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Dopo aver fatto il pieno di Reggia e megalomanie varie, il secondo giorno è dedicato ad un itinerario meno fastoso, ma denso di significati.
La prima tappa è a pochi chilometri da Caserta per visitare il Belvedere di San Leucio.
E il nome “San Leucio” ci è noto, a Ponza. Ne abbiamo parlato altre volte sul sito e le sete di San Leucio le abbiamo viste anche alla Mostra dell’Appriezzo nella chiesa di Santa Maria di qualche anno fa [digita – San Leucio – nel riquadro “Cerca nel sito” in Frontespizio]. Per l’Appriezzo, leggi qui.
San Leucio è stato un altro degli “esperimenti sociali” intrapresi dagli amministratori “illuminati” del regno borbonico, primo fra tutti Bernardo Tanucci (1698-1783), primo ministro a cavallo tra il regno di Carlo [1716 – 1788; dal 1759 con nome di Carlo III fu re di Spagna] e del figlio Ferdinando IV [1751 – 1825], con aspetti di analogia con gli interventi strutturali e di ricolonizzazione effettuati a Ponza nella prima metà del ’700 (l’introduzione dei primi coloni ischitani è del 1734; nella seconda metà del ‘700 fu realizzato il porto ‘borbonico’).
San Leucio prende il nome da una chiesa longobarda. Gli Acquaviva, principi di Caserta nel XVI secolo, vi costruirono un casino di caccia – venduto poi ai Borbone -, chiamata “Belvedere” per il panorama che vi si gode, esteso fino al mare e alle isole prospicienti.
Ferdinando IV ampliò il palazzo del Belvedere e lo utilizzò come casino di campagna; quindi, a partire dal 1789 il sito fu adattato a fabbrica della seta, inclusi tutti i processi, dalla crescita dei bachi alle lavorazioni più raffinate. Le sete di San Leucio divennero famose nell’Europa del tempo.
Palazzo del Belvedere di San Leucio
Cortile interno dell’attiguo complesso delle filande
Cortile di S. Leucio. Scultura metallica “Allegoria della seta”
Il locale delle filande e i telai
In contiguità con l’edificio della seta furono realizzate le abitazioni per gli operai, le stanze per il trattamento dei bachi, filatura, tintura della seta, la scuola. La sala delle feste lasciò spazio alla chiesa per la comunità .
Tutto il borgo era organizzato con al centro la “piazza della seta” e il portale settecentesco, maestoso accesso alla reggia-filanda e ai quartieri con le case degli operai. Queste abitazioni , ancora oggi occupate, erano tutte uguali: stessa altezza, stesse aperture e stesso cornicione, avevano orto e giardino ed erano disposte su due livelli.
Lo scalone centrale all’esterno del complesso che porta in fondo e da ambo le parte alle case degli operai (nelle due foto successive)
Appositamente per la Real Colonia di San Leucio il re promulgò il “Codice delle leggi” che regolava in modo innovativo la vita e il lavoro della comunità leuciana.
Vasca della regina, nell’ala degli appartenenti reali in un’altra ala del palazzo; sotto decorazioni delle pareti con la tecnica dell’encausto
Se fu un vero esperimento “socialista” ante litteram o solo l’altra faccia di un regime autoritario hanno dibattuto su questo sito Alessandro Romano (leggi qui) e Rosanna Conte (leggi qui). Ulteriori commenti saranno apprezzati.
Carditello
La Reale tenuta di Carditello – conosciuta anche come la Reggia di Carditello -, situata a circa 4 km ad ovest dell’abitato di San Tammaro è un complesso architettonico sobrio ed elegante di stile neoclassico, destinato da Carlo III di Borbone a luogo per la caccia e l’allevamento di cavalli e poi trasformato per volontà di Ferdinando IV di Borbone in una fattoria modello per la coltivazione del grano e l’allevamento di razze pregiate di cavalli e bovini.
Era immerso in una vasta tenuta ricca di boschi, pascoli e terreni seminativi, e si estendeva su di una superficie di circa 2.100 ettari. Era animato da un discreto numero di persone dedite alla conduzione dell’azienda.
Carditello era uno dei siti reali che si fregiava del titolo di “Reale Delizia” perché, nonostante la sua funzione di azienda, offriva una piacevole permanenza al re e alla sua corte per le particolari battute di caccia che i numerosi boschi ricchi di selvaggina permettevano.
