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L’amore al tempo delle cabine telefoniche

di Luisa Guarino
cabina-ciao [1]

 

Non è neanche immaginabile oggi l’idea di poter vivere a Ponza senza cellulare, smartphone e Internet, non solo per fare ricerche di qualsiasi tipo ma soprattutto per comunicare con chiunque, dovunque. Ma non è stato sempre così, e chi scrive ha vissuto anni, anzi decenni, davvero pionieristici in questo campo. Quando c’era solo il telefono, e già sembrava una grande conquista. La linea era gestita da terzi, cui ti affidavi con fiducia e speranza: in un secondo tempo sono arrivati i gettoni, e poi le schede telefoniche. Naturalmente, oltre che a comunicare di tanto in tanto con parenti e amici che erano in terraferma, le telefonate servivano soprattutto a tenersi in contatto con l’amore lontano, in attesa che anche lui, o lei, potessero raggiungerti in vacanza nell’isola.

Naturalmente la conversazione era rigorosamente da fisso a fisso, e l’amato, o l’amata, dovevano farsi trovare rigorosamente in casa. Naturalmente poi nelle case di Ponza sono arrivati i telefoni fissi: ma da noi, che venivamo solo d’estate, l’apparecchio telefonico (sì, un tempo si chiamava così) non c’era. Le mie prime telefonate amorose hanno avuto come location la biglietteria Span sul molo: sulla sinistra c’era una cabina in cui si poteva appunto conversare. Naturalmente il servizio funzionava, se ricordo bene, solo quando la biglietteria era aperta. A me, credo per mia scelta, capitava di fare tappa lì sempre di piena mattina, motivo per cui ricordo sempre grande luce e sole forte. Il servizio era gestito da Silverio Califano, che faceva anche i biglietti: era una persona sempre disponibile, gentile e paziente, con un sorriso dolce e un modo di parlare “azzeccoso” (chiarisco, per chi non conosce il termine: è un complimento). Si dava a lui il numero da chiamare, e quando c’era la linea libera lui lo contattava e poi ti diceva che potevi entrare in cabina per parlare.

Erano invece prettamente serali, parlo sempre della mia esperienza, le chiamate che facevo in epoca successiva al Bar Panoramica: anche lì la cabina si trovava a sinistra, subito dopo l’ingresso. In quel caso, districandosi tra gelati, bibite, pastarelle, aperitivi, granite, e chi più ne ha più ne metta, il servizio veniva assicurato da Giulio Migliaccio e dalla moglie. Ma già il sistema era più avanzato: loro si limitavano a darti la linea, e poi il numero lo facevi tu. Non sempre il primo tentativo riusciva: spesso la linea cadeva e dovevi mettere la testa fuori per fartela ridare. Di quella lunga teoria di telefonate durata anni, più che le parole dolci scambiate con l’amato, ricordo le colossali sudate: infatti nella cabina bisognava assolutamente barricarsi, per difendersi dal rumore esterno.

Il tempo passa in fretta, almeno a guardarlo ora, da così grande distanza. Arrivano le cabine telefoniche, con porte a battente come nei saloon: quelle che frequentavo di più erano a Sant’Antonio, non distante dal capolinea dei bus, e sulla discesa di Via Roma, sotto il piazzale della chiesa. In quel caso tutto si gestiva in proprio: bastava armarsi di almeno mezzo chilo di gettoni, pronti a infilarli nell’apposita fessura quando un odioso segnale ti faceva capire che “il credito” stava per finire. Dopo, e insieme alle cabine, sono poi state montate quella specie di campane in plexiglass: certamente più ariose, però addio privacy.

Posto telefonico pubblico [2]

Per un breve periodo ho avuto anche il fisso a casa, ma l’avvento dei cellulari, di Internet, Skype e via dicendo ha ben presto reso inutile la sua presenza. Tutto il resto… non e’ noia, tutt’altro, e lo conosciamo perfettamente. Era molto tempo fa ed ero tanto più giovane. Ma sinceramente quegli anni “telefonicamente” così difficili non li rimpiango per niente.

gettoni-telefono [3]