Canti

Su Santa Filomena. Aniello De Luca e il recupero dei particolari

di Rosanna Conte
Santa Filomena. Retail

 

Aniello De Luca è un pignolo. Mi ha scritto, da Roma, che bisogna circostanziare con particolari le descrizioni dei fatti di una volta e, coerentemente, mi invia alcune notiziole che vanno ad arricchire l’articolo pubblicato su Santa Filomena (leggi qui).

Avendo anch’io ritrovato altre informazioni, mi è sembrato più opportuno, invece che aggiungere un commento, scrivere un nuovo articolo.

La statua di Santa Filomena, collocata dove adesso c’è Sant’Antonio, aveva un vestito celeste e una corona d’argento. Adesso non c’è più e non si sa, per il momento, che fine abbia fatto.

In alcuni libretti di devozione usati a Ponza si ritrova che, durante la novena in onore della santa, si recitava una coroncina corredata dai seguenti canti:

– l’ode All’illibata vergine e martire invitta Santa Filomena, scritta nella prima metà dell’800 da padre Matteo D’Ambrosio, preposito generale  dei Pii Operaii,  congregazione fondata nel ‘600 dal sacerdote Carlo Carafa;

– l’inno A Santa Filomena, scritto da Giuseppe Borghi, sacerdote e letterato della prima metà dell’800, ammiratore di Manzoni, che l’ha pubblicato, nel 1831, insieme ad altri 20 inni a sfondo religioso;

– l’Inno all’Eterno in lode di Santa Filomena, composto dal sacerdote Floriano Maria De Julio,  che scrisse anche dei libri sulla nascita del culto nel 1838 e nel 1941 in concomitanza con i primi miracoli della santa; è quello che resta ancora nella memoria dei ponzesi.

Come ricordano Aniello e Adele Conte, era diviso in due parti, il coro dei fanciulli e quello delle verginelle, cantate rispettivamente dai maschietti, che in processione portavano una fascia azzurra, e dalle femminucce, che portavano la mantellina anch’essa azzurra.

Ogni coro interveniva tre volte ed ogni volta cantava cinque strofe per complessive 30 strofe. Riporto qui le prime due del coro dei fanciulli e le prime due delle verginelle.

Coro dei fanciulli

Inno sonoro e fervido
  Al Dio dell’alte sfere
  Cantiam: di là dell’etere
  Leviamo il suo potere.

Santo, Signor, terribile
  E’ il nome tuo, e il mondo
  Non vide mai da secoli
  Spettacol più gocondo.

Coro delle verginelle

La fama volò rapida
  Degli alti tuoi portenti
  Fin nelle piagge d’India
  Si scorsero le genti.

E con maggior prodigio
  Andò mai sempre a volo
  La fama sua già celere
  Dall’uno all’altro polo.

Spero di poter aggiungere al più presto anche la registrazione del motivo.

Ci dice, poi, Aniello De Luca che al termine della processione veniva distribuita a tutti una cioccolatina americana, perché  Marianna De Luca, la presidente del sodalizio nonché sua zia, aveva il marito, Girotto, in America.
La sera della festa si facevano i fuochi alla punta del Molo con u ciuccio ‘i fuoco e i rutelle pazze. Il fuochista era naturalmente Vittorio ‘u carceriere, il padre di Silverio Spignesi.

Come una ciliegia tira l’altra, anche i ricordi possono stimolarne altri.

Certo, il mondo di cui stiamo parlando è scomparso, ma la ricostruzione di un culto è un tassello che s’incastra in una lettura complessiva del nostro passato ed aiuta ad evitare un taglio netto fra generazioni diverse.

Se proviamo a contare quante e quali erano le occasioni per andare in chiesa nel corso dell’anno, ci rendiamo conto che gran parte della vita isolana si svolgeva tra funzioni e festeggiamenti profani ad esse collegate, come accadeva un po’ dappertutto, una volta.

Non sottovalutiamo le nostre piccole vicende locali: anch’esse fanno  parte della più ampia dimensione  storica.

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