Ambiente e Natura

Piccolo cabotaggio (3) Trasferimento da Venezia alle Isole Tremiti

di Tano Pirrone

 

“L’Hallberg Rassy 45” ed altre accortezze
L’eterea, impalpabile, opalina fantasia, pur vivace, pronta, esploratrice resistente ed inquieta, per farsi segno, scrittura ha bisogno di radici profonde, di fondamenta solide, di ancore pesanti legate a robuste e lunghe catene.

Organizzare un viaggio in mare, pur di piccolo cabotaggio e con rotta sempre a ridosso della costa, per un terricolo stagionato ed irrecuperabile come me ha bisogno di compagni di viaggio esperti e di mezzi adeguati, che utilmente lo rassicurino e rendano sicuro, confortevole e verosimile il viaggio stesso.
La scelta dei compagni d’avventura è, di solito, cosa assai complicata e più affidata alla dea bendata che alla perizia nella ricerca. Ho tra gli amici più cari con cui condivido quasi tutte le mattine chiacchiere e caffè, due esperti di barche e della loro saggia conduzione; di essi mi son fidato e con loro, pur gravati dal peso dell’età ormai non più verde, ho formato l’equipaggio e con loro ho scelto la barca con cui affrontare in sicurezza e senza ambasce il lungo viaggio.
S. e G., una volta compreso – non è stato per nulla facile! – che si trattava di un viaggio immaginario e che avremmo dovuto tutti insieme essere fedeli alla verosimiglianza senza ricorrere ad un viaggio vero, si sono dichiarati d’accordo ed hanno iniziato a sotterrarmi di informazioni.

È notorio che io sono buon conoscitore dell’arte antica di coltivare gli agrumi, portata in Sicilia dagli Arabi e affidata ai rudi e laboriosi abitanti di Trinacria, come col fuoco fece Prometeo, che rubandolo agli dei ne fece dono agli uomini; nello stesso modo si sa che conosco poco o punto le fondamentali nozioni dell’arte del navigare e distinguo a malapena un caicco da un gozzo, un peschereccio da un rimorchiatore, i burchielli dai catamarani, e mi persiste, archiviato fra i misteri, cosa siano gli scalmi.

In ragione di ciò, simuleremo il nostro viaggio di piccolo cabotaggio, salendo a bordo di un bellissimo scafo l’Hallberg Rassy 45 (la cifra indica la lunghezza in piedi), intramontabile barca di diporto su cui il mio amico S. ha imbarcato negli anni d’oro belle fanciulle spiegando le vele in tutto il Mediterraneo.
A bordo abbiamo voluto due marinai ché provvedano a tutte le esigenze di navigazione e di conforto. Mi dicono, gli esperti, che potremo procedere ad una velocità media oraria di circa 5 miglia nautiche (pari, metro più metro meno, a poco più di 9 chilometri).


Prevedendo di navigare dall’alba al tramonto per una media di 12 ore, percorreremo ogni dì circa 60 miglia nautiche, raggiungendo le Tremiti in meno di una settimana; salvo impedimenti meteorologici, o incidenti (tipo inciampo con narratore giù per terra con sterno e mano destra dolenti e, soprattutto, conseguente precipite autostima).

Ho deciso così di apportare una piccola variazione – in addendum – al programma originario: scivolando giù per il “libero tristo fragrante verde Adriatico” (1) abbineremo luoghi a film della nostra memoria, più o meno noti, più o meno di successo, ma tutti degni di essere citati e possibilmente rivisitati.
Divideremo il viaggio in due parti: dal Lido di Venezia a Riccione e da lì alle Isole Tremiti. I nostri tre lettori ce ne saranno grati.

