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Il 4 agosto sul Lanternino

di Rosanna Conte
Foto Rosanna. Diatro al LAnternino.1 [1]

 

Giovedì sera 4 agosto, come da programma, alle ore 22.00, sul Lanternino si è svolta la serata di presentazione del volume A scuola di dissenso. Storie di resistenza al confino di polizia (1926-43) di Ilaria Poerio, dottore di ricerca in Italian Studies presso l’Università di Reading, UK.

Nonostante il fresco venticello e il numero limitato di sedie, lo spazio del nostro Lanternino si è riempito di isolani e turisti desiderosi di ascoltare notizie su un periodo storico ormai lontano, ma non del tutto tramontato dalla memoria collettiva.

Attraverso le parole di Gino Usai abbiamo potuto ripercorrere racconti e ricordi che noi ponzesi abbiamo sentito dalla voce dei nostri nonni o genitori, ma che per i turisti sono risultati del tutto nuovi.

La presenza del confino complicò non poco la vita degli isolani, con rigorose e rigide regole negli spostamenti per terra e per mare, con soprusi, angherie, ruberie, violenze e stupri da parte della milizia.

Le difficoltà quotidiane diventavano persecuzioni che si ripercuotevano su tutta la famiglia se si intrattenevano rapporti con i confinati, dalla perdita del posto di lavoro, all’ammonizione al confino.

Eppure, un riverbero di quella scuola del dissenso, analizzata da Ilaria Poerio nella sua diffusione tra i confinati, ebbe una ricaduta anche su una parte degli isolani. Maria Picicco, suo figlio, Vincenzo Bosso, i pescatori o i commercianti che praticavano il trasporto marittimo e le 26 ragazze ponzesi che hanno sposato dei confinati, hanno praticato il dissenso nonostante lo spettro delle pene che il regime prometteva.

Bello l’episodio dell’invio del pacchetto a Benedetto Croce che vide più complici darsi il cambio.
Vincenzo Bosso, che ritira per mestiere la posta dal piroscafo e passa senza perquisizione, lo porta su e lo nasconde nel posto stabilito e il figlio di Maria Picicco che viene perquisito quando imbarca (visti i sospetti che gravitano sulla sua famiglia) lo recupera una volta a bordo e lo porta a casa del filosofo.

Forte era il rischio sempre in agguato per i ponzesi, anche per azioni che volevano semplicemente soddisfare le esigenze del cliente come quella in cui incorse, nel suo forno, Maria Grazia che per la festa del Primo maggio preparò secondo l’ordine ricevuto tanti panettoni da vendere ai confinati. Riuscì a far ritirare la denuncia solo grazie all’intervento del medico fascista che ne perorò la causa.

E’ molto indicativo il fatto che Ponza fu uno dei pochissimi comuni del basso Lazio in cui, al referendum del 1946, la Repubblica vinse sulla Monarchia. Chissà che non sia dipeso anche questo dalla scuola di dissenso a cui indirettamente parteciparono i ponzesi.

Non si può perdere la memoria di tutto questo e sarebbe anche ora che ci fosse la richiesta di un’indagine giudiziaria per l’uccisione del dodicenne Salvatore Scotti avvenuta ad opera di un milite nel 1932.

La consapevolezza storica e civile del confino politico dovrebbe permeare le coscienze di tutti i ponzesi, evitando leggerezze come quella del brand “Confinato a Ponza” che ormai dilaga ricoprendo con una patina di superficialità il ricordo di un periodo intenso e difficoltoso della vita isolana.

01. Con Vigorelli [2]

Col compito di presentare il contenuto del libro anch’io, prima di Gino Usai, sono intervenuta. Stimolata dall’esposizione del sindaco Vigorelli durante i saluti di apertura su alcuni punti nodali della storia italiana come la Resistenza, mi è sembrato giusto ricostruirne storicamente la lettura e il valore inserendo in questo contesto il lavoro prodotto da Ilaria Poerio.

Così ho ripercorso la formazione e il crollo del patto di memoria centrato sulla Resistenza, con le ricadute attuali visibili negli attacchi alla Costituzione e la necessità di recuperare quanto trascurato e non adeguatamente studiato finora per ricomporre nuovi fili della memoria in grado di sostenere l’intreccio di quella corda che è l’identità collettiva italiana.

Un lavoro che va fatto solo con strumenti e metodologie proprie della storiografia, facendosi guidare da una forte coscienza morale per evitare strumentalizzazioni che sempre sono deleterie.