Il fabbricato è stato costruito dall’architetto Francesco Collecini, allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli. L’area antistante, formata da una pista in terra battuta che richiama la forma dei circhi romani, abbellita con fontane, obelischi ed un tempietto circolare dalle forme classicheggianti, era destinata a pista per cavalli.
La reggia di Carditello nella foto del Fai
Queste le notizie raccolte da Wikipedia e integrate con gli opuscoli illustrativi ad uso turistico; ma l’interesse per la Reggia di Carditello è nato dalla frequentazione con il sito del FAI ai tempi della campagna per il faro della Guardia, quando il sito risultava sempre avanti noi per le preferenza on-line.
Poi abbiamo seguito le vicende della reggia che la davano in abbandono e preda di saccheggi di vario tipo.
La locandina del film e un manifesto affissi sul muro esterno della tenuta
Infine, non di poco conto, un film recente, “Bella e perduta” (2015) di Pietro Marcello, ambientato nella reggia e sulla figura (vera) di Tommaso Cestrone (“l’angelo di Carditello”), il pastore casertano che custodiva, volontariamente e a sue spese, il “real sito dei Borbone”, morto la notte di Natale del 2013 per infarto a 48 anni.
Guarda qui il trailer del film da YouTube:
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Il film, come l’altro dello stesso regista – “La bocca del lupo” del 2009 – è una affascinante commistione di fiction e di realtà. In una dele scene all0inizio del film c’è proprio Tommaso che la mattina fa il giro dello stradine intorno alla Reggia dove raccoglie pneumatici usati e sacchi d’immondizia: Vedete, qui ci sono passato solo l’altro giorno e oggi siamo daccapo!
Leggi qui un lettura allargata del film da parte di Nicola Lagioia(Bari, 1973), uno dei nostri scrittori più lucidi: Nicola Lagioia. Bella e perduta è un film visionario sull’Italia di oggi
Ma dal sito di Carditello buone notizie. Abbiamo visto da fuori al cancello un luogo curato e recintato con lavori in corso, a cura di una Fondazione di partecipazione realizzata dal MIBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali).
Ma all’interno, che per ora non è possibile visitare, si annunciano meraviglie…
Il prato antistante l’edificio con il chiostro e i due obelischi
Il complesso da un’altra angolazione
Per concludere questo ideale tour borbonico “di minima”, c’è da parlare di una realizzazione che lega le località fin qui citate (Reggia e Parco della reggia, seterie di San Leucio e Reale Tenuta di Carditello), tutte servite dal rifornimento di acqua assicurato dall’acquedotto cosiddetto “Carolino”, impostato e in parte edificato sotto il regno di Carlo di Borbone (Carlo III).
La campata ad archi sulla valle di Maddaloni
L’Acquedotto Carolino (noto anche come acquedotto di Vanvitelli) è una delle opere di maggiore interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo. Prelevando l’acqua alle falde del monte Taburno, dalle sorgenti del Fizzo, nel territorio di Bucciano (BN), e la trasportandola lungo un tracciato che si snoda, per lo più interrato, per una lunghezza di 38 chilometri.
L’opera, costruita sul modello degli acquedotti romani, richiese 16 anni di lavori e il supporto dei più stimati studiosi e matematici del regno di Napoli, destando, per l’intero tempo di realizzazione, l’attenzione da parte dell’Europa intera.
A confronto con gli enormi problemi di rifornimento idrico affrontati per i giardini della Reggia di Versailles, la soluzione adottata a Caserta dal Vanvitelli fu geniale e adattabile alle diverse esigenze dei possedimenti dei Borbone, tanto che dopo aver rifornito le seterie di San Leucio e la reggia di Carditello, l’acqua veniva ancora utilizzata per irrigare le campagne circostanti.
Completato con le tre tappe descritte il tour borbonico, prosegue ancora il viaggio con la visita a Caserta vecchia e dell’Anfiteatro romano di Santa Maria Capua Vetere (e attiguo Mitreo), che saranno l’argomento della terza (e ultima) puntata.
[Buone notizie dal sud. (2). – Continua]
Per la prima puntata, sulla reggia di Caserta, leggi qui