Il viaggio. Dal Lido a Riccione
Salpiamo all’alba dal Lido, che abbiamo lasciato al tramonto del giorno e della vita di Gustav in Morte a Venezia, e tenendo il Litorale sulla nostra sinistra vediamo sfilare Malamocco e Alberoni, il passaggio al mare aperto e poi tutto il Litorale di Pellestrina, fino a Chioggia, dove due cose ci attraggono (oltre la città stessa, i suoi canali e i suoi ponti): il magnifico mercato ed il ricordo di un bel film abbastanza recente: Io sono Li di Andrea Sepe, 2011.

Il giovane regista è documentarista eccellente e prolifico, ha vivo l’interesse per etnie, popoli e culture marginali. Ha realizzato oltre Io sono Li un solo altro lungometraggio La prima neve, 2013, in cui continua la sua personale ricerca fra essere umani e luoghi. Il resto della sua produzione sono documentari, colti, profondamente segnati da interesse e solidarietà per i suoi personaggi.

Shun-Li (Zhao Tao), cinese emigrata in Italia confeziona quaranta camicie al giorno in un laboratorio tessile di Roma per pagare il viaggio e i documenti per il figlio rimasto – – in Cina e che la madre sogna di riabbracciare al più presto. A Chioggia apprende la lingua e stabilisce una delicata storia di amicizia con Bepi (Rade Šerbedžija), anziano pescatore croato da oltre venti anni in Italia. La storia si intreccia con invidie e contrasti che denunciano con toni pacati un’integrazione mancata.
Io sono Li è cinema di poesia, umile e ostinato, che ha trovato riconoscimenti di pubblico e di critica [su Ponzaracconta Gabriella Nardacci ha già scritto del film e presentato il relativo trailer].


Oltre al Donatello alla protagonista bisogna ricordare il Premio Lux del Parlamento europeo, riservato ai quei lavori che esplorano le diversità delle culture in Europa.
Rivederlo è un’esigenza per mettersi in pari con il clima stupidamente avverso nei confronti dell’immigrazione e dell’integrazione e coglierne la levità e la compostezza disadorna. Indispensabile per cogliere e comprendere quanto sia lucido e necessario lo sguardo alieno di chi è straniero nella propria nazione. Comprarlo è facile: lo vende Amazon a 6,99€, abbinando, se volete, La prima neve a 9,99€.

.

Usciamo lentamente dalla Laguna veneta e iniziamo a scendere, tenendo ora la costa sulla nostra destra (a tribordo) ed è subito un “fociare” di fiumi, il Brenta, l’Adige e poi il vecchio Po, che dissolve in mille rami la sua possente linfa. Navigando scrupolosamente secondo le indicazioni del portolano (2) vediamo scorrere la Riserva naturale delle bocche del Po antistante Porto Tolle.
E qui dobbiamo alzare un saluto grato ad uno dei padri del Cinema italiano (e non solo): Roberto Rossellini. Fra le paludi del Polesine, fra le acque che lente giungono alla meta, il regista romano ambienta il sesto episodio di Paisà, 1946, secondo film della Trilogia della guerra antifascista (Roma città aperta, 1945, e Germania anno zero, 1948). Paisà è giustamente considerato come una vetta del cinema neorealista: diviso in sei episodi, che accompagnano la guerra dallo sbarco di luglio 1943, attraverso la Napoli della fame e degli scugnizzi, una storia romana fra una ragazza ed un soldato americano, la Firenze della lotta partigiana, l’Appennino con un incontro fra frati conventuali e cappellani non cattolici, e oltre la Linea Gotica(3), nell’inverno del 1944, le paludi del Polesine e la durissima, spietata lotta fra nazisti in ritirata e partigiani.
Fiumi di parole, muri di libri sono stati scritti su questo film, sulla trilogia della guerra, su Roberto Rossellini, perché in un veloce viaggio si possa approfondire oltre. Chi volesse rivederlo e non lo avesse nella videoteca personale, può acquistarlo on line oppure vederlo in streaming: http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-681aa7d8-652a-46fd-8cf7-43d8bb3bf2b8.html.

