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I conigli di Maria Picicco. La padrona di casa, Maria Picicco, era una donna fiera ed eccezionale, incurante delle direttive (o meglio ordini) della direzione della colonia, che invitava gli abitanti a non avere rapporti con i confinati e meno che mai a familiarizzare. Ci affittò l’abitazione. Ci mostrò simpatia e con l’andare del tempo addirittura affetto (dal memoriale di Antonia Oscar, confinata politica) Di Maria Picicco sappiamo che era considerata la “mamma dei confinati”. Nel settembre del 1937 Maria dà in affitto ad una nuova famiglia di confinati la stanza appena liberata dalla famiglia Amendola che, dopo il ritorno dal carcere di Giorgio nell’aprile del ’36, aveva alloggiato presso di lei. La casa consisteva in una grande stanza, una cucina abbastanza grande e un soppalco sopra la cucina. Questa, con pochi gradini, immetteva direttamente sul terrazzo, fatto in modo da raccogliere l’acqua piovana ed incanalarla nella cisterna. Da questa terrazza si vedeva un panorama meraviglioso: i faraglioni, un mare di sogno, tramonti infuocati. Un altro terrazzino percorreva le due stanze di Maria Picicco, dal quale saliva tutto l’anno l’intenso profumo dei gerani. E’ Antonia Oscar che parla, Ninì, dai fascisti del bresciano chiamata “la rossa” perché comunista convinta e irriducibile. E’ così che nel settembre del ’37 la famiglia si riunisce – manca ancora Franco che per motivi di salute non può affrontare il viaggio dalla Lombardia dove è rimasto presso uno zio ed arriverà sull’isola nell’agosto del 1938 – e va ad abitare presso Maria Picicco. Come riuscire a rendere un po’ più gradevole a dei bambini un soggiorno che prevede ristrettezze economiche, divieti e la consegna del silenzio fuori casa? Che gioia deve essere stata per Loris e Dolores! Immediatamente i due animaletti, alloggiati nello sgabuzzino che è sul terrazzo, diventano parte della famiglia. Sono chiamati per nome e su loro i bambini scriveranno anche delle poesie, specie quando, successivamente, si moltiplicheranno.
Intanto dopo la mattinata a scuola, i bambini vengono seguiti in materie fondamentali da Pina Callegari e Pietro Grifone, e Dolores deve trarne grande vantaggio visto che, come scrive nel memoriale Antonia Oscar, la maestra la lascia a dettare brani o a spiegare un problema alla classe mentre si assenta brevemente per accudire il figlio piccolo. Ma, oltre a curare l’approfondimento e l’ampliamento culturale, con i bambini i confinati ci giocano, non disdegnando di prenderli a volo quando vogliono fare il salto dal muro o di gareggiare con loro partecipando al gioco delle piastrelle. Questo gioco, cui aderiva sempre Altiero Spinelli, si svolgeva fra due squadre che dovevano usare pietre piatte come se fossero bocce e lanciarle lungo la discesa che dal campo della miseria, sulla Dragonara, portava a Sant’Antonio. La squadra perdente doveva pagare le paste acquistate nell’unica pasticceria di Ponza; naturalmente erano esentati i bambini. Con loro i confinati cantano. Li Causi li fa cantare canzoni russe o socialisteggianti su motivi degli inni fascisti o della Canzone del Piave perché non siano interrotti e ripresi dalle guardie. Intanto ne imparano il contenuto. Terracini offre il cinema ogni domenica, mentre Pertini regala loro dei marrons glacées due volte alla settimana, quando gli portano i giornali (i bambini sono autorizzati ad uscire dopo la ritirata nelle due sere in cui arriva il piroscafo per andare all’edicola, comprare i giornali appena arrivati e portarli ai confinati che alloggiano fuori dal camerone). Durante l’estate sono tanti i confinati che vogliono insegnare loro a nuotare, ma è Frank Stoka (di cui abbiamo parlato qui), il pescatore slavo, che nell’arco di una settimana li fa diventare veloci e resistenti nuotatori. Coccolati dagli adulti, i piccoli Abbiati sperimentano, però, anche l’aggressione dai loro coetanei ponzesi. In concomitanza con i cambiamenti legati ad eventi internazionali, come la guerra di Spagna, la propaganda fascista, diventata sempre più bellicista, aizza gli animi contro il nemico interno ed esterno. Così… Una sera mentre attendevamo l’inizio della proiezione, in modo del tutto inaspettato, fummo circondati dagli altri ragazzini, seduti come noi nelle prime file, che urlavano: Nemici della patria! …Fuori dall’Italia!