Ambiente e Natura

La vendita dei fichi d’india a Torre del Greco

di Antonio Impagliazzo

Fichi d'india a ventotene con sullo sfondo Santo Stefano

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La Preparazione

Avevo otto anni circa agli inizi degli anni ’50 quando ebbi l’occasione di partecipare ad un evento importante per l’isola, di cui custodisco il ricordo ancora oggi: la vendita dei fichi d’india a Torre del Greco (NA).

La prima settimana di settembre, quando i colori tenui dell’autunno rendevano gradevole l’aria e le scuole non erano ancora iniziate, mio padre – piccolo commerciante dell’isola – mi consentì di vivere questa esperienza straordinaria.

Il giorno per la consegna del carico e della spedizione veniva deciso dal proprietario del gozzo il quale suggeriva la scelta in base al calar del sole e al vento di ponentino previsto per il giorno dopo. Il padrone della barca comunicava ai commercianti titolari del carico la decisione di partire e questi trasferivano la notizia ai contadini: “domani si carica”.

I contadini suddivisi per zona o per contrada (Calabattaglia, Montagnozzo, Pascone, Punta Olivi, Punta dell’Arco, Contrada Le Crete, Iacono e Santomauro, Cala Rossano, le Fontanelle, etc.) organizzavano i quantitativi previsti per la vendita sin dai giorni precedenti; deponevano le “pale ”dei fichi d’india ai piedi degli arbusti su di un letto di fieno secco o sterpi di fave o arbusti d’orzo e, poi al mattino, dalla “pala intera” ne staccavano solo un pezzetto, per mantenere umido il frutto e garantirne il sapore.
I frutti raccolti, contati uno ad uno, venivano collocati nei cofanelli di saggina ognuno dei quali ne conteneva circa 32 . I facchini dell’isola, allertati dai commercianti, prendevano a spalla i cofanelli ed andavano a scaricarli sul gozzo a remi ormeggiato al porticciolo romano.

cesto di fichi d'india


Il trasporto via mare

Il gozzo a quattro remi sospendeva il caricamento dei frutti quando il mare aveva raggiunto un palmo sotto l’orlo della barca. Verso le  14,00 si allontanava dalla banchina e si portava fuori Punta Sperone a Santo Stefano ed attendeva il soffiar del primo ponentino.
Quel pomeriggio in cui andai pure io, il capitano della barca, Don Gennaro (Aiello), rivolto a me, esclamò:
 – Giuvino’, mantiene ‘u timmone stritte e nun te movere; obbedisci ai miei comandi.

Verso le 14,30 si alzò il primo vento e venne issata la piccola vela latina che ci spinse verso Ischia.

Don Gennaro il capitano, con un gozzo di legno di circa sette metri e mezzo, governato da un timone, supportato da quattro robusti remi e da una vela latina, nel momento della partenza soleva ripetere: – Vucate forte e pregate ‘a Die ca ce manne viente favorevole a poppe.
Verso le 17,00-17,30 eravamo ad Ischia e poi, vogando vogando, c’u viente ‘npoppe, si andava verso Torre del Greco ove in genere si arrivava intorno alle 18,30.

Una società immobiliare mette in vendita l'isola di S. Stefano, vicino Ventotene, per 22 milioni di Euro. Si tratterebbe, secondo l'annuncio, di 25 ettari edificabili. Sull'isola si tova il carcere dove fu rinchiuso Sandro Pertini, che per ora appartiene al demanio. Protestano i verdi che si appellano a Napolitano affinchè l'isola sia dichiarata monumento nazionale. Il faro di Ventotene

La vendita ed il ritorno all’isola

Arrivati alla banchina del porto di Torre del Greco, iniziava lo scarico dei fichi d’india che venivano sistemati a forma di piccola piramide. Don Aniello (detto ‘u Russ’), in quanto capitano responsabile anche del carico, mi guardò e disse: – Toni’, tu rimane ‘ncoppe ‘u uzze, fa ‘a guardie e nun t’alluntana’.
I curiosi ed i sensali si avvicinavano, vedevano e facevano commenti sui fichi d’india  provenienti da Ventotene. Le persone del luogo apprezzavano i frutti dal sapore pieno, dalla pasta dolce e dai piccoli semi, mentre i sensali li disprezzavano… – ‘sti ccose scarnate (*), ‘nu poche musciarelle, so’ passate ‘i tiempe, nun tenene prezze”.
Don Aniello, con voce sostenuta, allontanava e redarguiva i sensali dicendo: Va, vatte a fa’ nu gire ‘a case ‘i sòrete”.

Il tempo scorreva e quando  cominciava il buio si facevano concrete le prime richieste per uno stock finale e completo.
Verso le 20,30/21,00 si concludeva la contrattazione. Si faceva la conta finale e si chiudeva la serata, e, mentre i marinai rivolti ai commercianti del luogo, chiedevano delle grosse angurie da portare all’isola, io chiedevo una busta di noci di cocco che portavo a mia nonna Candiduccia. Questa la domenica le rompeva, le calava, contenute in un cesto, nella cisterna della curteglia e a tavola si mangiava il cocco come frutta.

Terminate le operazioni ci portavamo al centro del Golfo di Napoli e, nell’attesa del primo vento del mattino, si consumava la piccola merenda di frittata preparata dalla famiglia insieme ad una fiaschetta di “acquata”; poi una breve pennichella e da lì a poco giungeva la “prima brezza di levante” che nasceva sulle corna del Vesuvio. Verso le due circa del mattino, il primo “levantino” muoveva il gozzo ed il capitano dava l’ordine di alzare la vela latina. Un po’ di vela ed un po’ di remiandava ripetendo – ci consentiranno di arrivare adagio adagio verso la punta di Ischia di Madonna del Riposo.
E da lì, con la forza dei remi, nell’arco di tre ore si arrivava al porto di Ventotene.

La mia esperienza era terminata, ma ho dovuto attendere l’età di 17 anni circa per comprendere che io non portavo il timone ma spingevo soltanto ‘u viaggie… perché governare un gozzo è ben altra cosa.

tramonto da Ventotene

 

(*)  “scarmate”, termine usato sia a Ventotene che a Torre del Greco per definire un frutto un po’ passato, rimasto sulla pianta ben oltre il tempo di maturazione.

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