’uno con il mare a tratti ancora rosa di tramonto. Chiedendo in giro trovarono facilmente una stanza a due letti, con uso di cucina. Stremate e digiune se ne andarono a dormire. Il sole aveva già invaso la piccola stanza bianca di calce con due fornelli in fondo e un bagno, piccolo anche lui ma completo di doccia e di un enorme scaldabagno. Sentirono bussare alla porta. Era Nina, la donna che aveva accettato di affittare loro la stanza. Con una espressione vagamente preoccupata stava offrendo loro un caffè. La gratitudine incontrò la curiosità della donna insieme ai suoi occhi e si trasformò in parole. A Nina non fu necessario chiedere chi siete o da dove siete venute o perché. La storia uscì bella e intera dal cuore di Kavita e Arina. Un po’ una, un po’ l’altra, un po’ in stereofonia, raccontarono tutto a partire dal “segreto” per finire con i giornali in cirillico che avevano sostituito il violino. – Nooo?! no… maronna… no! – ogni tanto esclamava Nina battendosi una mano sulla coscia mentre sorreggeva con l’altra la sua tazzina vuota. Niente sapevano, né un nome né altro che potesse aiutarle nella ricerca. Avevano solo quella foto – recuperata giusto in tempo per la partenza- che mostrarono a Nina. Posata la tazza, Nina prese la piccola fotografia e la portò verso la luce piena della finestra, la rigirava fra le dita come a scoprire qualche particolare che potesse dare corpo a Pisaca’ 1938… Per via di Carlo Pisacane, spiego Kavita citando, un po’ pedante, la storia dello sbarco e della poesia risorgimentale: una barca che andava a vapore, L’aveva imparata a memoria, in uno strano italiano. L’indomani Kavita partì dal cimitero, per scoprire che lassù, in mezzo al mare e fra colori di tombe che parevano case e le ginestre e gli iris, non ci si sentiva soli perché non si riusciva a pensare che quelli là fossero morti per davvero. II custode, coinvolto nella ricerca, scuoteva la testa scettico mentre seguiva la forestiera per le vie più antiche fino alle più recenti. – ’O nome, serv’ ’o nome – bofonchiava – e chillo soprannome Pisaca’, io non l’aggio sentito mai… baffetto, caramella, parruccone, mezzacapa… Pisaca’ mai. Kavita, munita di chiavetta, andò a leggersi anche la storia dei soprannomi ponzesi sulla rivista on line che le avevano segnalato. Ne trovò tanti, ma nessun Pisaca’. E se anche suo padre che poi era il “segreto” fosse nato a Ponza o da Ponza fosse partito, perché lo avrebbero chiamato così? Forse suo padre era un socialista forse lo stesso Pisacà aveva avuto contatti con alcuni rifugiati… o forse non era nato, né vissuto tantomeno morto in quell’isola che pareva un pezzo di sogno precipitato sulla Terra. Arina decise di partire e Kavita di fermarsi ancora un po’; fu la stessa Nina a trovarle una stanzetta meno costosa con un bel fornello ma con il bagno in comune. Non era un problema. L’estate passò, segnata dall’esplorazione dell’isola, da una gita in barca con il marito di Nina assieme ai forestieri e dalla visita al parroco che dopo aver scambiato per un immigrato, scoprì essere messicano e di ottimo appetito. Frutto tardivo della globalizzazione? – Si chiese. Anche lui domandava un nome ma comunque, gentilmente esplorò, picchiettando le dita, certi registri parrocchiali. Nessun risultato. Al Comune la stessa cosa a parte che molta documentazione del passato era andata perduta. La fotografia di Pisacà cominciò a risentire della luce forte e così Kavita la fece ricoprire di una bella plastica dura che pareva un documento di identità. – Tornatenn’a casa – le disse Yelena da Gaeta- che mo’ viene l’inverno e l’isola è ’nu deserto, chi può ven’a cca’. Kavita rimase, imparò a servirsi del fornelletto ma i soldi rimasti non potevano bastare. Con il passare dei mesi l’amicizia con Nina si era rinsaldata e quest’ultima difendeva, a modo suo, la privacy dell’esotica e misteriosa amica. Utilizzando una buona serie di “Che vuo’… Fatti i cazzi tuoi…” – aveva dissuaso i più dal chiedere notizie, compreso suo marito che avrebbe passato l’inverno a fare su e giù fra l’isola e Gaeta per curare la sua barca, destinata a portare in giro i turisti la prossima stagione. Kavita risparmiava quel che poteva ma se, un giorno di ottobre, Nina non le avesse detto che c’era una signora anziana bisognosa di compagnia e qualche cura, sarebbe stata di certo costretta a partire. La signora Maria stava bene e non chiedeva gran che, erano stati i figli che vivevano al Nord a decidere di trovarle una compagnia a basso costo. Il bar era popolato unicamente di maschi che avevano finito con l’abituarsi a quella strana donna, gentile e con una crocchia biondo cenere sulla testa. Per loro era diventata rapidamente Caterinella di Maria. La voce di un uomo, forse un custode, la risvegliò dalla sua lista di nuove urgenze. Fu il bambino a intervenire con prontezza. L’appuntamento con il piccolo Andrea, anni 12, fu preso immediatamente per l’indomani. Andrea si portò la sorella più grande. La sorella più grande, il giorno appresso ancora, si presentò con il cugino che arrivò praticamente insieme al kit per la accordatura di pianoforti ordinato da Kavita su Amazon e, da quel giorno a una cert’ora, con il beneplacito di Maria, fu un via vai di ragazzini che invocavano lumi sulle melodie più diverse da Jingle Bells a Anema e core, all’Inno a San Silverio gran santo protettore a Frère Jacques a Gentille Alouette a Malafemmena che però veniva richiesta dal padre di uno dei ragazzi. Quasi tutti, oramai nell’isola, conoscevano Kavita e fra le tante stranezze, dal suo misterioso arrivo, alla storia del segreto, alla mutazione in badante di Maria, non trovarono granché straordinaria la rinascita come maestra di musica. Fecero esattamente ciò che aveva fatto il mare, accolsero. Al “concerto” di Natale, organizzato in tutta fretta, con il beneplacito del Sindaco che significò, fra le altre cose, qualche lampadina in più, fu portata anche Maria che alla sua Caterinella si era affezionata. Nina era arrivata per prima, insieme alla pioggia, ai palloncini e a un gran piatto di biscottoni. Le esecuzioni furono stente e stonate. Che volete in un mese? Ma l’evento entusiasmò i bambini scatenando di conseguenza appalusi e un tripudio di foto, filmetti e Coca Cola, comparsa magicamente assieme a un panettone. Caterinella già Kavita, Kevì o Katya era diventata ufficialmente l’insegnante di musica tanto che dopo i regalini, per le lezioni, arrivarono i primi soldi senza troppe spiegazioni. Anche a Pisacà 1938 la musica era sempre piaciuta o almeno così si diceva al tempo in cui, forse da un’isola, l’aveva portata prima in mezzo alla Russia, poi in una casa di campagna vicino alla capitale della Moldavia dove l’aveva probabilmente lasciata, nascondendola, proprio come si fa con un segreto.
Nota – Ogni somiglianza a fatti o persone è solo in minima parte reale. La storia è quasi completamente inventata.
[Pisaca’ 1938 (2) – Fine] [Per la prima puntata: leggi qui] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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