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Duemilasedici: il capolinea della democrazia?

di Sandro Vitiello

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L’elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti d’America oltre che aver acceso il dibattito politico a livello internazionale, ha posto una domanda alla quale piano piano si sta cercando di dare qualche risposta.
Come è stato possibile?
Un uomo, per quanto ricco e determinato, ha sconfitto tutto l’establishement politico, economico e finanziario della maggiore potenza economica mondiale  e probabilmente cambierà la storia del suo paese.
Da subito si è parlato di ingerenze sovietiche e si è detto esplicitamente che dietro ad alcune informazioni riservate carpite alla Clinton e al suo entourage ci sia lo zampino di hacker che si muovevano dal suolo russo.

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L’ultimo numero della rivista “Internazionale” aggiunge anche un’altra storia che ci proietta in una dimensione molto triste: la manipolazione scientifica degli elettori.
Qualche giorno fa Sandro Russo ci segnalava l’articolo di Marino Niola su Repubblica “L’inganno della post-verità” (leggi qui [2]).
Le bufale che circolano sui social network e in rete a furia di essere ripetute e condivise diventano verità e le conseguenze di ciò provocano danni alla vita delle persone e alle attività economiche.
Non solo a chi le subisce ma anche a quanti contribuiscono a diffonderle.

Sempre più spesso vengono chiamati a risponderne.
Fino ad un paio di giorni fa non sapevo che esistesse una branca della psicologia chiamata psicometria (o psicografia): studia il profilo psicologico delle persone analizzando dati e comportamenti.

Poi ho letto un articolo di Hannes Grassegger e Mikael Krogerus della rivista svizzera “Das Magazin” riportato sul numero 1186 della rivista “Internazionale” e mi è venuto in mente Orwell e il suo capolavoro “1984”.
L’angoscia di quella lettura che parlava di un mondo completamente controllato da un’entità superiore si è ripresentata e mi ha fatto pensare che nel mondo orwelliano si era prigionieri di un sistema autoritario.
Nel nostro mondo scegliamo noi di metterci in una gabbia che ci fa credere di essere più liberi che mai.
Il professor Michal Kosinski è uno dei massimi esperti di psicometria. Da una decina di anni le sue ricerche hanno portato ad un livello impensabile l’analisi dei comportamenti e del pensiero umano.
Negli anni ottanta due equipe di scienziati hanno teorizzato che ogni caratteristica di una persona può essere misurata in base a cinque aspetti della personalità.
I cosiddetti big five.

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I dati per definire le caratteristiche di ogni persona venivano raccolti attraverso questionari lunghi e noiosi.
Nel tempo queste ricerche si sono affinate e il professor Kosinski in collaborazione con altri grandi scienziati è arrivato ad analizzare l’essenza di una persona attraverso l’analisi di quelli che vengono definiti i big data.
Cosa sono i big data?
Sono tutte quelle informazioni che riguardano la nostra persona, che noi lasciamo in giro come le mollichine di Pollicino.
Il nostro smartphone sempre acceso che racconta dove siamo, dove ci fermiamo e quanto tempo passiamo nei luoghi della nostra vita.
La tessera punti del supermercato che associa il nostro nome a come spendiamo i nostri soldi quando facciamo la spesa.
Le informazioni che cerchiamo su Google, gli acquisti che vorremmo fare su Amazon, i video che guardiamo su Youtube e non ultimo l’uso che facciamo di Facebook.
Facebook è diventato il nostro avatar molto più ricco di informazioni su di noi di quanto noi crediamo di sapere della nostra persona.

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Le ricerche di Kosinski ormai affermano che con 70 like – i cosiddetti “mi piace”– ne sanno più loro di quanto i nostri amici sanno di noi.
Con 150 like l’indagine ci conosce meglio dei nostri genitori e con 300 meglio della persona con cui abbiamo scelto di vivere.
Oltre questi numeri “il grande fratello” sa di noi più di quanto noi crediamo di sapere della nostra persona.
Non si tratta ovviamente di monitorare solo i “like”: tutto può essere oggetto di indagine. Le foto che postiamo, i profili che visitiamo e tutto il resto.

Kosinski capì le potenzialità delle sue ricerche e anche i rischi che potevano derivare da un uso distorto delle informazioni raccolte.
Segnalò che il suo metodo poteva “costituire una minaccia per il benessere, la libertà e persino la vita delle persone” ma intanto, oltre a Facebook, altri soggetti lo avvicinarono per chiedere la sua collaborazione.
Con fatica riuscì a capire che dietro ai suoi interlocutori c’era una società chiamata “Cambridge Analytica” e che questa società si era appropriata del suo sistema di analisi dei big data.
Da quel momento il suo nome è stato associato anche ad un uso distorto dell’analisi dei dati raccolti on-line.
Lui ha fatto di tutto per dimostrare la sua estraneità alle attività di “Cambridge Analytica” ma ormai questa società è diventata un colosso nella consulenza per le più svariate attività.

Il banco di prova ad un livello alto è stato il referendum inglese sulla Brexit.
Il gruppo di Nigel Farage, quello più antieuropeista, nel novembre 2015 ha affidato la sua campagna referendaria on-line a Cambridge Analytica.
Il punto di forza dei servizi offerti da Cambridge Analytica era il micro-targeting: una campagna referendaria tagliata su misura di ogni elettore a cui si dicevano le cose che questi voleva sentirsi dire.
Loro lo sapevano cosa dire. Lo avevano capito misurando la personalità degli elettori con quel metodo codificato negli anni ottanta e perfezionato dal professor Kodinski.
Al di la di tutte le previsioni Farage e il fronte anti-euro hanno vinto il referendum.

Elezioni presidenziali americane
Trump ha speso meno della Clinton nella sua campagna elettorale.
Trump non ha mai messo in difficoltà la Clinton nei dibattiti televisivi.
Non aveva l’appoggio convinto della sua parte politica. A dire il vero neanche la Clinton.
Eppure malgrado tutta una serie di grossolanità sparate in campagna elettorale ha vinto ed è diventato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America.
Dietro il suo successo c’è anche la Cambridge Analytica.

Questa società era già presente nelle primarie repubblicane dove aveva collaborato con il candidato Ted Cruz che, da perfetto sconosciuto, è riuscito a contrastare Trump fino alla fine.
Trump – dice l’articolo dei due giornalisti svizzeri – ha vinto anche grazie ad un mix di campagna elettorale costruita intorno alle post-verità e ai messaggi elettorali che hanno invaso gli smartphone o i computer di quanti erano indecisi o che abitualmente non votavano.
La società Cambridge Analytica, se interpellata, non dice quanto il suo lavoro sia stato importante nel decidere i destini americani ed europei.
E’ un dato di fatto che questo nuovo modo di pensare la democrazia è sicuramente pericoloso e manipolatorio.

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Certamente il controllo della comunicazione da sempre è stato un valore aggiunto nella formazione della classe dirigente.
In questo caso però siamo in presenza di un sistema di controllo che noi concediamo attraverso le nostre azioni e i nostri atteggiamenti pubblici o privati.
Alcune nazioni hanno sicuramente delle leggi a tutela delle informazioni che i cittadini lasciano di sé ma altre non si pongono questo problema.
Sarà sicuramente un banco di prova importante capire se il nostro futuro ci appartiene ancora.