Figini Luciana

Altre considerazioni su Flavia, ‘La fanciulla delle isole’

di Luciana Figini

0232-86

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Di questo libro ha già scritto Silverio Lamonica qualche anno fa (leggi qui).
Proponiamo anche il contributo di Luciana Figini.

Qualche tempo fa mi è capitato tra le mani uno strano libretto: stavo sistemando delle cose in stanza di mia figlia ed ho trovato questo volumetto intitolato “Flavia – o La Fanciulla delle Isole”.

Ho chiesto poi a mia figlia per telefono (visto che è a Ponza a fare da guida alla cisterna romana) e mi ha raccontato di averlo trovato al “Il Brigantino”, a Ponza.

Mi sono messa a leggerlo.

Uno sbaglio di legatoria aveva lasciato le pagine attaccate una all’altra nella parte superiore, quindi leggere era un po’ come farsi strada attraverso un mondo nuovo aprendo una pagina dopo l’altra con il tagliacarte.

Che strana sensazione! Come entrare per la prima volta in un bosco che non nessuno ha mai visitato oppure come scoprire uno strano baule in soffitta chiuso a chiave da anni e non avere la chiave.

Il libro è del 1933, quindi ha attraversato gli anni del fascismo, quelli del dopoguerra e del boom economico, gli anni ’70, ’80, ’90 e 2000 SENZA mai essere stato letto!
Un po’ inquietante, vero ?

 

“Flavia” è un romanzo scritto da Donato Cuono, pubblicato da Raffaele Colacione Editore e stampato da Arti Grafiche Borrelli di Napoli, che aveva sede in via S. Sebastiano, 3 e 4 (?) e che aveva come numero di telefono il 27-328 (?).

Che viaggio nel tempo!

Si comincia a viaggiare prima ancora di cominciare a leggere!

Incredibile anche l’incipit, che vi devo assolutamente riportare:

Conduciamo i lettori all’isola di Ponza sul principio d’una sera di novembre dell’anno di grazia 1217.

Intanto che gli uomini e le cose si assopiscono tra le ombre invadenti e l’ultima tinta del tramonto scompare nell’azzurro non ancora disseminato di stelle, unico lamento in questa profonda quiete, unico segno di vita il mormorio del mare, che lievemente increspato dalla brezza occidentale si getta stanco sulla spiaggia come vecchio lamentoso che si bea carezzando ricciute testoline di fanciulli”.

Io non so chi fosse l’autore di questo libro (Donato Cuono), ma la sensazione che ho avuto iniziando questo viaggio (e questo libro e’ un viaggio!) è di essere stata catapultata sulle rive di un tempo lontanissimo.

L’italiano che l’autore usa è antiquato, talvolta di difficile comprensione e la vicenda è ambientata in un tempo ancora più lontano, quando Ponza era preda di scorrerie di pirati e l’unica consolazione era la fede.

Flavia è una semplice fanciulla, figlia di pescatori, che viene rapita dai pirati e portata in terra d’Oriente per diventare una delle mogli di un sultano.

Anche i nomi geografici sono antiquati: parlando di Ponza si parla della spiaggia di “Divaluna” (Chiaia di Luna?), del porto di Venere (?), dell’isola di Palmaria (Palmarola?).

Cattura

Le vicende di Flavia, figlia del pescatore Silverio (ovviamente) sono tragiche e raccontate come andava di moda negli anni trenta, cioè con tanta retorica “italica” :

La virtù latina, spirito dell’universo, sole delle anime, fuoco divino le cui faville sono lampi di genio, capolavori di scienza e di arte, aurore di civiltà ai popoli della terra…”

Non manca l’elemento religioso e di fede popolare, che permea tutto il romanzo: Flavia è una ragazza giudiziosa, semplice e dalla fede incrollabile, che si erge come esempio di moralità di fronte agli “infedeli” musulmani, che vengono ovviamente descritti come esecrabili, bugiardi e malvagi.

Nella parte finale del romanzo accorre in aiuto di Flavia anche S. Francesco d’Assisi, che arriva alla corte del Sultano e si prodiga per la liberazione della ragazza, riuscendo con un miracolo anche a guarire il promesso sposo di Flavia dalla lebbra.

Il finale è scontato: è il tipico “E tutti vissero felici e contenti”, ma del resto il fascino di questo libro non risiede tanto nella storia, ma in tutto quello che la accompagna:

  • Il linguaggio, ormai caduto in disuso e – come già detto – a volte di difficile comprensione
  • La retorica di epoca fascista, così ben radicata nell’Italia di allora
  • Il richiamo continuo ad una fede popolare incrollabile ed inattaccabile, unica ancora di salvezza per il popolo
  • L’incanto di un viaggio nel tempo, quando i pirati saraceni la facevano da padrone nel Mediterraneo, quando abitare sull’isola di Ponza significava essere esposti a saccheggi, rapimenti e uccisioni.

Se consiglierei questo libro? Sì, certamente, ma bisogna leggerlo con la mente molto aperta e senza scandalizzarsi per i toni troppo “dittatoriali” o eccessivamente retorici.
E’ un libro pubblicato negli anni trenta: per leggerlo bisogna accettare, appunto, la mentalità degli anni trenta.

E allora sì che è un viaggio indimenticabile, insolito, inaspettato, anche un po’ stralunato direi, perchè il bene è il bene e il male è il male e l’autore non ha nessun dubbio su dove sia il bene e dove sia il male.

…E poi le descrizioni, di Ponza o di altri luoghi, non hanno davvero paragoni.

A volte sembra di leggere una specie di “Promessi Sposi” meridionale; Donato Cuono è un maestro nel raffigurare i paesaggi e nel farci capire quanto amava questi luoghi; vale la pena leggere questo libro solo per i quadri romantici che sa dipingere con le parole…

I pochi pescatori che vivono in questi luoghi sono rientrati prima del tramonto, l’occhio di colui destinato alla vedetta si ritira ormai dall’immensa distesa delle acque; la notte richiama in fretta al suo tugurio il pacifico figlio della marina, giacchè è appunto presso il mare dove il nostro spirito, per un senso di inesplicabile tristezza, rimpiange la luce e più viva sente in sé l’oppressione della tenebra…

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