Ambiente e Natura

Le lanaperle e il bisso

proposto da Sandro Russo
Pinna nobilis

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Le sale d’attesa dei dentisti sono i posti delle letture improbabili, dove si riscoprono, con rinnovato interesse, le riviste che a casa sono ignorate e per mancanza di tempo messe da parte senza neanche sfogliarle.
Così è accaduto per un interessante articolo sul bisso, su un magazine di qualche mese fa [l’articolo, dal Venerdì di Repubblica, del 30 dicembre 2016, corredato di un interessante testo di Gabriella Saba e di belle foto, è riportato in file .pdf in fondo a questo articolo].

Ho riscoperto – ne sapevo già qualcosa in realtà, e mi sono anche ricordato di aver visitato il laboratorio di S. Antioco di cui si parla nell’articolo – che si tratta di un’arte antica, della filatura e tessitura dei filamenti che la Pinna nobilis, (volgarmente detta “nacchera”, in ponzese “lanaperla”) il più grande dei molluschi bivalvi, utilizza per ancorarsi al fondo.

I filamenti, stoppacciosi e opachi in natura, possono raggiungere anche i 20 centimetri di lunghezza, sono molto resistenti, e dopo trattamento si rivelano lucenti e dai riflessi dorati, caratteristiche che li hanno resi materia prima eccellente per produrre tessuti dalle tonalità calde e vive, molto richiesti ma soprattutto costosi. Ed ecco che le naturali protuberanze filamentose di questo comune bivalve (ora protetto per rischio estinzione) assumono il nome più elegante di bisso.

Fili d'oro

Sono sempre stato incuriosito dal nome ponzese e anche per avere una certa familiarità con questo bivalve che in altri tempi – quando il mollusco non era in via di estinzione, la pesca non ne era vietata, e in generale avevamo una scarsa coscienza ecologica – rappresentava un trofeo delle piccole immersioni; il tratto tra il porto (’u lanternino) e Santa Maria allora si faceva a nuoto e i fondali davanti a ’u Turone ne erano particolarmente ricchi…

Da una ricerca sul web il bisso risulta chiamato in vari modi che hanno a che fare con la provenienza dal mare e con la possibilità di farne un tessuto: “lana-pesce” e “lana penna”; immagino che la denominazione ponzese del mollusco sia in qualche modo derivata da questo uso ‘tessile’ del materiale che se ne trae.

Oltre che in Sardegna, dove attualmente vive l’ultima maestra di quest’arte dimenticata – Chiara Vigo: in calce è riportato il ritratto che ne fa la scrittrice Michela Murgia -, in un passato non troppo lontano la filatura del bisso era diffusa anche nel golfo di Taranto.
Ne ha scritto sul sito anche Adriano Madonna, nella sua trattazione sui molluschi bivalvi (leggi qui).

Pinna-nobilis

Ho chiesto a diverse persone di Ponza se quest’arte fosse approdata anche sull’isola, magari importata dalla Sardegna, per i frequenti contatti che avevano i nostri pescatori di un tempo con quella terra. Ho avuto tutte risposte negative, anche se il nome e il materiale erano conosciuti e avevano fama di cosa molto rara e preziosa.

Tessuto-di-bisso

Rinnovo la richiesta: magari qualche tessuto di bisso potrebbe far parte di una prossima mostra dei tesori contenuti nelle cascie e casciulelle delle donne ponzesi…

 

L’articolo del “Venerdì”La storia della seta del mare… di Gabriella Saba. Da Venerdì di Repubblica. 30 dic. 2016

Lo scritto di Michela Murgia: Chiara Vigo. Di Michela Murgia

3 Comments

3 Comments

  1. Mimma Califano

    30 Gennaio 2017 at 20:20

    Domanda per Adriano Madonna
    Nello scritto di M. Murgia allegato all’articolo si dice che c’è un sistema per prendere il materiale di ancoraggio della Pinna nobilis (da cui si ricava il bisso) senza danneggiare il mollusco. E’ possibile?

  2. Adriano Madonna

    31 Gennaio 2017 at 07:03

    La signora Mimma mi chiede se c’è davvero un sistema per prendere il bisso della pinna senza danneggiare il mollusco. Certo, si può fare e, come è scritto nell’articolo, si deve saper fare, poiché si deve
    asportare una parte del bisso lasciandone in sito il resto affinché il mollusco continui ad avere un forte ancoraggio al substrato. C’è sempre il rischio, comunque, che questo si indebolisca, anche se le cosiddette “ghiandole del bisso”, che si trovano all’interno del piede del mollusco, dovrebbero ripristinare il ciuffo filamentoso nella sua
    interezza, se questo ha “perso forza”. Ho letto l’articolo di Sandro Russo: è molto bello, ci offre l’occasione di entrare in un mondo sconosciuto, ormai lontano, e, come tutte le cose di questo tipo, “gioca in favore della cultura”.

  3. Sandro Vitiello

    5 Febbraio 2020 at 18:38

    Aggiungiamo questa bella notizia a quanto abbiamo scritto in passato sul bisso: la regione Sardegna ha concesso un contributo per poter salvare la sede del museo dedicato a questa particolarissima forma di tessitura.
    In Sardegna sull’isola di sant’Antioco.

    http://www.ansa.it/sardegna/notizie/2020/02/05/museo-del-bisso-e-salvo-70mila-euro-per-acquisto-sede_70380542-b606-416c-9100-d476915e6e7f.html

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