Arte

Per il 25 novembre: la storia di Uranita Cabral

di Rosanna Conte

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No, non è proprio il caso di scriverne contro voglia.
Certo, il 25 novembre è una ricorrenza che non mi trova indifferente, ma, come ogni ricorrenza su problemi attuali – l’inquinamento, il risparmio, gli immigrati, la guerra, la fame nel mondo, le diverse malattie ancora incurabili, ecc… – , si scontra con quanto negli altri 364 giorni dell’anno si fa a tutti i livelli per affrontare e risolvere il problema, diventando così la giornata in cui siamo sommersi dalla retorica.

Il tema di oggi – l’eliminazione di ogni forma di violenza sulle donne – non si sottrare a questa sorte e non mi va di entrare nel tritacarne della comunicazione che tutto macina, ma ben poco o nulla lascia nella mente e nel cuore delle persone, se non l’impressione che si è innocenti perché passati attraverso il lavacro di immagini e parole giuste.

Probabilmente ha maggiore incisività e miglior fortuna l’arte che trova strade tutte sue, e molto personali, per arrivare alle coscienze.

Tanti sono i romanzi, i film o le poesie di alto livello che trattano il tema di oggi, e si creerebbe l’imbarazzo della scelta se volessi farne un elenco.
C’è, però, un romanzo che mi sento di suggerire oltre che per la sua fattura – dalle tecniche narrative alla varietà e profondità delle tematiche – anche per il suo legame con la ricorrenza di oggi.

Sappiamo che questa data è stata scelta nel 1999 dall’ONU, su richiesta di un gruppo di donne attiviste latino-americane, perché, proprio in questo giorno, 25 novembre 1960, furono assassinate Minerva, Prato e Maria Teresa Mirabal dopo essere state torturate, massacrate a bastonate e strangolate. Vivevano nella Santo Domingo del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, al potere dal 1930.

La festa del Caprone (La Fiesta del Chivo, 2000), di Mario Vargas Llosa (premio Nobel per la Letteratura 2010), ci fa rivivere la società dominicana quando era prona davanti al Benefattore – tale veniva considerato e così veniva chiamato -, priva non solo dell’idea dei diritti inalienabili dell’uomo, ma anche del senso della dignità umana.

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Le vicende narrate accadono nell’ultimo periodo della dittatura di Trujillo che si chiude il 30 maggio del 1961 col suo assassinio.

Molti sono gli spunti di riflessione che offre il romanzo, come l’annullamento della persona nel momento in cui si affida all’uomo forte, la violenza di chi ha assunto il potere per mantenerlo, il ricatto perpetuo a cui è sottoposto il complice, l’idea che esistano uomini eccezionali a cui tutto è, non solo permesso, ma addirittura dovuto.

Ecco, e le donne non sono che un momento di distrazione per Trujillo che la propaganda vuole al lavoro per il bene del suo popolo dall’alba a mezzanotte, sette giorni alla settimana, dodici mesi all’anno. Senza mai riposare.

In larga parte di questo popolo, in particolare nei ceti alti,  ormai privo di dignità, si è onorati delle attenzioni del Benefattore anche per la propria moglie e, dal canto loro, le donne non si sottraggono: volenti o nolenti sanno che un loro rifiuto potrebbe gettare nella disgrazia la famiglia.

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Il grande caprone – Raffigurazione del Sabba (Akelarre in basco) è un celebre dipinto a olio su tela di Francisco Goya (1795). Il caprone, simbolo diabolico, officia un rito di streghe nella notte. La scena potrebbe svolgersi all’alba o al tramonto.

Ma il Caprone ama anche le giovanissime che vengono sacrificate sull’altare della ricchezza e del potere personale.

“Mai più un uomo mi ha messo una mano addosso, da quella volta. Il mio unico uomo è stato Trujillo. E’ come ti dico. Ogni volta che qualcuno mi si avvicina, e mi guarda come donna, provo schifo. Orrore. Voglia di vederlo morire, di ammazzarlo. E’ difficile da spiegare. Ho studiato, lavoro, mi guadagno bene da vivere, è vero. Ma sono svuotata e piena di paura, ancora. Come quei vecchi di New York che passano la giornata nei parchi a guardare il vuoto. Lavorare, lavorare, lavorare fino a crollare esausta…”

E’ Urania Cabral, tornata a Santo Domingo 35 anni dopo la violenza.

A soli 14 anni Uranita era stata offerta dal padre, ex-presidente del senato caduto in disgrazia, al grande Benefattore per essere perdonato di non si sa cosa.
Il suo personaggio ci consente di comprendere quanto grande fosse la miseria umana e spirituale che impregnava quella società, ma ciò non impedì che si formasse un’opposizione politica.

Minerva Mirabal rifiutò apertamente le avance di Trujillo e la sua dittatura, già da ragazza. Successivamente, con suo marito, fu tra i fondatori del movimento rivoluzionario  14 giugno di cui erano parte anche le sue sorelle, Patria e Maria Teresa, ed i rispettivi mariti. L’assassinio delle tre sorelle  accelerò l’organizzazione  dell’attentato effettuato il 30 maggio del 1961, in cui Trujillo fu ucciso.

La figlia di Minerva, Manou Tavarez Mirabal, filologa, docente universitaria e prima  candidata donna alla presidenza della Repubblica Dominicana nelle scorse elezioni di maggio, rileva giustamente la particolarità di questa ricorrenza che vuole non solo sensibilizzare, ma dare visibilità ad un problema che per troppo tempo è stato considerato tabù.

E noi in Italia lo sappiamo bene. Solo dopo il coraggioso rifiuto di Franca Viola di sposare il suo violentatore nel 1965 è iniziato un percorso che ha visto discussioni pubbliche sul tema e solo dopo 16 anni, nel 1981, è stata abolita la legge del matrimonio riparatore.  Ma non è tutto perché bisogna arrivare al 1996, dopo tante lotte delle donne, per vedere riconosciuta la violenza sessuale come reato contro la persona e non contro la morale.

Se ancora oggi ci sono vittime restie a denunciare, per vergogna, le violenze subite, vuol dire che c’è ancora parecchia strada da fare.

E certamente non bastano le parole.

 

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La casa di Urania, la protagonista del romanzo di Vargas Llosa, ha un albero di flamboyant (Delonix regia, fam. Leguminose) che si espande proprio sulla veranda

 

Leggi qui il primo capitolo del romanzo (14 pagine), in file pdfla-festa-del-caprone-di-mario-vargas-llosa-il-primo-capitolo

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