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L’esperienza e la memoria (1)

di Pasquale Scarpati
Esperienza e memoria.4. Bambino [1]

con dedica a Franco (De Luca)

Immagino che ognuno di noi porti sulle spalle, fin dalla nascita una di quelle gerle che i contadini e le contadine, soprattutto in Lombardia, usavano, una volta, per portare a casa o viceversa, in campagna, tutto il necessario.

Questa cresce insieme a noi. A mano a mano che cresciamo, ognuno di noi ci butta dentro ogni sorta di oggetti dalle forme più disparate: quadrate, tonde, alte, basse ecc.
Quando siamo bambini (o pre-adolescenti) alcune le afferriamo da noi stessi, altre, la maggior parte, ci vengono offerte dagli adulti. Essi si affannano a porgercele e/o ci obbligano ad afferrarle e a riporle nella gerla.
La loro forma e varietà è determinata da molteplici fattori: l’ambiente socio-economico, il modo di pensare, l’abbondanza o la penuria di denaro, la cultura ed altro. Tutti correlati tra loro. Lo hanno fatto da sempre, e lo fanno tutt’ora perché, preoccupati per l’incertezza del domani, hanno ipotizzato ed ipotizzano un futuro migliore per tutti. Noi le abbiamo afferrate e le abbiamo custodite.

Esperienza e memoria.2. Bolle [2]
La curiosità adolescenziale ci ha portato e ci porta, ancora oggi, ad afferrare altre forme, soprattutto quelle propinate da altri, al di fuori dei genitori e/o dell’ambiente, a volte anche come una sfida nei loro confronti. Chi, infatti, a quell’età non ha mai cominciato a litigare o quanto meno a discutere, anche animatamente, con i propri genitori? (…e non dico come, ai nostri tempi, tali “discussioni” potevano concludersi!).

Ad un certo punto, per vari motivi o circostanze, chi prima e chi dopo, ognuno ha dovuto fare una cernita delle forme. Scegliere, cioè, ciò che gli sembra più consona ai propri interessi, alle proprie peculiarità, alle proprie prospettive. Così gira il mondo.

Esperienza e memoria.3. Cassetti [3]
Con il passare degli anni, poi, la gerla si fa più pesante sia perché si riempie vieppiù, sia perché le forze cominciano a scemare. Fino a che, abbandonate del tutto le forze, la gerla con tutto il contenuto potrebbero svanire se qualcuno non l’afferrasse, la conservasse e tramandasse.

Ciò ci fa propendere verso un oggetto invece di un altro è soprattutto la forma, perché la sostanza è, fondamentalmente, sempre quella. Essa può essere fatta di materia dura come il ferro oppure fredda come la pietra, oppure soffice come la lana o delicata come la seta.
Voglio dire che, sostanzialmente, il mondo o per meglio dire gli uomini sono stati sempre gli stessi, come recita Quasimodo in una celebre poesia.
Cattiverie, odi, invidie, delitti a tutti i livelli esistono e sono sempre esistiti, così come amicizia, bontà, altruismo, solidarietà, amore. È la forma che cambia nel tempo, per cui a molti sembra che il male ci sia solo oggi e che una volta si vivesse “nell’età dell’oro”.
Se così fosse non ci sarebbero state tutte quelle brutture che ben conosciamo e di cui cerchiamo di conservare memoria con l’obiettivo – e soprattutto la speranza – che non accadano mai più. Invece la storia, ancora oggi, è costellata di ogni sorta di brutture ma non mancano, per fortuna, neppure gli slanci verso il bene.
Con il passare del tempo, però, come in una favola o come in un film, la realtà passata viene spesso edulcorata.

Esperienza e memoria.6 Tempo1 [4]

Penso che ciò sia un bene altrimenti tutto diverrebbe arido oppure amaro e grezzo come il sale marino che da bambino mi divertivo a raccogliere, sia pur graffiandomi mani e piedi sugli spuntoni scuri ed aguzzi, tra le pozze degli scogli, che, a pelo d’acqua, si allungano nei pressi d’u casecavall’.

Orbene con il passare degli anni noi ricordiamo la forma degli oggetti che abitano in fondo alla gerla ma non possiamo sentire più la loro consistenza al tatto. Nemmeno le possiamo più vedere sia perché giacciono oramai, lontane, nel fondo, sia perché, introdotte senza poterci voltare, non sappiamo con precisione in quale angolino siano andate a posarsi. Pertanto le possiamo vedere soltanto con gli occhi della memoria che, però, non sempre è precisa. Ma ciò potrebbe riscaldare il cuore e rendere dolci anche gli affanni correnti. Non è, pertanto, nostalgia della vita trascorsa perché, tra l’altro, sarebbe cosa inutile, ma il ricordo potrebbe, forse, insegnare qualcosa o almeno semplicemente infondere, nella sua evanescenza, pace e serenità.
Ciò che rimane, infatti, è un soffio: una piuma che leggera si libra nell’aria.
Così noi vaghiamo nella vita come quei semi che in primavera si staccano dalla sorgente arborea e, trasportati da un soffio di vento (o da un impeto), vanno a depositarsi altrove nella speranza di trovare un terreno adatto per potere germogliare..

