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Atlante delle isole remote, di Judith Schalansky
Judith Schalansky, Atlante delle isole remote La copertina rigida color carta da zucchero, il taglio delle pagine giallo ocra, come a voler ricordare un vecchio libro, una rassegna dettagliata di cinquanta piccole e sperdute isole, degna di una Encyclopédie: la prima impressione che si ha è quella di tenere tra le mani un prodotto editoriale classificabile più che altro tra le strenne natalizie, e che dopo essere stato scartato rimane poggiato sul ripiano della libreria, in attesa di una collocazione futura e chissà di una consultazione veloce. Ma tale impressione cambia non appena si apre il volume: nelle controguardie e nei fogli di guardia sono raffigurati due mezzi planisferi con la localizzazione puntuale delle cinquanta isole raccontate e il sommario mette in luce, in realtà, una struttura molto più organizzata e funzionale di quanto ci si possa immaginare. E se i dubbi continuano a persistere, è sufficiente leggere la Prefazione dell’autrice per rendersi conto di trovarsi di fronte a un libro certamente pensato per la più ampia divulgazione possibile, ma ideato e realizzato con tutti i crismi della ricerca geografica, e scientifica in genere.
Mentre permane l’apprezzamento per le carte fisiche, perché vanno «al di là di tutte le frontiere create dall’uomo»: qui le linee, il tratto, il colore, l’ombreggiatura danno forma alla Terra. Linee ben definite demarcano confini fisici netti, i contorni delle isole, che segnano il passaggio tra terra e mare. Talvolta, il tratto di mare che separa un piccolo territorio delimitato, un’isola, uno più esteso, la terraferma, è tanto ridotto che nelle carte vengono raffigurate nelle stesse tavole. È proprio su questi piccoli territori insulari che si concentra l’attenzione dell’autrice: «Cinquanta isole [remote] dove non sono mai stata e mai andrò». La raccolta suddivide le isole oceanograficamente: tre nel Mar Glaciale Artico, nove nell’Oceano Atlantico, sette nell’Oceano Indiano, quattro nell’Oceano Antartico e la restante parte, la più consistente, nell’Oceano Pacifico. Un piccolo globo indica la posizione dell’isola sulla superficie terrestre, mentre due grafici lineari forniscono informazioni sulla distanza di essa dalla terraferma o da altri lembi di terra, anche insulari; e sugli eventi che l’hanno interessata nel corso del tempo, come la prima scoperta, l’esplorazione, o altri momenti importanti legati a essa. Nella pagina destra, è rappresentata una carta dell’isola (sempre nella scala 1:25.000), nella quale sono indicate le emergenze antropiche (insediamenti, vie di comunicazione…) e naturali (rilievi, corsi d’acqua…) che si possono incontrare. La parte che, evidentemente, è diversa per ciascuna scheda è quella descrittiva, utilizzata dall’autrice per narrare fatti storici o curiosità di diversa natura (talvolta un po’ troppo somiglianti alla rubrica Forse non tutti sanno che… della «Settimana enigmistica»). Dalla lettura di queste descrizioni emerge un quadro ben diverso da quello costruito nell’immaginario letterario e dal marketing turistico delle isole delle tre S (sea, sun, sand), dove splende sempre il sole, dove l’acqua del mare è calma e cristallina e si congiunge a distese di sabbia bianca finissima. Queste isole remote sono luoghi difficili da raggiungere e, spesso, è difficile lo sbarco, per la risacca che si infrange su una costa inospitale. E quando si forma un insediamento, quasi mai si ha la creazione di una comunità florida e in armonia, quasi utopica, ma ci si trova di fronte un luogo dove il diritto pubblico sembra perdere di funzione, e «si impongono costumi sconcertanti», come Comunque sia, abbiamo di fronte un panorama di realtà micro-insulari che costellano la superficie acquea del globo che rimangono sospese nel nostro immaginario, e solo raggiungendole è possibile dar significato effettivo al significante.
Di Arturo Gallia. La recensione è stata pubblicata sul numero 3 del 2015 del Bollettino della Società Geografica Italiana (Recensioni e appunti di lettura, p. 685)
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