Carannante Martina

Il giro dei presepi (parte terza)

di Martina Carannante

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Il tour continua e arriviamo nell’altro versante dell’isola, alla contrada di Le Forna che più delle altre ha coltivato il culto del presepe.
La Chiesa dell’Assunta in Cielo è una San Gregorio Armeno in piccolo, perché il suo imponente presepe campeggia per l’intero anno nella navata laterale. Padre Salvatore accoglie giovani ed adulti che con grandissimo impegno e un lavoro da veri artisti portano a termine l’opera giusto per la notte di Natale.
La squadra del “Russullilo” (Silverio Avellino) come progettista vede l’aiuto e l’appoggio di numerosi amici e di svariate età: Geppo, Bisio (Francesco Feola), Massimo Vitiello, Eugenio Vitiello, Errico Aprea, Davide Villone e tanti altri. Quest’anno il tema del presepe, sempre legato all’attualità, vede rappresentata la contrada di Le Forna com’era, prima che la Samip distruggesse il tutto. Case ormai scomparse e luoghi per me irriconoscibili. Questo presepe oltre ad essere una fantastica opera artistica è la testimonianza reale di un passato ormai lontano.

La base del presepe

La base del presepe

Montando il cielo

Montando il cielo

Lo scheletro del presepe

Lo scheletro del presepe

Il presepe sta prendendo forma.

Il presepe sta prendendo forma

Silverio Avellino, l'architetto, all'opera.

Silverio Avellino, l’architetto, al lavoro

Massimo Vitiello concentrato sul suo lavoro.

Massimo Vitiello concentrato sul lavoro

Piccoli e grandi artisti all'opera!

Piccoli e grandi artisti all’opera!

casetta tipica isolana.

casetta tipica isolana

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Guarda qui il video di Antonio Ricciolino Vitiello con i particolari del presepe delle Forna (per la versione a schermo intero cliccare sul simbolo delle due freccette in basso a dx):

https://www.facebook.com/antonio.r.vitiello/videos/10208955459502537/

 

Note
Per le foto si ringrazia Rossano Di Loreto.

Ringraziamo tutti coloro che si sono prodigati a realizzare queste opere stupende e personalmente lancio l’appello affinché tutto ciò non vada completamente perso.

[Il giro dei presepi (parte terza). Continua]
Per la prima parte del reportage, leggi qui;
per la seconda parte, leggi qui

 

2 Comments

2 Comments

  1. La Redazione

    28 Dicembre 2016 at 22:28

    Al pezzo di base sono state aggiunte ulteriori foto relative alla costruzione del presepe concesse da Silverio Avellino.
    Lo ringraziamo per le foto e per il suo impegno.

  2. vincenzo

    29 Dicembre 2016 at 10:11

    Silverio Avellino e i suoi tanti amici fornesi ci hanno voluto ricordare una parte della nostra isola all’inizio dell’avvento della miniera – poi diventata cava – SAMIP.

    In un articolo precedente io scrivevo:
    “Per tanti anni, i ponzesi sono vissuti sull’isola raccogliendo i prodotti della terra e del mare; proteggendo le loro proprietà, indirettamente proteggevano l’ambiente naturale: una somma di proprietà terriere coltivate e curate costituivano l’intero territorio per cui i ponzesi inconsapevolmente proteggevano l’ecosistema isola.
    Ma dagli anni ’30 fino agli sessanta c’è stato qualcosa che ha rotto questo equilibrio tra le famiglie ponzesi, le loro proprietà e l’ambiente naturale.

    Su Ponza è nata una miniera poi diventata cava che ha scavato, deturpato, inquinato, dissestato, aggredito case, strade, fatto emigrare intere famiglie dall’isola.
    Per la prima volta un proprietario esterno, con mezzi economici e politici straordinari veniva ad impossessarsi di una parte della nostra isola; utilizzando un potere di persuasione per i ponzesi (il lavoro) e con mezzi meccanici (le ruspe) veniva a rompere quegli equilibri ecologici e sociali che erano venuti precedentemente a fondersi tra la popolazione residente e l’ambiente isola.

    L’esperienza della miniera è stata oltre per l’ambiente naturale, per molti fornesi, traumatica: sono stati cacciati dalle loro case, dalle loro terre e per un ponzese essere cacciato dalla propria terra è come essere espropriato della propria anima.
    Cosa succedeva nella mente delle famiglie fornesi che vedevano i loro terreni comprati dalla Samip, le loro case distrutte, quell’ambiente che veniva stravolto, il verde dei terreni coltivati diventava bianco, grigio, polveroso a seguito della deturpazione delle ruspe?
    A ripensarci a distanza di 50 anni dalla chiusura della Samip, quella attività estrattiva la possiamo definire una “diseconomia” perché era un’attività non compatibile con l’ ambiente naturale e con la fragilità dell’ecosistema di un’isola.”

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