Esperienza e memoria.1. Uovo [5]

Come il vento che non si ferma mai e fa lievemente sciabordare le onde sulla battigia… Voi, che abitate sull’Isola, forse queste cose le avete costantemente sotto gli occhi e magari per questo, non ci fate più caso; io invece, e come me tantissimi altri, devo andarlo a cercare, andare incontro al respiro del mare e al solo al vederlo i polmoni si riempiono..!

Così soavemente o impetuosamente si deve far conoscere ciò che di buono ed anche meno buono si possiede nella gerla, sperando che altri possano trarre insegnamenti.

Vita dura e perigliosa, costellata di sacrifici, di fatiche, di rinunce, nella quale il dolore e la morte erano in agguato dietro l’angolo.

Ricordo una persona che morì per un semplice chiodo arrugginito che gli era penetrato nel piede. Non so se non esistesse l’antitetanica o se mancasse, ma lo ricordo ancora…
Quella era la vita e non so se gli adulti la pensassero in modo diverso; forse la percepivano come proiezione irraggiungibile, frutto anche della fantasia cinematografica.
C’era forse rassegnazione oppure, nell’impossibilità di migliorare la propria vita, bandivano dalla loro mente ogni illusione? Erano, cioè, più concreti e pragmatici? Propendo per questa seconda soluzione perché gli stenti della vita portavano ad essere duri, a guardare o per meglio dire ad osservare ciò che circonda, portava a “non sciupare” nulla e soprattutto ad utilizzare tutto anche le cose più piccole e quelle che sembrano insignificanti.

Così ad esempio, come già detto, si utilizzava due volte la “ posa “ del caffè, si bollivano i “ rufoli” che si mangiavano come secondo piatto o si inventavano pietanze povere ed altro di cui ho già parlato. Oppure si utilizzava il ferro filato e/o si piegava il chiodo al volere dell’uomo adattandolo a varie mansioni. Al posto di laccetti di ferro filato rivestiti di plastica, per legare i tralci della vite si usavano ’i gghianeste (ginestre) oppure ’a stramma , e una ’ncannucciata serviva a riparare i delicati limoni dal furioso e freddo levante.

Dalle prime luci dell’alba il bidente risuonava lungo i pendii del Pagliaro o “ abbasci’ u Ffien” ed il solco, dagli Scotti fino alla Calacaparra, era bagnato dall’abbondante sudore del contadino.
Nello stesso tempo, sul mare ’a fore ’a Votte o vicin’a Palmarola, mani callose, avvezze ai remi, stringevano e tiravano reti pesantissime, scrutando con occhi ansiosi, già dal profondo, ciò che essa aveva raccolto secondo le correnti e le stagioni.

Alla stessa ora, la donna, in casa, apriva l’uscio dalle ante di legno, accendeva il focolare con legna o carbone per riscaldare, tra l’altro, anche ‘a zupp’i latte per i bambini che, con occhi cisposi e nasino colante, lasciavano le pesantissime coperte per andare, a piedi nudi, a bagnare leggermente gli occhi con l’unica acqua (fredda) riposta nella bacinella di ferro smaltato.
Tutto riprendeva dopo la notte sonnolenta, dopo che si era andati a dormire presto perché fisicamente stanchi della dura giornata e in attesa di quella futura altrettanto dura e piena di incognite.

Si cercava, insomma, di risolvere i tanti e ponderosi problemi con tutti i mezzi a disposizione anche se poveri, confidando nelle proprie forze ed anche con l’ausilio della comunità.

Esperienza e memoria.7.Tempo [6]

Quella durezza mi fa ripensare a quando, mancando lo schiaccianoci, si cerca di rompere con i denti, il guscio bitorzoluto di una noce: si prova un po’ di qua, un po’ di là fino a che quello cede oppure in alternativa, per raggiungere lo scopo si usano altri oggetti duri rinvenuti sul posto.
Pertanto per risolvere alcuni problemi, a mio parere, è inutile sperare nella benevolenza altrui (la storia insegna anche questo) anche perché costoro spesso non agiscono in modo disinteressato ma ci vuole buona volontà da parte dei singoli e della comunità, accompagnata anche da spirito di sacrificio, da iniziative e soprattutto non lasciarsi scoraggiare.

Ciò che vado a dire, quindi, non è né un atto di accusa né biasimo né nostalgia del “tempo che fu”, ma vuole semplicemente raccontare un’esperienza vissuta.

 

[L’esperienza e la memoria (1) – Continua]