… Andate fuori, stranieri!… Ed altre frasi del genere. Riuscimmo a ripararci, con le spalle al muro. Poi iniziò il film e tutto tacque. All’uscita pensammo che l’aggressione sarebbe ripresa, e infatti volò qualche sasso, ma riuscimmo ad arrivare a casa senza intoppi. Pensammo di non dire niente, perché temevamo non ci avrebbero più lasciati andare al cinema. Però da allora e per il poco tempo che ancora rimanemmo a Ponza, ogni domenica sera, nell’andare al cinema ci riempivamo le tasche di sassi per poterci difendere in caso di aggressione (e le svuotavamo al ritorno, prima di rientrare a casa). Sono i tre fratelli a scriverlo. Dolores, per difendersi, in via cautelare, dalla domenica successiva si porta dietro una corda con le manopole che fa girare sia quando entra che quando esce dal cinema. Quando nel luglio del 1939 la colonia confinaria chiude, come tutti gli altri, anche gli Abbiati devono in breve tempo racimolare le loro cose per la partenza e si pone il problema dei conigli. Papà Gino pensa di ucciderli ed arrostirli per avere qualcosa di buono da mangiare per il viaggio. Antonia Oscar scrive che nonostante la scarsità di cibo e soprattutto la rara comparsa della carne – di qualsiasi tipo – alla nostra tavola, mai si era pensato di mangiare uno dei nostri conigli, neppure Tanardieu, il capostipite, che era diventato un grosso bestione ed era anche un po’ prepotente (da ciò il nome).
Avevano tutti un nome, facevano parte della famiglia.
Ci venne in aiuto Maria Picicco, che si prese i nostri conigli (madre, padre e tre o quattro figlioletti) e ce ne diede due o tre suoi, grossi. Maria Picicco era la persona del luogo che più ci dispiacque lasciare. Era davvero una donna straordinaria, l’ho già detto, ma voglio ricordarla perché ho il rammarico di non averla cercata dopo. Non aveva soltanto affittato la sua casa a tanti confinati (Amendola, noi, Favott, pittore friulano; Nenni) ma ci aveva anche aiutati, senza averne obbligo alcuno, e anzi sfidando la critica dei fascisti.
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Leggendo l’articolo di Rosanna Conte mi sono chiesto: perché alcuni confinati potevano affittarsi un appartamento ed altri no? Come venivano regolate queste cose? Quali case si affittavano?
A mio avviso era una questione di disponibilità economica e di disponibilità di case, in definitiva un privilegio non per tutti.
Ho pensato alla solidarietà che si instaurava tra il confinato e il proprietario o la proprietaria della casa.
Mi sono chiesto: un regime così attento a non far incrementare il dissenso e la solidarietà tra gli uomini, tant’è che il confino era pensato come sradicamento e controllo del dissidente, come poteva permettere che in esilio coatto potessero moltiplicarsi così facilmente il dissenso e la solidarietà tra dissidenti?
Perché come vengono descritti i fatti della storia sembra che il confinato pericoloso dissidente potesse liberamente trovare alloggio in una casa, in una famiglia incline alla dissidenza.
Per esempio, la ponzese Maria Picicco, assolutamente non è raccontata come una donna che ha, in quei tempi, la disponibilità di affittare una casa, ma la si racconta come una eroina che aiuta e cospira. Non la si racconta come una donna ponzese, vissuta nella cultura locale che magari rimane affascinata da questi uomini, soli, ma con grande intelligenza, ispirati dalla passione politica per cui coraggiosi? Non la si descrive come un donna, una madre che rimane affascinata perché comprende la differenza, tra quegli uomini idealisti in quello squallido mondo. Ma in generale, io vedo così anche l’amore che nasce tra le nostre donne e quegli eroici giovani uomini: sentimento che nasce tra una donna e un uomo che parla un altro linguaggio per cui è affascinante.
