Archivio

Il sovversivo col farfallino. Recensione sul periodico dell’ANPPIA

segnalato da Antonio De Vito
Logo ANPPIA. Colore

.

Su segnalazione dell’Autore, pubblichiamo il testo uscito sull’ultimo numero del periodico L’Antifascista, bimensile dell’ANPPIA (*), a firma Maria Grazia Toma
La Redazione

Il-sovversivo-col-farfallino.Big

Antonio De Vito: “Il sovversivo col farfallino. Destinazione Ponza”, edizioni del Rosone, Foggia, 2013, Seconda edizione Miraggi, Torino, 2015, pagg. 202, euro 14,00

di Maria Grazia Toma

Il libro racconta la storia di Giuseppe De Vito, un modesto ebanista, un ragazzo che a soli 18 anni viene mandato a difendere la Patria sul Piave, facendone ritorno con l’animo ribelle. Un “ragazzo del ‘99”, senza titoli di studio, avendo frequentato appena la terza elementare. e’ ritenuto pericoloso dal regime fascista pur senza commettere illeciti, ma semplicemente contrario alla dittatura fascista, per cui doveva essere messo in condizioni di non nuocere, in galera o al confino.

Non è una biografia politica in senso stretto, né un saggio storico. Non contiene discorsi ideologici, memorie, racconti lasciati dal protagonista, restio a parlare anche in famiglia di questa lontana persecuzione.

L’autore, figlio del “sovversivo col farfallino” (perché indossava una cravatta col farfallino) ricostruisce gli avvenimenti attraverso i documenti contenuti in due faldoni del Casellario Politico Centrale e con altri incartamenti conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato, pubblicati in appendice. Si avvale delle annotazioni di poliziotti, carabinieri, prefetti, nonché di vari contributi e testimonianze di Gramsci ed Amendola, di materiali raccolti da storici sui confinati e sulla loro triste esperienza. Nessuna “villeggiatura” come dileggiato da Berlusconi; ma anni di studio, nell’isola-prigione a cielo aperto. Ben 1500 pagine scritte dal sovversivo in bella grafia, contenute in quaderni del confino e depositate nell’Archivio di Roma, pagine di esperienze personali, una scuola per il futuro, una memoria pubblica da non disperdere.

Giuseppe e’ un “sovversivo non trasandato”, dall’aspetto distinto. E’ un artigiano, un artista del legno. Antifascista comunista, tenne alta, a caro prezzo, la fiaccola della libertà contro il dilagare del fascismo. Fu condannato due volte al confino e più volte incarcerato per aver espresso, anche se in modo pacifico, la sua opposizione al regime. Nell’infausto ventennio era facile incappare nella repressione mussoliniana, bastava aver festeggiato il 1°maggio, o scrivere “viva Lenin” o non aver reso omaggio con il saluto romano ai gagliardetti fascisti durante un corteo.

Nato a Torremaggiore di Foggia, aderì giovanissimo alla gioventù socialista e successivamente al Partito Socialista. Nel 1921, con il gruppo di San Severo, diede vita al nascente Partito Comunista d’Italia, divenendo uno dei più attivi dirigenti locali.

Nel 1924 venne arrestato per attentato ai poteri dello Stato e scarcerato dopo un mese perché   l’addebito non costituiva reato. Un anno dopo fu nuovamente arrestato per incitamento all’odio tra le classi sociali e condannato dal Tribunale di Foggia a sei mesi di carcere e 100 lire di multa, insieme ad altri sovversivi come Allegato Luigi e Sabino Sacco, fratello di quel Nicola Sacco condannato alla sedia elettrica negli Stati Uniti, per un delitto che non aveva commesso. A De Vito furono sequestrate diverse lettere sovversive ma, non essendo ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico, venne soltanto sottoposto a continua vigilanza.

Con l’introduzione (novembre 1926) delle fascistissime “leggi eccezionali”, nuove e più dure contro i sovversivi, per De Vito arriva la condanna a cinque anni di confino ad Ustica. Probabilmente, uscito dal carcere, aveva ripreso l’attività di propaganda antifascista. Bastava poco per essere denunciati al Tribunale Speciale, un’imprecazione, una barzelletta, cantare un inno sovversivo o vendere la mussolina (una tela leggera) a poco prezzo, considerato un insulto al Duce.

