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L’isola di Ponza, incantevole evasione italiana, di John Irving (2)

proposto e tradotto da Silverio Lamonica
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per l’articolo precedente, leggi qui [2]

Le vetrine dei caffè e pasticcerie di Ponza espongono confezioni di torte e babà, tortine di pandispagna a forma di funghi, bagnate con uno sciroppo di zucchero e rum; pastiere, crostate di pasta frolla; sfogliatelle, paste leggermente rugose a forma di lumaca, tutte – senza errore – di fattura napoletana. Fort, che è ghiotto di dolci, si ferma ogni mattina davanti alla Pasticceria Napoletana, sul corso, a fare colazione: espresso e aragosta, una specie di sfogliatella imbottita con crema pasticciera e panna montata. “Croccante, soffice e vaporosa, mostruosamente benevola” è come la descrive. De gustibus non est disputandum.

Per quel che riguarda la cucina, Ponza, essendo una piccola isola, ha un ragguardevole numero di bei ristoranti, tutti coi tavoli su terrazze panoramiche, che sono il loro biglietto da visita. Sarebbe ingannevole parlare di una specifica cucina ponzese; più che di una certa tradizione locale, i piatti testimoniano l’esperienza dei vari chef.
L’insegna sulla porta di “Eèa”, sulla collina con veduta sul porto, dice tutto: “Cucina Mediterranea” . Il ristorante è gestito dallo chef Davide De Luca, nato e cresciuto a Ponza. È lui che ci narra per intero la storia di San Silverio. Egli fu papa nell’anno 536, poi accusato di cospirazione a favore dei goti ed esiliato da Roma. Egli finì a Ponza dove gli abitanti divennero suoi seguaci. Secondo la leggenda, fu venerato come santo dopo un miracolo in cui egli apparve ai pescatori in preda ad una tempesta al largo di Palmarola e li guidò verso la salvezza.
Detto per inciso, Silverio è il nome più comune sull’isola.

Il ristorante fu fondato nel 1951 dal nonno di De Luca, Temistocle. Intorno al 1930 le sue camere imponenti furono adibite a dormitorio per i confinati. Dice che Sandro Pertini e Temistocle erano soliti suonare il violino proprio qui. Il piatto più importante, in tutti i ristoranti, è innegabilmente il pesce.
Sull’isola l’assenza di bestiame è evidente e alla voce “Carni” i vari menu sono caratterizzati dal termine filetto. All’Eèa c’è il coniglio alla ponzese, con pomodoro e peperoncino.
De Luca dice che i conigli sono una specialità di Le Forna, un gruppo di case sulla collina a nord est dell’isola. Ma i clienti invariabilmente chiedono il pesce e così capita spesso che in famiglia si mangi il coniglio.

All’Eèa ordino merluzzo rivestito di pistacchio, servito con patate e una torretta di melenzane, caciocavallo silano e pomodori, simile ad una particolare parmigiana. De Luca è un bell’esempio di destrezza nel combinare ingredienti locali con altri importati dalla terraferma, in questo caso il formaggio calabrese.
Un altro piatto forte è ziti con dolci peperoncini verdi e provolone del monaco, un formaggio della penisola sorrentina.

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Il Grand’Hotel Santa Domitilla

Un altro posto dove mangiare è il ristorante ad una stella Acqua Pazza, gestito dai coniugi Gino Pesce (nome appropriato) e Patrizia Ronca. Il mio polpo con patate è arricchito da un purè di fagiolini in cui percepisco una goccia di aceto, seguito da un calamaro ripieno cotto a vapore con mantecato di baccalà, reminiscenza del brandade (di baccalà) provenzale. Entrambi sono prodotti originali, elementi tipici del Mediterraneo, eseguiti brillantemente in cucina da Ronca. Siamo all’inizio di stagione, ma il ristorante è già gremito dentro e fuori.

Di ritorno all’Hotel Mari, mi godo l’aria fresca della notte sul balcone, quando mi si presenta una scena curiosa. Giù nell’acqua nera del porto, appare un gommone illuminato da un raggio di luna. È guidato da un giovanotto accompagnato da quattro donne vestite elegantemente. Le ragazze saltano sulla banchina esibendo la loro destrezza con   prodezze impressionanti, poi legano la cima ad una bitta. Quindi bighellonano nell’oscurità ridendo e scherzando. Mi colpisce che la baia sia il cortile dei ponzesi, che le loro vite ruotino intorno al mare.