Continuando il nostro viaggio verso il sud, costeggiamo i Lidi di Comacchio, per transitare dopo qualche ora davanti alla regale Ravenna; più giù, dopo Cervia e Bellaria, ecco Rimini. Vogliamo parlarne?
A me basta rivolgere il pensiero riconoscente a Federico Fellini, uno dei massimi uomini del cinema di tutti i tempi. Io reputo 8 ½ il film più bello, completo e meglio realizzato di sempre, ma io esagero sempre… o quasi. Come non celebrare il grande Federico se non citando il suo fantasmagorico carnet de souvenirs, Amarcord (1973).
Il titolo è una “univerbazione”, la riduzione, cioè, di una frase romagnola “A m’arcord” (Io mi ricordo), che è diventato un neologismo della nostra lingua, cui ricorriamo quando “rievochiamo in chiave nostalgica”. Numerosissimi gli interpreti, magnificamente guidati, che hanno dato vita a personaggi ormai mitici, come Magali Noël, nella parte della provocante parrucchiera Ninola, decisa a trovare un futuro marito uguale a Gary Cooper, ma pronta, nel frattempo, a offrirsi con generosità (“Signor Principe, gradisca”), da cui “La Gradisca”; come Maria Antonietta Beluzzi, “La Tabaccaia”, con cui Titta (interpretato da Bruno Zanin) trascorre alcuni sospirati momenti di intimità nella di lei bottega; come Ciccio Ingrassia, nella parte di Teo, lo zio matto (…voglio una donna …voglio una donnaaa!).


È un film senza intreccio, senza vicenda. Avvengono le “solite” cose tanto nella vita privata che nella pubblica e avvengono tutte nello stesso modo, secondo una visione del mondo “contadina”, in cui storia e natura si confondono sicché la vita umana risulti inserita costantemente nell’inalterabile, eterno, sicuro flusso cosmico.

Per chi volesse acquistarlo, Amazon è sempre lì, drone o non drone: la nuova versione restaurata costa € 16,99. Anche La Feltrinelli e Mondadori vendono on-line.

Ormeggiati tranquillamente nel porto turistico di Rimini, pronti a salpare alla prima notizia del passaggio, nella notte, del Rex(4) o del suo scintillante fantasma, ci riposiamo sulla terra ferma [la scena dell’attesa del Rex e del relativo passaggio (da Amarcord), è stata inserita nel filmato di Sandro Russo per la serata del Faro della Guardia, il 10 agosto 2012. Leggi e guarda qui].

.

Ne approfitto per l’ultima liaison fra città adriatiche e film lungo la rotta dal Lido di Venezia alle Tremiti. Pochi chilometri a sud Riccione, Misano Adriatico, Cattolica e poi le Marche, terra ballerina, cui va tutta la nostra vicinanza, simpatia e solidarietà.

Proprio a Riccione è ambientato il bel film di Valerio Zurlini (5) Estate violenta, 1959.
L’estate in cui si svolge la storia narrata da Zurlini è quella del 1943, nella quale i tempi si accelerano e le regioni d’Italia, che sembravano ancora sicure, sono coinvolte dalla montante onda della guerra. I giovani borghesi trascorrono la stagione dei bagni al mare; fra essi Carlo (Jean-Louis Trintignant), il figliolo ventenne di un gerarca fascista (Enrico Maria Salerno). Fra noie, feste ed amorazzi, il giovanotto s’infatua di Roberta (Eleonora Rossi Drago), bellissima vedova di un ufficiale che trascorre la stagione in una villa a mare con la madre (Lilla Brignone) e con la piccola figlia. Allo scoccare del 25 luglio piovono bombe sulla spiaggia e sulla stazione. La relazione, intreccio fra l’immaturità del giovane e la dolorosa disillusione di lei, ha la sua conclusione nel momento della fuga verso nord: il treno su cui viaggiano verso posti più sicuri è bombardato; il violento impatto con la realtà mette Carlo di fronte alle sue responsabilità: convince la recalcitrante Roberta a tornare indietro dalla figlia e dalla madre e va incontro al suo destino.

