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Il romanzo di Domenico Imperatore: “Risalire il fiume”

romanzo-di-domenico-imperatore-retail [1]presentazione di Giuseppe Mazzella
risalire-il-fiume-copertina [2]

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«Un uomo per essere in pace con se stesso
deve sempre dare tutto quello che può»

Dalla IV di copertina del libro (Edizioni Robin, pagine 256; 2016)

Il libro racconta la storia di un uomo nato vecchio.
Ci sono immediatamente le perplessità della gente semplice del mondo rurale in cui la vicenda ha inizio, poi il passaggio nella puerizia e il successivo approdo al periodo della scuola, seguito dagli anni dedicati al lavoro, durante i quali arriva l’occasione di sposarsi perché è giunto il momento della corrispondenza tra l’età e l’aspetto.
I giorni scorrono tra episodi alquanto particolari, con accadimenti che riflettono una quotidianità molto variegata, dove anche la delinquenza trova un posto di rilievo.
Intanto il personaggio continua a ringiovanire e diventa talmente ragazzo da dover essere prepensionato, però lo Stato non rinuncia all’eccezionale connubio tra la sua esperienza e l’aspetto fisico e gli affida una serie di incarichi per conto dei servizi segreti.
Termina la vita dedicandosi alla lettura e la sua considerazione finale è che nell’esistenza ha dovuto, metaforicamente, risalire il fiume evitando, paradossalmente, di porsi controcorrente.

 

Pubblichiamo qui di seguito la presentazione del libro di Domenico Imperatore da parte dell’amico Giuseppe Mazzella, avvenuta sabato 3 dicembre a Cerri Aprano (SS. Cosma e Damiano); sala Polifunzionale “Comunità Insieme”.
La Redazione

 

Domenico Imperatore

Plinio, già Plinio: forse non è un caso che sia proprio questo il nome del protagonista del romanzo di Domenico Imperatore, “Risalire il fiume”.

Plinio, dicevo, Plinio il Vecchio, l’autore della più famosa “Enciclopedia” dell’antichità, era un grande studioso e un instancabile lettore. Comandante in capo della Flotta di Miseno, poteva contare su numerosi schiavi, grazie ai quali, spostandosi in lettiga, poteva continuare a dedicarsi alla riflessione e alla scrittura.

Domenico Imperatore, per gli amici Mimmo, anche lui nel ramo di Plinio, ma nell’esercito di terra, più sobriamente, come è del resto nel suo stile, per oltre quarant’anni ha viaggiato in treno, una sorta di lettiga moderna, per raggiungere il luogo di lavoro dal suo amato Paese. Ogni mattina, quando l’alba non era ancora nata, partiva con la sua borsa di carte e libri, per rientrare a notte inoltrata.
Una scelta voluta e ostinata, la sua, e mai rimpianta, anche perché se per tanti le lunghe ore di viaggio erano stancanti e noiose, per lui costituivano tempo prezioso da dedicare alla cultura. Leggere, leggere, leggere, una passione vorace iniziata sin dall’infanzia, come del resto ci fa sapere anche in questo suo ultimo romanzo. Ore fruttuose, anche nelle soste impreviste e nei ritardi ormai endemici delle ferrovie, che finivano per favorire alla fine la sua sete di conoscenza.

Letture appassionate e intense che si andavano ad aggiungere a quelle del fine settimana nel tepore e nella pace del suo Parchetto, un microcosmo alla periferia del suo Paese, letture che originavano pensieri e idee che Mimmo annotava prima su un quadernetto da viaggio, per poi trascrivere con accuratezza su un librone che, amo immaginare, conserva gelosamente nei recessi della sua biblioteca. E questo per decenni. Pensieri, riflessioni, memorie che andranno a sedimentarsi in quella che costituirà la sua poetica.

Io sono stato tra i suoi compagni di viaggio, sulla tratta Minturno-Roma, per quasi un quarto di secolo. Mimmo, quando poteva, occupava sempre lo stesso posto nello scompartimento. Un’abitudine che mi ha trasmesso.

Nei primi tempi – si era verso i primi anni novanta – quando ci si incontrava, ci salutavamo appena. Mimmo, di poche parole, educato e timido, ricambiava il mio con il suo saluto solare, per tuffarsi quasi subito nella lettura. La sua stessa educazione, che possiamo ben dire un po’ militare, lo teneva lontano da noi viaggiatori più ciarlieri e rumorosi. Quando, dopo qualche mese, scoprimmo i nostri reciproci interessi per la letteratura, Mimmo cominciò sempre più spesso ad interrompere le sue letture, per lanciarsi volentieri in lunghe e appassionate discussioni.

