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La turisticizzazione: peggio di una malattia

di Francesco De Luca
Tramonto-2 [1]

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Non ho il merito dell’invenzione. Il concetto e il vocabolo correlato l’ha introdotto nel sito Giuseppe Mazzella con l’articolo: Se l’attualità cancella la storia, del 24 maggio u.s. (leggi qui [2]).

Turisticizzazione dell’isola ovvero l’adattamento della vita isolana alla pressione turistica. La vita isolana trasformata totalmente, per seguire l’obiettivo di invogliare i turisti, accoglierli, presentare loro offerte di vacanze diversificate per costi, comodità, servizi.

Non è soltanto un programma economico. E’ qualcosa che investe e stravolge l’intero corpo delle abitudini isolane.

Una visione tangibile del fenomeno la si è avuta in questo ultimo ‘ponte di vacanze del 2 giugno’. Mezzi di trasporto stracarichi, natanti a la fonda nel golfo, case e hotel esauriti, strade e spiagge intasate. Una smania di godere del posto, della sua atmosfera rilassata. I taxi fanno slalom nelle stradine, gli altoparlanti delle chiese ad alto volume, i Ponzesi sorridenti, ai turisti contenti..

Cosa è successo ? E’ successo che la ‘turisticizzazione’ ha inglobato tutto.

E’ quello che s’aspettava da mesi, e dunque tutto a gonfie vele !

Beh… beh… piano con l’entusiasmo. Anzitutto c’è da rilevare che si avverte la cesura fra il periodo invernale e quello estivo. Il salto di costume è evidente e stride a chi vede scorrere la vita isolana per l’intero arco dell’anno. Manca la saldatura fra l’inattività invernale e la frenesia dell’estate ! Manca la saldatura perché è una pecca che ci affligge da tempo. La società civile la patisce e le istituzioni non l’avvertono. I due momenti stridono, ma si subisce. Ci si indigna contro i parcheggi, i divieti, gli orari, ci si trastulla dietro a ciò che dovrebbe brillare per ordine e… E’ l’estate, bellezza!

Avviene così che la turisticizzazione affossa la vita naturale dell’isola, la ripudia. Come inadatta, stantìa,.

Sto parlando delle abitudini paesane, dei ritmi, delle cadenze, delle tradizioni.

Un esempio eclatante: la processione del venti giugno. Si è talmente asservita alla pretese   ‘turistiche’ che ha perso la sua carica di devozione, di decoro, di allegria, di verità. E’ una ‘patacca’ che deve brillare davanti agli occhi dei turisti, e così fuochi, suoni, preghiere: tutto è scomposto.

Direte: ecco la solita tiritera sui tempi passati. Mai contenti! Eppure la macchina economica macina e produce. In fondo non è questo che si vuole?

No, perché si rimane avvinti alla occasionalità, alla precarietà di ciò che avviene. Eppoi, lo si vede ogni anno al termine dell’estate: chi ha ingrossato il portafogli va via, lascia l’isola. Il fattore economico non è il solo a reggere la stabilità di una comunità. Occorre essere convinti di vivere in modo personale, dignitoso, appassionante.

I mali dello snaturamento della vita isolana sono mortali per tutto quanto riguarda la residenzialità. L’isola non offre più le garanzie di una vita di cui potersi vantare. L’isola diventa invivibile quando non presenta i caratteri della sua distinzione. Si deve vivere l’isola e non soltanto vivere sull’isola.

Mi fermo qui. In seguito altre considerazioni sui danni apportati dall’asservimento della vita isolana alle richieste del turismo.