La sceneggiatura, tratta da un soggetto originale di Zurlini, è frutto del lavoro comune con Suso Cecchi D’Amico e Giorgio Prosperi. Il film scorre con garbo ed eleganza, con alcune scene clou, come il ballo ed il primo bacio e il bombardamento del treno nel finale. Salerno è superbo interprete del gerarca fascista, ammirevole la presenza scenica della grande attrice di teatro Lilla Brignone; alter ego del regista, perfettamente calato nel profilo psicologico ed etico di Carlo, il grande Trintignant (doppiato da Paolo Ferrari).

Due Nastri d’argento hanno premiato nel 1960 Eleonora Rossi Draghi come migliore attrice e Mario Nascimbeni per la colonna sonora. Lo stesso anno al Festival di Mar Del Plata la Draghi ricevette il premio per migliore attrice.

Per ri/vederlo, se non ce lo avete in casa, o non avete amici che stivano Dvd, potrete trovarlo sul webhttps://www.youtube.com/watch?v=qmyP26vUELw

.

Note

(1) Gabriele D’Annunzio, Canto Novo, Libro secondo, 46

(2) Manuale basato sull’esperienza e l’osservazione che fornisce le informazioni non rappresentabili dalle carte nautiche, in particolare una descrizione accurata dell’aspetto verticale della costa.

(3) – Denominazione data, durante la seconda guerra mondiale, alla linea difensiva tedesca su cui si ritirarono le truppe tedesche sul fronte italiano nel 1944; correva da Forte dei Marmi a Rimini e impediva alle forze alleate di entrare nella pianura padana. Crollò tra l’autunno del 1944 e l’aprile del 1945 (l’Enciclopedia, vol. 9, La biblioteca di Repubblica).

(4) – Il transatlantico Rex, costruito dai Cantieri Navali Ansaldo di Sestri Ponente e inaugurato nel settembre del 1932 rimase il più grande mai costruito fino al varo nel 1991 della Costa Classica. Il Rex è protagonista di una celebre scena di Amarcord, nella quale una folla ne attende nottetempo il passaggio nell’Adriatico a bordo di piccole imbarcazioni. Tale scena è di pura fantasia, in quanto il Rex, eccetto l’ultimo viaggio verso Trieste nel 1994, non passò mai nell’Adriatico.

(5) – Dopo una serie di documentari, esordì con il lungometraggio Le ragazze di San Frediano (1955) da un racconto di Vasco Pratolini. Con Estate violenta (1959), su una complicata storia d’amore nell’Italia del secondo dopoguerra, e La ragazza con la valigia (1961), sulla complessa relazione tra due giovani dall’animo profondamente diverso, si ritagliò un posto di psicologo della donna e della gioventù. Con Cronaca familiare (1962), sempre da Pratolini, compose a colori un’opera figurativamente equilibrata e un’elegia dei sentimenti, vincendo il Leone d’oro a Venezia (ex-aequo con L’infanzia di Ivan di A. Tarkovskij). Seguirono Le soldatesse (1965), dal romanzo di Ugo Pirr sulle prostitute di guerra, Seduto alla sua destra (1968), su un dramma del colonialismo in chiave evangelica; La prima notte di quiete (1972). Z. riconferma il gusto per la sintonia tra cinema e letteratura con Il deserto dei tartari (1976) dal romanzo di Dino Buzzati.
Nei suoi film spicca la raffinatezza del gusto figurativo e le accurate inquadrature. Negli ultimi anni della sua vita è stato insegnante al Centro Sperimentale di Cinematografia.

 

Piccolo cabotaggio (3) – Continua

Per l’articolo precedente, “Morte a Venezia, leggi qui
Per l’articolo di presentazione, leggi qui

 

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top