De Luca Francesco (Franco)

Tempo di Prima Comunione

di Francesco De Luca

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Oh che giorno beato, il ciel ci ha dato, oh che giorno beato, viva Gesù. Così cantavamo mentre in fila per due uscivamo dalla sagrestia ed entravamo in chiesa dalla porta principale, per donarci alla commozione dei parenti che facevano ala al corteo dei comunicandi.

Avevamo trascorso giorni di intensa preparazione. Ogni pomeriggio, per un mese, venivamo istruiti dalle monache. Intensa? Sì perché dovevamo ripetere, imparare a memoria l’atto di dolore, di speranza, di carità, stare attenti alle storie del vangelo. Era chiamata “la Dottrina”. E già perché ci si indottrinava sui misteri, sui dogmi, sulle credenze. Tutto doveva essere ritenuto a memoria. Un immagazzinamento acritico e fedele.

Ma l’atmosfera che circolava negli incontri era allegra. L’età metteva di suo la spensieratezza, e maggio vi aggiungeva la bellezza. Quel che più impensieriva era l’ostia consacrata che non andava mai toccata. Era un tabù che ci dava da riflettere. Un altro tabù, sempre relativo all’ostia, era che questa non doveva essere masticata. Guai a farlo.

E allora le suore ci facevano fare le prove con le ostie non consacrate.

A Biagino si attaccò sotto il palato e non si scioglieva. “Suor Iolà… comm’aggia fa?” Suor Iolanda gli porse un bicchiere con l’acqua e tutto si risolse. A Gaitano si fermò in gola. Non andava né su né giù. “Mannaggi’ a morte…” “ Non dire parolacce… ”- lo rimproverò la suora.

I peccati… pure quelli ci davano problemi. Perché nella confessione bisogna dirli tutti… i peccati. Bisognava stanarli dal fondo della coscienza. Ciccio non riusciva a trovarne. Parolacce non ne diceva, a scuola era tra i migliori, a casa era ubbidiente, anche perché il padre navigava e lo vedeva di rado e quindi nemmeno lo comandava, la madre era una donna mingherlina e malaticcia e Ciccio proprio non se la sentiva di disubbidirla. “Cosa ci dico a don Salvatore?”

“Tu digli che non hai ascoltato i consigli del maestro e… che ti sei bisticciato con Guglielmo. Dicece quaccosa ca don Sarvatore t’assolve”.

Oh che giorno beato il ciel ci ha dato! E intanto andavamo dal sarto a misurare il vestito. A noi c’era zia Marianna che era mezza sarta e che teneva la Singer per cucire. E perciò stavamo sicuri. Mamma andò a Formia a comprare il libricino delle preghiere. E’ stato forse l’oggetto che ho perso per primo. Non utile alle preghiere e buono soltanto perché con la copertina bianca. Come i gigli, di cui occorreva dotarsi per il giorno fatidico. Cosa non è andato perduto? La foto. Quella spicca nel raccoglitore e attrae. Ce la fece Alfredo Tricoli nel suo laboratorio in Corso Pisacane. Due angioletti sembriamo io e mio fratello. Un particolare… questo lo ricordo. Affinché nella foto fossero speculari le fascette al braccio … quelle bianche, col calice e l’ostia … io dovetti metterla al braccio sinistro (e mio fratello al destro).

Oh che giorno beato! E quanta attesa… e quanta trepidazione… Nell’ostia il sangue e il corpo di Cristo. Partecipi del corpo mistico!

Troppo astruso… meglio godere dei voli degli uccelli che fuori la chiesa davano sfogo alla loro venuta dal mare: ‘u codaianculo, ‘u ruscignuolo, e noi a scaricare nelle grariate la tensione della messa. E il tempo scriveva nel nostro cuore un ricordo incancellabile.

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