Il 25 aprile 1927 Giuseppe De Vito, erroneamente chiamato De Vita dalla burocrazia poliziesca, arriva ad Ustica, ove un anno prima era giunto Antonio Gramsci, seguito dall’ing. Amedeo Bordiga e da altri antifascisti comunisti.

Il 10 settembre 1928 venne trasferito nell’isola di Ponza, definita dal popolo “acqua verde”, dove era stata aperta una colonia penale. Vi rimarrà fino al 1937 e qui conobbe Giorgio Amendola e Sandro Pertini.

In questi luoghi di confino, i sovversivi sradicati dalle loro terre di origine, dalle loro occupazioni, dalle loro famiglie, non potevano intrattenere contatti con la popolazione locale. Dovevano “oziare”, oppure passeggiare sotto la stretta sorveglianza dei poliziotti e sottoporsi a continui controlli. Un isolamento permanente in una prigione a cielo aperto. Carlo Rosselli, dopo 6 mesi di permanenza a Lipari, scrisse: “Meglio farsi la prigione. In una cella l’impossibilità di fuggire è evidente e il sacrificio più netto. Il confino è una cella senza muri, tutta cielo e mare: funzionano da muri le pattuglie dei militi. Muri di carne e ossa, non di calce o di pietra. La voglia di scavalcarlo diventa ossessionante”.

A tale emarginazione e annientamento della persona umana i confinati seppero reagire cercando un lavoro o studiando di tutto, dalla letteratura all’economia, alla fisica, alle lingue straniere. Sapevano che sarebbero diventati la nuova classe dirigente del Paese, istruita e con una consapevole responsabilità dei suoi compiti.

Dopo aver scontato la pena di oltre 9 anni al confino De Vito torna a casa, ma non dà prova di ravvedimento del proprio antifascismo. Per questo sarà continuamente vigilato. Anche negli anni vissuti a Torino, dove si reca dopo aver lasciato l’isola di Ponza e dove, sposato si trasferisce, esercitando il mestiere di falegname, specializzato ebanista.
Tra il ’40 e il ’43 viene incarcerato quattro volte, con soggiorni brevi, come misura di prevenzione in occasione di eventi particolari, quali la dichiarazione di guerra il 10 giugno 1940 o le visite di importanti gerarchi fascisti o nazisti nella metropoli subalpina.

Rientrato a Torremaggiore nel 1945, assume incarichi politici e amministrativi rilevanti diventando vicesindaco della sua città.

E’ un libro sulla storia d’Italia, su fatti e persone da non dimenticare, come i fratelli pugliesi Giuseppe e Felice De Vito, che descrive le persecuzioni, la chiusura del Parlamento, l’abolizione dei Partiti, la soppressione della libertà di stampa, le leggi eccezionali, il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, il confino nelle isole di Ustica, Ponza, Ventotene, Lipari e Tremiti dove nel ventennio fascista venivano confinati i sovversivi.

A Ponza il 27 luglio 1943 giunse in “soggiorno obbligato” Mussolini, anche se solo per 10 giorni, dopo la sua caduta per l’ o.d.g. votato dal Gran Consiglio del fascismo.

Ad Antonio De Vito dobbiamo riconoscere il merito di avere ricostruito le vicissitudini politiche e umane, spesso dolorose, del padre, con un linguaggio scorrevole, comprensibile, accattivante, di facile lettura. La Storia fatta di tante storie che hanno formato la coscienza di un Paese, viene documentata da queste testimonianze meritevoli di essere conosciute e meditate.

 

(*)ANPPIA – Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti: www.anppia.it/ 

 

Appendice a commento del 31 ottobre 2016 (foto inviata dall’Autore):

una-sorpresa-in-una-libreria-americana

Una sorpresa in una libreria americana – Seton Hall University – New Jersey – USA

1 Comment

1 Comment

  1. Antonio De Vito

    31 Ottobre 2016 at 06:28

    Ciao a tutti,
    Mi è arrivata questa inattesa foto di uno scaffale della biblioteca Valente Italian Library della Seton Hall University. Il Sovversivo torremaggiorese nel New Jersey (South Orange, NJ 07079, Stati Uniti).
    I libri viaggiano!
    Salutissimi.
    Antonio De Vito

    Foto annessa all’articolo di base

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top