Ambiente e Natura

Viaggi (3). L’approccio con una realtà diversa

di Sandro Russo

 

Il malessere di fronte al diverso, all’incomprensibile, a situazioni, attività, anche espressioni artistiche non inseribili nelle proprie categorie mentali, sono in grado, qualche volta, di determinare addirittura sintomi clinici.
E’ nota la ‘Sindrome di Stendhal’ dal nome dello scrittore per primo descrisse su se stesso durante un viaggio in Italia (1817):
“Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere” – [Rome, Naples et Florence”, reportage di viaggio di Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal, del 1817, solo in francese]

Per analogia è stata applicata per la prima volta nella letteratura medica (1979) ad alcuni turisti in gita turistica a Firenze, che presentavano disorientamento, crisi di panico, confusione mentale. Da allora il termine è entrato a far parte delle categorie del disagio mentale.

magherini-sindrome-di-stendhal Graziella Magherini: “La sindrome di Stendhal” – Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte (Edizioni Ponte alle Grazie; 2003)

Un tipo particolare di sindrome di Stendhal si sperimenta con i viaggi; da allora sono state descritte diverse psico-patologie analoghe come la “Sindrome di Gerusalemme”, la “Sindrome indiana” e la “Sindrome di Parigi”.

sindrome-di-gerusalemmeGerusalemme

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fous-de-lindePazzi per l’India

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La sindrome di Stendhal è anche un film, di Dario Argento del 1966, un horror psicologico con protagonista Asia Argento

***

Un salto nello spazio e nel tempo e ritroviamo il disagio che può prendere ciascuno di noi di fronte al cambiamento, specie se veniamo da situazioni di inquadramento e regolarità di vita.

Più comunemente all’arrivo in un paese straniero si è frastornati, muti, tendenzialmente di cattivo umore, con una bassa soglia di aggressività nei confronti dei locali e di chi ci sta intorno (amici e nemici).
Forse c’entrano in minima parte la stanchezza del viaggio, il cambiamento del fuso orario; ma non è quello il problema maggiore.

È che abbiamo bisogno di riferimenti, categorie, griglie conoscitive. Anche la più svagata e fantasiosa delle persone può abbandonarsi all’onda solo all’interno di un sistema noto. Ma come fare a smantellare le sovrastrutture preesistenti?

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Qui a Phnom Penh [Cambogia, gennaio 2004 – NdA] abbiamo visto folle in movimento casuale. La lingua che parlano è incomprensibile, come la nostra per loro. Gli stessi gesti per dire – Si e no, ‘Avanti e indietro’, ‘Dove? e Cosa?’ – sono diversi. Non si comprendono le forze che determinano le azioni e le reazioni, il funzionamento delle persone non meno che delle cose.

Di chi sono questi bambini dai due anni in su, che chiedono l’elemosina sul marciapiede? Cosa fanno bambine di 5 – 6 anni con un lattante in braccio addormentato come una bambola? Bambini come bambole russe: l’una che tiene per mano quella più piccola che porta in braccio la più piccola di tutte.

Chi fornisce loro l’imprinting e le cure parentali che ci hanno insegnato essere fondamentali in tutti i mammiferi e ancor più nella specie umana? Forse il bambino di 6 – 7 anni che coccola e bacia il fratellino (?) addormentato in braccio? Quell’altro che sotto il sole a picco ripulisce gli occhi della sorellina(?) di pochi mesi?. Sicuramente c’è un racket delle elemosine che controlla questi bambini e li riversa sui marciapiedi frequentati dagli occidentali dal cuore tenero… Ma chi, come e quando?

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Bambini a Phom Penh

Ognuno risponde agli stimoli ambientali come sa o come può… Noi siamo andati a sentire due associazioni che si occupano di bambini abbandonati e di donne con problemi di inserimento. Una sera una coppia di occidentali (affiancandosi a una di queste organizzazioni) ha radunato in un posto di mangiare locale tutti i piccoli mendicanti della nostra zona, che abbiamo cominciato a riconoscere.
Come pure è comune che sui marciapiedi qualcuno fermi una di quelle donne con il cesto in testa pieno di roba da mangiare e ne paghi ai bambini, che presto la sopraffanno… Come dire: soluzioni individualistiche, infinitesime, di chi non sa dove mettere le mani, in un problema così grosso…

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I primi giorni in un paese veramente straniero sono di solito di malessere e corrispondono ad una chiusura.
Tutti i sensi che siamo abituati ad usare come ponte con l’esterno sembrano inutili; la frustrazione è dolorosa. Allora gli pseudopodi vengono ritirati e ci si racchiude come in una palla.

Quando l’esterno è vissuto come ostile, è dentro di noi l’unica sicurezza, il solo riferimento. Le nostre proiezioni si sono ristrette in un solo punto, che è precisamente il centro di noi stessi.

Da esso cominciamo ora a irradiare nuovamente verso l’esterno. Durante i primi giorni si erano notate soprattutto le differenze; ora si cominciano ad apprezzare le similitudini, le consonanze, i motivi di interesse.

Così riprendiamo l’esplorazione, in cerchi sempre più ampi intorno al nucleo fortificato, sentito come sicuro. Ogni giorno ci si spinge più lontano; il contatto meno rigido e difeso.

Apertura, empatia e arricchimento sono in rapporto con la maggiore o minore capacità di ciascuno di entrare più rapidamente e completamente in consonanza con l’esterno.

Ma sono i due momenti che ho cercato di descrivere, della contrazione e dell’espansione, quelli più fecondi. Una sorta di pulsazione ritmica, come collegata con il ritmo vitale. Li trovo, anche, in relazione con l’elasticità e l’adattamento, nella vita di tutti i giorni. Una funzione che non va lasciata inerte o inattiva per troppo tempo…

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Poi in Cambogia, dopo qualche giorno a Phnom Penh, comincia il viaggio vero, con 5 ore di aliscafo nell’enorme lago interno di Tonle Sap, verso Siem Reap, il sito di Angkor.
Ma questo esula dal tema di questa serie di scritti sugli adattamenti al viaggio.

 

Per chi volesse saperne di più di quel viaggio e di Angkor: Gli-alberi-e-la-citta-perduta-di-Angkor

 

[Viaggi (3). Cambogia – Continua]

Per le puntate precedenti:
Viaggi (1). Paese delle illusioni
Viaggi (2). Lezioni di sopravvivenza. La strategia delle lucertola

1 Comment

1 Comment

  1. Danette Anderson

    19 Settembre 2016 at 16:03

    Bravo! Hai descritto perfettamente lo smarrimento che ho vissuto tornando dopo 30 anni negli USA lasciando le mie abitudini e zone di protezione…
    Grazie

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