Nasceva così non solo la nostra amicizia, ma un proficuo scambio di idee, con il confronto su nuove letture, nell’analisi di autori vecchi e nuovi, su idee politiche, su classici o nuove sperimentazioni.

In quei viaggi in treno, nonostante la stanchezza che andavamo accumulando, le idee sembravano scaturire sempre fresche e a volte originali, arricchendo e rivitalizzando la nostra cultura e passione letteraria.

Mimmo, sin dalle scuole inferiori ha desiderato diventare uno scrittore ma, timido al punto da non poterlo confessare neanche a se stesso, teneva segreta la sua aspirazione.

Negli anni della prima giovinezza si era misurato timidamente con la poesia, raccogliendo le sue composizioni in alcune pubblicazioni che hanno riscosso un buon apprezzamento. Ovviamente non ho mai sentito Mimmo parlare della sua produzione poetica a chicchessia e tanto meno della sua segreta passione.

Per sentirlo accennare a quel suo mondo gelosamente tenuto nel cuore, ci sono voluti anni e stimolanti discussioni.

Il suo essere schivo e ferocemente autocritico, infatti, è sempre stato di gran lunga superiore alla sua stessa ambizione. E questo lato del carattere l’ha certamente frenato. Anche con questo libro, che in un incontro recente, mi confessò avrebbe chiuso le sue fatiche letterarie, ho potuto cogliere ancora una volta la sua eccessiva severità con se stesso, quasi a farsi perdonare un peccato grave.

Ovviamente la sua dichiarazione di intenti non solo non mi convinse ma, sono certo, il che è anche un augurio, nella sua mente, se non ancora sulla carta, immagino stia già elaborando un nuovo piano d’attacco.

Come un generale, infatti, che è fra l’altro il grado che gli compete, Mimmo non comincia mai a lavorare alla stesura di un libro senza aver prima pianificato la storia, amalgamato i personaggi, provveduto alle schede identificative degli ambienti, valutato ogni possibile variante, annotato i tempi e gli sviluppi dell’azione. Da buon stratega, immagina lo svolgersi della battaglia narrativa fin nei più minuti particolari, prima di tuffarsi nella creazione.

Anche per il suo primo romanzo, “Un’infanzia”, nonostante l’empito poetico che lo travolgeva ad ogni pagina, faticò molto a “stendere” la materia incandescente della sua fanciullezza. La sua preoccupazione, infatti, resta sempre quella di non essere all’altezza, dotato com’è di uno spirito autocritico acutissimo, che gli deriva anche dalla gran messe di letture, e che finisce però spesso per frenarne l’ispirazione.

Anche in questa nuova opera, Mimmo celebra il suo angolo di mondo, il Parchetto, un ambiente ancora in gran parte incontaminato, dove vivono persone legate ad un tempo e a riti ormai quasi scomparsi: la coltivazione della terra come impegno duro, ma anche come comunione con la natura; le vicende dolci e amare della vita, accettate con umana, se non gioiosa rassegnazione; le aspirazioni realizzate o solo desiderate, che appaiono più accettabili quando sono condivise.

Mimmo, con questo nuovo romanzo, ha voluto ancora una volta, come in un processo di rivisitazione magica, ripercorrere la sua vita, benché al contrario, dalla piena maturità alla nascita, esplorando l’inesausta ricerca del senso della vita. E della vita del suo Paese, della sua famiglia, dei suoi vicini dall’animo semplice, ma vivi e religiosamente ancorati ai valori profondi, in un mondo dove ognuno svolge il proprio compito con serena fermezza.
Un mondo dove ogni gesto ha un senso, ogni parola un valore, dove anche i silenzi hanno un significato profondo, in cui lo scrittore trasfonde il convincimento che ogni persona deve dare il massimo di sé, per rispetto di se stesso, degli altri, della sacralità della vita.

