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La scommessa di vivere su quest’isola

di Francesco De Luca
old-and-new [1]

 

Eccoci qua, di nuovo, come ogni anno. Con l’inizio delle lezioni scolastiche si fa avanti per i ponzesi la domanda: si riuscirà a vivere dignitosamente il prossimo periodo dell’anno fino a maggio?

Il cinico risponderebbe secco: la tua vita è affar tuo, amico, non la puoi addebitare ad altri! Ma il ponzese si nutre di saggezza popolare e si appiglia a quell’avverbio dignitosamente e cerca di riempirlo di concretezza. E nel farlo costata le difficoltà.

Anzitutto la riduzione della popolazione stabilmente residente. Calerà anche quest’anno, in modo lieve ma costante. La risonanza più marcata di questo fenomeno la si vedrà nella Scuola. Meno alunni, meno classi, meno insegnanti, meno qualità nell’insegnamento, meno sprone a permanere sull’isola.

La cosa è risaputa ma non viene affrontata col giusto piglio. La si accetta come necessaria e si cerca di parare i danni.

L’esperienza dell’ultimo decennio ha dimostrato che ai danni non c’è fondo. Si precipita sempre più in basso. Cosa occorrerebbe fare? Non seguire la strada della rassegnazione. Occorre cercare una via che propugni iniziative, inventi soluzioni, sfidi l’irreparabile.

Non ho ricette risolutive perché non compete a me metterle in campo, ma attendere che il destino si compi non è la cura.

Insieme ai giovani vanno via i vecchi. Cercano compagnia affettiva, sicurezza medica, comodità.

Con essi la comunità perde la memoria storica, la ripetitività della tradizione, il sapore dell’identità. La vita comunitaria nell’isola diviene preda di improvvisatori che dall’altare o dalla cattedra o dal balcone impongono nuovi riti, nuovi percorsi didattici, nuove usanze.

Il nuovo? Il nuovo deve riguardare i mezzi tecnologici, le soluzioni organizzative, le procedure. Non l’anima della comunità. Questa va protetta, abbellita, valorizzata.

Cosa rimane dell’enorme traffico turistico che ci ha avvolto, travolto, coinvolto? Rimane il guadagno.
Ma esso come ricade nell’architettura sociale della comunità?
Migliora le comunicazioni? No.
Migliora la coesione dei gruppi sociali Porto – Le Forna? No.
Migliora le prestazioni sanitarie del Presidio medico? No.
Migliora il nostro vivere sociale? No.

Cosicché la dignità del vivere sull’isola è demandata esclusivamente alla volontà, alla disponibilità dei singoli, delle famiglie. Ciascuno in casa propria, a rimuginare quanto poteva fare e non ha fatto, a ipotizzare gli introiti dei vicini, a vigilare affinché la proprietà non sia usucapita, a tentare di mettere piede in quella grotta di cui non si è proprietari ma che è così vicina, eppoi … è abbandonata da chi sa quanti anni!

Senza futuro. Una dignità calpestata perché non si nutre di speranze, di orizzonti.

Una comunità priva di dignità perché ci è stata rubata. Anzi… abbiamo permesso che ce la rubassero.