E la ricerca di Ilaria Poerio, che ha utilizzato, oltre alle fonti di Archivio, epistolari e memoriali, ha aperto uno squarcio sulle scelte e i percorsi di coloro che alla Resistenza hanno partecipato, portando in primo piano il periodo immediatamente precedente a quello della lotta contro il nazifascismo: la detenzione e la relegazione al confino di polizia come momento di conferma della scelta del dissenso e di formazione per il futuro.

02. Tavolo relatori [3]

Lo studio, la discussione, la struttura organizzativa, l’autogestione degli spazi in cui potevano essere soddisfatti i bisogni primari, come le biblioteche, le mense, gli spacci, hanno costituito la palestra in cui si sono esercitati e sono cresciuti i confinati politici nelle isole.

Fu un vero progetto formativo non nato dal nulla, ma presente nelle sue linee essenziali e nelle finalità all’interno del PCd’I che già anni prima delle leggi speciali emanate nel 1926, si era date strutture clandestine formando dei veri rivoluzionari di professione per combattere il fascismo.

L’esperienza carceraria ne adeguò gli strumenti per continuare a realizzarlo negli spazi ristretti e sorvegliati delle celle, rendendola pronta per essere trasposta nelle isole del confino.

Prese il via ad Ustica già nel 1926, proprio all’inizio dell’istituzione della colonia, grazie allo spirito di Gramsci fortemente votato a produrre cambiamenti nella realtà partendo dall’analisi rigorosa delle sue caratteristiche.

Il grande pensatore, rendendosi conto dei rischi di indebolimento psicologico in cui sarebbero incorsi i confinati nello spazio ristretto delle isole, resi inattivi dall’ozio forzato e in balìa della violenza squadrista, decise con Bordiga l’apertura di corsi scolastici, di una biblioteca e di una mensa. E’ stato questo il primo nucleo di attività formative, ampliato poi a Ponza dagli stessi confinati che vi arrivarono nel 1928 da Ustica, con la gestione dello spaccio, dei posti nei cameroni, l’organizzazione delle proteste.

Ilaria Poerio ha preso la parola per ultima e, dopo aver puntualizzato il ruolo e il lavoro dello storico, si è soffermata sul confino di polizia, già presente nell’Italia liberale, come misura amministrativa da comminare senza alcun giudizio di reato e sulla scelta delle isole come luogo in cui collocarlo.

I dissidenti politici al confino hanno trasformato questo strumento di repressione in occasione di elaborazione e produzione di idee, nonostante le difficoltà concrete, la violenza della milizia nei primi anni e, successivamente, l’asfissia burocratica di cui parla Corvisieri.

La ricercatrice si è poi soffermata sul travaso di senso dalla parola confine, inteso come limite geografico e separazione politica, alla parola confino inteso come luogo delimitato per i confinati, e infine spiega il senso della scelta delle parole-chiave del titolo del libro.

Scuola, dissenso e resistenza richiamano i laboratori collettivi e di solidarietà che i dissidenti avevano impiantato nelle isole, mentre i piccoli atti quotidiani di resistenza durante gli anni del confino sono stati la palestra in cui si sono allenati i dissidenti per essere pronti alla futura Resistenza.

In chiusura ha posto l’accento sull’importanza del recupero della memoria per l’identità collettiva che riguarda la Resistenza come altri momenti della nostra storia.

E, aggiungo io, questo non riguarda solo la dimensione nazionale.

04. Rosanna p.p [4]

Anche noi ponzesi dobbiamo recuperare quanto più possibile del nostro passato per comprendere da quanto lontano derivino le nostre difficoltà, da quali matrici siano connotate e quali errori debbano essere evitati.

Abbiamo forse dimenticato che quando ci fu imposto di diventare colonia di confino di polizia, venivamo da anni di lotta per chiudere la colonia dei coatti e quella degli internati per dare una svolta all’economia isolana in senso turistico?

Ed abbiamo dimenticato che proprio in quegli anni l’economia isolana che ancora si sosteneva – pensiamo alle 33 navi, per complessive 5000 tonnellate, immatricolate nel 1920 che costituivano la flotta ponzese – con l’arrivo della crisi post-bellica ed il confino comincia a declinare?

Certamente non fu una scelta proficua per Ponza, quella di farla diventare colonia confinaria, perché non le consentì di attrezzarsi per cambiare la sua economia né per consolidare gli aspetti che l’avevano connotata fino ad allora. Anzi favorì l’esodo verso Napoli e la Sardegna degli armatori e dei capitali che a Ponza non potevano più operare liberamente.

Prima di pensare che la presenza del confino sull’isola  abbia consentito di sostenerne l’economia, rileggiamo con attenzione la nostra storia e contestualizziamo i fatti.

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