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I fichidindia (i ffechetinie)
Sono circa dieci anni che ho iniziato ad occuparmi dei fichidindia e scopro sempre cose nuove.
Che dire di questa pianta grassa e solare tipica di Ponza, forse che è simile a noi ponzesi, belli succulenti e pugnuse? Nel terreno intorno alla paletta nessuna pianta od ortaggio cresce bene perché la pianta di fichidindia ha radici superficiali ‘a ragnatela’ che assorbono tutta l’acqua e non dà spazio di crescita alle altre piante . Può sembrare strano ma ha molto bisogno di concime e acqua perché si possano poi gustare delle buone fichitinie e, ancora più strano, anche lei ha bisogno di essere potata, con la regola delle tre esse, ovvero tagliare i rami secchi, storti e stretti per cercare di ‘aprirla’, di far entrare sempre il sole al centro: Nil sine sole, nulla senza il sole. Quando in primavera dai fiori legano i frutti anche qui come per altre piante da frutta bisogna levarne un po’ se ci sono tanti frutti sulla paletta affinché poi quelli rimasti siano siano grandi e più saporiti. I fichidindia, come frutto, conviene coglierli dopo una pioggia e al mattino presto, metterli in un secchio, con una scopa levare un po’ di spine, pulirli e servirli fresche. La pianta ha diversi impieghi: quando si pota, tagliando le palette a pezzettini e passandoci sopra con la motozappa si fa concime per il terreno; con le palette novelle pulite e tagliate a fettine qualcuno ci fa pure la parmigiana che, debbo dire, non è male. L’uso più interessante rimane però, a mio avviso, l’utilizzo del succo dei fichidindia per fare sia dei liquori sia la mostarda, che può essere pura oppure mischiata al mosto d’ uva che è in parole semplici una composta di frutta essiccata. Da qualche anno ha preso piede la confettura di fichidindia che è una vera leccornia specialmente utilizzata per fare delle crostate ponzesi.
Ma avremo modo di correre ai ripari e lancio anche una sfida agli amici amanti della campagna: facciamo “un tarallo” alla Sicilia, creando un marchio DOC della “fichitinia” ponzese! *** Le cassette di fichidindia dalla Sicilia, citate da Sandro Vitiello in Commenti
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Ringrazio Domenico Musco per avermi citato nel suo interessante post sui fichidindia.
Avevo rimosso dalla memoria il particolare relativo al presepe nel palettone, ritenendolo inconsciamente poco significante; ora che lui me l’ha fatto tornare alla mente ho ricordato anche dell’altro… Mio nonno, Ciccillo Zecca, tornando la mattina dal piccolo giardino che aveva in cura, là dove c’è ora la Villa De Luca, portava sempre un cesto di fichidindia che crescevano, ben curati, sui confini delle “catene”, così come scrive Domenico. Li puliva accuratamente e noi nipoti che d’estate stavamo alla casa sopra la via Nuova – Sandro, Renzo, Lia ed io – ci facevamo la colazione.
E ancora prima quando da bambino andavo alle Forna, “abbasci’u camp”, a trovare la numerosa famiglia Romano di cui mia nonna era una componente: scendendo lungo il sentiero sterrato c’erano piante di fichidindia che separavano appunto il sentiero dalle sottostanti “catene”, dalle quali ’u zi’ Austeniell’ detto ’u Pastore raccoglieva i prelibati frutti per offrirli agli ospiti.
Bontà di gusto ormai perso e forse non più ritrovabile.
Vivo a Latina e spesso vado a Sezze, paese limitrofo; lungo i versanti della strada che porta in cima a zig-zag, ci sono migliaia di piante di fichidindia, non curate, spontanee ma abbandonate. Peccato. Sarebbe un vigoroso raccolto se qualcuno se ne prendesse cura.
E quindi credo che sia un progetto molto interessante e quindi proficuo ed utile se quanto prospettato da Domenico – un “marchio DOC della “fichitinia” ponzese”, perché no!? – dovesse essere preso in seria considerazione.
Glielo auguro di tutto cuore.
Caro Domenico, un’obiezione: perché ‘ffechetinie’ e non ‘ffechetine’? Quest’ultima parola mi sembra più simile al suono che ho sempre sentito, senza la i. Mi sbaglio? Per quanto mi riguarda, e fino a qualche anno fa, ho mangiato sempre i fichidindia degli Scotti, grazie a Italia, alla mamma zia Antonietta, e alla nonna e zia, Titina e Antonietta. Prima ancora di loro c’è stata una prozia, detta “Luisella int’i palètte” alla quale mio padre era molto affezionato, tanto che mi ha voluto dare il suo nome. Quand’ero piccola, se volevano “sfruguliarmi” un po’ mi chiamavano proprio così: però non me la prendevo. Al contrario ho sempre amato quel soprannome, e i fichidindia.
Due piccole considerazioni.
La prima: io a Le Forna ho sempre sentito la parola ffechetinie senza le prime due e.
Nei miei ricordi si dice ffctinie.
Seconda: abitualmente a fine estate compero i fichidindia nei supermercati che frequento abitualmente.
Arrivano dalla Sicilia e sono confezionati senza spine.
Quasi sempre sono di colore misto e di forma allungata.
Devo dire però che il sapore non è migliore di quelli che riesco a mangiare a Ponza.
Forse ì ffctnie di Cala Fonte sono di una razza superiore.
…E ‘i palette? E’ una pianta dalla mille sfaccettature, il reticolato interno della foglia essiccato al sole, sembra una rete da pesca di zaccalea. I nostri artisti dello stracquo ci fanno delle opere d’arte originali. Cmq Domenico sulla zona dei Conti, so che una signora ha già registrato da 10 anni il marchio della Mustarda non sarebbe male l’idea di contattarla e magari aiutarla a esportare un prodotto antico ponzese.
Fichi d’india!
Riusciremo, nella prossima stagione, ad assaporare qualche fico d’india “ponzese doc”?
Io mi metto in fila.