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A proposito dei “saperi idrici” nell’isola di Ponza dall’età romana ad oggi

di Francesco De Luca
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Lo studio del prof. Arturo Gallia presentato su Ponzaracconta – leggi qui [2] – ha suscitato in me notevole interesse. Tanto che vorrei intessere col professore un dialogo come quello fra docente e alunno, essendo le mie conoscenze dilettantesche. E dunque da me soltanto domande.

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Secoli bui. Fuochi di segnalazione sulle coste

Si afferma che sono indicate nel “Progetto …1589” pozzi fatti dai Turchi dove si fa assai acqua dolce e li si individua in una cartina (Fonte: Progetto … 1589) nella zona di Santa Maria.

La cosa mi sorprende giacché la presenza dei Turchi a Ponza è sempre documentata come transitoria e mi appare improbabile che una permanenza sostanzialmente “corsara”, e dunque fatta di soldati, in perenne agitazione, data la loro funzione predatrice, potesse dedicarsi a opere siffatte.

La dislocazione a Santa Maria è verosimile poiché nella zona “Pezze” tuttora esistono pozzi da cui si attinge acqua dolce. Quel territorio infatti è di natura alluvionale e basta scendere ad una profondità di 6-7 metri e si trova acqua. Mischiata a quella marina, dato che lì si incuneava il mare in un porto, indicato dagli storici come “porto di Circe” (marecoppa).

Sono pozzi molto simili a quelli che si trovano in tutta la costa mediterranea e anche nel Maghreb. E dunque la loro fattura potrebbe entrare nelle conoscenze empiriche anche di quelli che le comunità cristiane chiamavano Turchi ma che provenivano da tutte le coste del nord-Africa, purché di fede musulmana.
Il professore potrebbe offrire lumi di certezza in proposito.

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Una seconda osservazione riguarda la cartina cui si fa riferimento. Essa appare del tutto inattendibile, tanto è chiara l’incompatibilità dei luoghi con il disegno. Per cui chiedo al Professore di spiegare il valore reale da dare a simili rimandi.

Un terzo punto vorrei sottoporre al vaglio del professore e riguarda “ la sedimentazione dei saperi idraulici d’epoca romana e la loro persistenza nel corso di tutta l’età moderna”. Come a dire che la rete idrica realizzata a Ponza dai Romani continuò a funzionare fino al 1600. La qual cosa a me appare improbabile. Per questa ragione: perché il sistema idrico romano metteva in comunicazione cisterne, ville, porti, acquedotti. Aveva bisogno perciò di maestranze tecniche che visionassero periodicamente la rete dei tubi di piombo, che verificasse i livelli delle acque da cisterna a cisterna (da quella più in alto a quella più in basso). Occorreva una organizzazione di funzioni che, con l’abbandono della comunità civile e con l’occupazione dell’isola da parte di “monaci solitari”, eremiti, già fin dagli anni 812, non poteva esistere.

Insomma, a mio vedere, l’abbandono pressoché totale della popolazione stanziale lasciò il retaggio delle opere romane alla deriva e dunque al degrado.

Detto questo è certamente verosimile che gli insediamenti spontanei e indotti, nei secoli 1200, 1500 e 1600 abbiano beneficiato di quanto i Romani avevano lasciato. Come sapientemente ricorda il professor Gallia. Il quale afferma qualcosa di assolutamente nuovo quando scrive che le famiglie venute con la colonizzazione borbonica coniugarono i sapere idrici locali, tramandati nel tempo, e quelli esogeni, importati dalla terraferma.

In parole povere il professore afferma che i coloni, per soddisfare il bisogno d’acqua, copiassero le soluzioni che la storia suggeriva e che erano presenti sul territorio.

Qui mi fermo per agevolare la lettura. Altre riflessioni però si possono fare su quanto prodotto dai Borbone. Spero che il Professore intraprenda il dialogo con me, così che si possa proseguire nell’esame della questione.

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Immagine dal libro di Leonardo Lombardi: “Ponza – Impianti idraulici romani” (1996)