Ma queste mie sono essenzialmente ragionevoli pensieri, che vogliono interpretare azioni fatte da persone in carne ed ossa in ambienti che credo, in parte, di conoscere.
Segnalo questo articolo che parla delle regole del confino a Ponza:
http://pocobello.blogspot.it/2010/10/la-vita-nelle-colonie-di-confine-nel.html
Sulla vita al confino, credo che, ormai, conosciamo parecchio, almeno per quanto riguarda Ponza.
Silverio Corvisieri, nel volume “La villeggiatura di Mussolini” del 2004, affronta l’argomento con dovizia di particolari e con uno sguardo ampio che include diversi luoghi di confino. Inoltre, analizza con acume la visita di Maccari che, bisogna ricordarlo, era un fascista sui generis, ma un convinto fascista, che con grande abilità nel suo resoconto insinua per primo l’idea del confino come villeggiatura.
Se poi vogliamo seguire il paragrafo 38 del Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico che riguarda la vita al confino senza considerarne l’impatto sulla vita reale dei cittadini, possiamo anche farlo. Ma visto che abbiamo voglia di approfondire forse è il caso di leggere il volume della ricercatrice Camilla Poesio, “Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime” di cui abbiamo dato notizia in occasione della presentazione organizzata da Ponza racconta nella sala parrocchiale della chiesa della SS Trinità il 4 luglio del 2014. (vedi qui https://www.ponzaracconta.it/2014/07/06/camilla-poesio-e-il-confino-fascista-larma-silenziosa-del-regime/ )
Inoltre, è stata pubblicata di recente una nuova opera sul confino nelle isole dalla ricercatrice Ilaria Poerio che speriamo sia presentata anche a Ponza.
Tutto questo senza considerare le interviste che continuiamo a fare alle persone che hanno vissuto in quel periodo e ricordano molto bene come fossero trattati i confinati ed i ponzesi. Ne abbiamo parlato anche con i ragazzi che si sono diplomati lo scorso anno perché, giustamente, se la conoscenza dei fatti non si tramanda, i fatti finiscono per non essere mai esistiti.
Per quanto riguarda Maria Picicco mi sembra che l’episodio trattato vada proprio nella direzione di vederla come una donna ponzese che può osservare da vicino la vita dei confinati e si consente di affezionarsi ai loro bambini. Naturalmente non possiamo tacerne il coraggio e la capacità di essere solidale che è quello che i confinati nelle loro memorie le attribuiscono.
La ricerca sul confino è, per il nostro sito, work in progress che si sviluppa su due fronti complementari: da un lato c’è l’attenzione agli studi degli storici che forniscono la comprensione del fenomeno nelle sue linee generali (il testo della Poesio è illuminante per quanto riguarda l’aspetto giuridico), dall’altro c’è la ricerca sul territorio che restituisce dimensioni e caratteristiche nel contesto specifico. Tra i quesiti che Vincenzo pone mi soffermo sul meno impegnativo: quello delle affittanze. La mappa del confino che stiamo costruendo fornisce qualche risposta: le case dovevano trovarsi entro il perimetro della zona confinaria (delimitata grosso modo dal Canalone e dal tunnel di Giancos) e dovevano essere dotate di comfort che, se per i ponzesi erano un lusso, per un confinato di estrazione cittadina e borghese costituivano condizioni irrinunciabili (operai e braccianti pugliesi neanche si sognavano di prendere una casa in affitto o di farsi raggiungere dalle famiglie). Dunque la spiegazione è nell’incrocio tra domanda e offerta di abitazioni con certe caratteristiche, non già nell’equazione proprietario=simpatizzante, tant’è che l’ultima abitazione inclusa nella mappa apparteneva al dottor Silverio D’Atri, segretario del Partito Nazionale Fascista. Più complesso e variegato il capitolo dei rapporti tra ponzesi e confinati, e non comprimibile nello spazio di un commento.