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Via Umberto. Primo maggio d’altri tempi

di Francesco De Luca

Ponza. Via Umberto [1]

 

Ci passo di fretta per sfuggire alla trappola sempre presente. L’agguato è latente.

Oggi mi appare disattento, incurante e vi entro: aperta è soltanto la porta dove abita Tommaso, e in un’altra, dietro al finestrino, come un’ombra, una donna, quella venuta dall’ America. Vedova e sola. Supero la casa di Rosaria, da cui fuoriesce la cantilena della litania mariana.

In fondo via Umberto è un vicolo di circa cinquanta metri.

Dirigo lo sguardo dritto alla salitella della Punta e cammino spedito. Supero la porta di Tommaso e lo sguardo è attratto dall’arco della scalinatella che porta alle case sulla Loggia del Giudicato. Dove sono nato.

Non sono più solo: mi circondano Biagino, Luigi, Aniello, Antonio. Stiamo dando corpo ad una processione. Troppo rigida… non si addice alla voglia di muoversi. Andiamo ad imbastire una squadretta. Una palla malconcia tende a sfuggire ai nostri calci. Scende e si unisce anche Silvano. Ha sentito il vocìo e partecipa. Troppo rumore, e troppo è il rischio per i vetri alle porte. Esce Ferminia e sgrida suo figlio Luigi. Escono pure Rosinella e Ida. Smettiamo.

“Iammo a’ chiesa ià … – sollecita Rosinella accummencia ’u mese d’a Madonna ” e si avviano.

Zia Lucia dal balcone sovrastante chiama Biagino. Prima di andarsene, rivolto a Luigi: hammo venciuto nuie… – sottolinea.

‘A signora Martina chiama i figli Antonio e Franco…

Lo sapevo, lo sapevo che andava a finire così. Alzo gli occhi ai balconi e mi ritrovo in casa. Dormivamo insieme io e mio fratello Antonio. Il letto con le spalliere in ferro. Antonio sempre più caldo di me, e io mi accucciavo vicino.

Come pesanti sono i ricordi. Incollano i passi su quelle pietre sconnesse.

Alzo il viso e… mi sibilano intorno le rondini. Sfrecciavano nella strettoia del vicolo. Muovevano il già agitato scorrere del giorno in quel piccolo microcosmo di paese. Allora vissuto e palpitante. “Senti, senti… Giovanni sta suonando. Cosa?”.
Mi precipito e mi soffermo vicino a lui, fuori l’uscio. Suona il banjo. E io divento meraviglia.

In tanti siamo cresciuti e vi abbiamo lasciato strascichi di vita, accenni di sogni. Soltanto al vento, strisciante gli spigoli, prendono voce.