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Dal monte Aprea. (3). Tempo d’arcèra

di Aniello Aprea
[1]

 

La caccia alla beccaccia si svolge prima dell’alba. Il fatto è che a novembre l’alba è intorno alle 6, e per quell’ora già si deve essere sul posto. Ci si alza alle cinque.

Io già mi ero alzato e stavo lavandomi quando sento colpi di fucile dalla parte del bar Angelino. Mi precipito ad aprire la finestra. Una sagoma sfreccia nelle ombre e si butta sul monte Aprea. Mi vesto in fretta, fucile, cane e via.

Incontro Angelino con i figli Silverio e Salvatore: – Hè visto niente? M’ha fatto spreca’ tre botte… – si lamenta Angelino.

Iniziamo a salire. Incontriamo Cilormo.
– Aggio sentute spara’… – dice. I cani si agitano fra i cespugli. Niente. Praticamente tutti si stava alla ricerca di quella beccaccia. Scruto attentamente nel cielo nero. Che, se c’è il chiaro come sfondo qualcosa lascia intravvedere, ma dove come sfondo c’è la collina, è nero pesto.

Qualcosa saetta. Sono pronto e sparo. Una botta, due, la terza coglie il nero fitto e non ho nessun riscontro.
Cilorma grida: – Hè fatto niente?
Rispondo: – Nun saccio…
Intanto setaccio il terreno, cerco alla rinfusa. Il cane, poverino, fa il pazzo e gira e gira. Il tempo passa e mi annoio. Nel rincasare sotto al gelso noto delle piume sparse. Mi si accende una lampadina. Vuoi vedere che l’ultima botta l’ha centrata ma… Cilormo stava da queste parti…

Guadagno la casa di Cilormo. La moglie è scesa in cantina. La porta è aperta. Entro in cucina, come faccio per collaudata amicizia, apro il frigorifero. Nei ripiani nulla, ma il cane col muso mi indica in basso la beccaccia. La prendo ed esco.
Mi cambio e aspetto l’ora per scendere giù.

Cilormo si ritira cu nu maravizze: – Sule chiste?– gli rimprovera la moglie.
– No… aggio pigliato ’i meglio – risponde il marito guidandola in cucina. Nel frigorifero non c’è niente. – Ma… è venuto Aniello, cca? – interroga.
– No – risponde la moglie.
– Sicuro? – riprende l’uomo.
Sicurissima… nun è passato proprio.

Al bar ci incontriamo. Cilormo, da vecchia volpe, mi stuzzica: – T’hè pigliata ’arcera, eh?
E io: – E tu, vulive arrubba’ a nu mariuolo?