Al Mari, i Tagliamonte mi dicono che il modo migliore per visitare l’isola sia via mare, così un giorno ci prenotiamo per effettuare il periplo con una barca da pesca adattata a diporto. Inspiegabilmente sono stato nominato capogruppo o leader del gruppo, ciò che comporta il mio titolo è vago (in realtà non si sa come si esplica). Mi accingo a fraternizzare coi nostri compagni gitanti. Sono in otto, tutti giovani italiani. La più vivace è Mariana che si esprime come solo un napoletano sa fare. Viene a Ponza per le vacanze estive fin da quando era bambina e mai andrebbe in qualche altro posto.   Il nostro capitano è il loquace Giancarlo dalla barba bianca. Ha trascorso molti anni in Toscana, lavorando sui traghetti tra Piombino ed Elba, ma esibisce ancora una conoscenza impressionante delle coste della sua isola natia, Ponza, sorprendente quasi quanto quella di Mariana.

Il sole splende e il giro è una lunga sequela di meraviglie: le Grotte di Pilato, le gallerie sotterranee e subacquee progettate con cura, dove una volta i residenti della villa a schiera sovrastante, scendevano per godere l’aria fresca d’estate (gli antichi romani godevano le vacanze estive così come adesso facciamo noi) e allevavano murene per assicurare cibo fresco per il loro triclinio; la spiaggia di Chiaia di Luna dove i fori nella parete rocciosa di tufo giallo sono le aperture per aerare i tunnel costruiti dai romani per facilitarne l’accesso. I faraglioni torreggianti, pinnacoli di roccia, un po’ simili alle guglie delle cattedrali gotiche, altre simili alle sculture cesellate di Giacometti; la grotta del bue marino, una caverna dove la rara foca monaca, o bue marino, è stato notato recentemente dopo anni di assenza.

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Sfogliatelle appena fatte, in mostra presso un forno in una via di Ponza

Sagomate dal vento, dal mare e dalla pioggia, talvolta gli scogli sembrano tradire la durezza della roccia di cui sono fatti, per proporre altri materiali e strutture: la pelle di coccodrillo, una frusta di cuoio, tek. Non c’è testimonianza della vegetazione lussureggiante descritta da Omero, i romani abbatterono tutti gli alberi per costruire navi.

Occorrono circa 15 minuti di traversata per raggiungere la scoscesa Palmarola. Qui ci siamo infilati tra gli scogli, gettando di tanto in tanto l’ancora per fare il bagno. Ci siamo fermati per un’ora sulla spiaggia a Cala del Porto, dove c’è un piccolo ristorante. I tanti fori nella roccia retrostante sono le entrate delle case in grotta, tagliate nella roccia dai pescatori ponzesi nei secoli passati, come magazzini e dormitori improvvisati. Oggigiorno sono usate come case spartane per le vacanze estive.

Raggiungemmo un’altra baia riparata, per fiancheggiare una barca con angolo cottura per una veloce colazione a base di paccheri e tonno ed un’altra nuotata. Al ritorno appaiono poche nuvole, un debole accenno di brezza si muta in una ventata e l’acqua si riversa nella barca. Quindi il sole appare di nuovo e ci accompagna per tutta il percorso del ritorno a Ponza, via isola di Zannone, un parco naturale dove vivono i mufloni e Gavi, un semplice scoglio nel mare.

Il giorno successivo sono di nuovo per mare, sull’aliscafo diretto ad Anzio e quindi a casa.

Fine dell’odissea.

 

Nota dell’Autore
Ringrazio Matteo Rugghia, un vecchio lavoratore ponzese, per avermi aiutato ad organizzare questo viaggio.
Foto di Susan Wright   –   Agosto 2016

Tratto da: http://www.gourmettraveller.com.au/travel/travel-news-features/2016/9/ponza-island-italys-enchanting-getaway/ [5]

 

Note del traduttore
John Irving
, al secolo John Wallace Blunt Jr, è uno scrittore e sceneggiatore statunitense nato a Exeter (Regno Unito) nel 1942. Tra i suoi romanzi più famosi: “Il mondo secondo Garp”, “Le regole della casa del sidro” (da cui è stato tratto un film e per la cui sceneggiatura nel 2000 ha ricevuto il Premio Oscar) e “Preghiera per un amico”, best seller.
Matthew Fort,
inglese, nato nel 1947, scrittore e critico di rubriche gastronomiche per vari quotidiani tra cui Esquire, The Observer e Country Living (da Wikipedia).

 

[L’isola di Ponza, di John Irving (2) – Fine]