Di questo romanzo conoscevo la genesi già da alcuni anni, al tempo del nostro comune viaggiare. Nello scambiarci confidenze e pareri sulle nostre letture, Mimmo un giorno mi disse di stare immaginando di scrivere un nuovo libro. E poco più. Anche in quell’occasione, infatti, mi parlò con la sua abituale sobrietà, per confessarmi, qualche tempo dopo, di essersi improvvisamente bloccato dopo aver scoperto l’esistenza di un racconto costruito sulla sua stessa idea, del famoso scrittore americano Scott Fitzgerald (The Curious Case of Benjamin Button): la storia di un uomo la cui vita si svolgeva a ritroso dalla vecchiezza alla nascita. La scoperta l’aveva come svuotato, come racconta lui stesso nelle pagine introduttive del romanzo. Forse fui tra i primi a sapere del suo nuovo lavoro e dell’improvviso blocco, e mi sforzai subito di spingerlo a continuare, convinto come ero che ogni storia, benché simile, ha radici e ispirazione diversa. E che quel precedente, benché illustre, non potevo in alcun modo averlo condizionato, tanto più che Mimmo quel racconto, poi diventato famoso anche per una riduzione cinematografica, lui non l’aveva mai letto.

Lo sollecitai, quindi, al lavoro, senza tentennamenti.

Mimmo, ai miei inviti, mi guardava un po’ incredulo, pensando che volessi solo confortarlo. Gli andavo ripetendo che quello che identifica un’opera letteraria non è la storia – in fondo le storie se andiamo a vedere si somigliano un po’ tutte – ma la materia e la sostanza con cui è formata, il mondo al quale è ispirata, la sensibilità unica del creatore.

Era il 2015. Di ritorno da Roma, in una calda serata di inizio primavera, ci salutammo alla stazione di Minturno. Mimmo mi disse che aveva deciso di andare in pensione. Io, invece continuavo i miei viaggi da pendolare.

Passarono mesi senza che lo incontrassi. Passò l’estate, venne l’autunno quando, rientrando dai miei impegni di lavoro estivi, speravo di poterlo incontrare, magari in treno, per un viaggio a Roma, che immaginavo per salutare i suoi ex colleghi di lavoro o per la visita a qualche mostra. Non lo incontravo, ma chiedevo continuamente notizie di lui agli altri amici pendolari.

Uno mi disse del suo quotidiano giro in bici all’edicola di Grunuovo per l’acquisto dei giornali; un altro mi confermava la sua presenza fissa alla prima Messa della domenica alla piccola chiesa di San Luca. Ero indeciso sull’opportunità di andarlo a trovare, disturbando la quiete guadagnata dopo tanti anni di lavoro e di pendolarismo, una serenità allietata di recente dalla nascita di due nipoti. Ero sospeso sul da fare, quando da un suo vicino di casa ebbi l’informazione rassicurante che la luce del suo studio restava accesa fino a tardissima ora. Era la notizia che aspettavo: Mimmo aveva ripreso il lavoro del romanzo, che da oggi tutti possiamo leggere e godere.

Dell’opera ha già abbondantemente e brillantemente parlato la professoressa e scrittrice Edvige Gioia.
Vorrei aggiungere solo qualche brevissima riflessione.

La scrittura di Mimmo è quello che un tempo si chiamava “onesta”, che ci riporta alle buone letture, dove la realtà è raccontata con realismo e passione, senza mistificazione, con quel sentimento necessario che vive dentro una vocazione vera di scrittore, che sente l’urgenza di testimoniare.

Risalire il fiume è un’opera vera, che affonda le radici nel cuore profondo e complesso dell’uomo, in una umanità che conserva un tenace e sano legame con la vita, che esalta e illumina la memoria e le tradizioni della nostra terra.

Questo libro non è solo lo specchio della vita di Mimmo, dei suoi familiari e della comunità di cui è parte, ovviamente rivisitati con l’occhio della poesia, ma una dichiarazione d’amore verso questo angolo solitario, forse un po’ fuori del tempo, in cui protagonisti e comprimari assumono pari dignità in una storia corale, dove la speranza di uno è la speranza di tutti.

Oggi, oltre a godere assieme a tutti voi della sua nuova opera, voglio ringraziare Mimmo per aver arricchito ulteriormente il nostro patrimonio culturale, rinnovandogli la nostra amicizia e la nostra stima. Voglio infine ancora ringraziarlo a titolo personale per avermi dato l’opportunità di parlare un poco di lui e delle sue grandi passioni, la lettura e la scrittura, anche perché se avessimo dovuto aspettare lui, avremmo atteso invano.
Grazie.

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