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La pastiera di Ponza

a cura della Redazione

Pastiera casatiello e Ponza [1]

 

Le feste pasquali sono appena finite… Perché ce ne veniamo fuori con la pastiera adesso?
Perché pur essendo nominata più volte, sul sito la storia dell’arrivo della pastiera napoletana a Ponza non è stata fin qui ricordata, come pure non c’è la precisa ricetta.
Riferendosi alla pastiera, come pure per gli altri dolci tipici (casatielli, rococò, struffoli), si deve tener conto che per ciascuno la “vera pastiera” è associata ad un ricordo… a quella che faceva la nonna, la  mamma o la zia preferita, o la vicina di casa tanto brava…
Diamo perciò qui – preceduta da un inquadramento generale – la ricetta-racconto originale di Mimma Califano che tra “”le signore del sito” ha avuto per acclamazione la palma della più rispettosa della tradizione (le 
varianti includono quella con le gocce di cioccolata, o ricca di cannella o con la crema pasticciera…).

dolci

Da Ponzaintavola – Storia&Sapori dell’associazione Calafelci

Sino al secondo dopoguerra quasi tutte le case dell’isola disponevano di un efficace frigorifero: la cisterna dell’acqua; la ghiacciaia era sconosciuta a Ponza.
L’anguria, il vino, gli alimenti che dovevano essere serviti ben freddi venivano calati nel pozzo e tirati su al momento opportuno. Evidentemente il sistema di refrigerazione non era applicabile a tutte le pietanze; le torte, ad esempio, non potevano certo essere messe nel secchio e calate nel pozzo, tant’è che la parola torta è assente dal vocabolario ponzese; si parla invece di pizza o di pizza dolce.
La pasticceria tradizionale fa dunque a meno di ricotta e di creme che, se non tenute al freddo, inacidiscono; sono oltretutto disponibili in quantità ridotte perché sono poche le bestie da latte.
La pastiera è presente in diverse versioni, tutte depurate dalla ricotta e dalla crema; c’è però il grano, immancabile nei dolci primaverili e pasquali anche per la sua valenza simbolica e beneaugurante. E’ un omaggio a Demetra, dea delle messi, la cui fronte è cinta da spighe dorate. E’ simbolo di rinascita, di ciclicità: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” dice il Vangelo; e Tammuz, spirito del grano nella mitologia babilonese, ogni anno muore e risorge.
Il grano simboleggia fecondità, da sempre.
I chicchi sono segno di abbondanza e di ricchezza, si pensi all’uva, al melograno sgranocchiati all’arrivo del nuovo anno o alle lenticchie.
E’ auspicabile avere la grana, e farmacisti e gioiellieri usano il grano come unità di misura.
In Esiodo la spiga di grano è bios, ossia vita.
Tutte le culture celebrano il grano, Pablo Neruda eleva versi a

la santità più che utile:
quella della farina e dell’acqua,
…l’aspro cereale della miseria
come se tu andassi spartendo
un fiume di diamanti.


Insomma, nei dolci primaverili, e in quelli pasquali in particolare, il grano non può mancare.
Poche gocce di acqua millefiori danno il profumo; cedro e bucce d’agrumi punteggiano il giallo dell’impasto: la pastiera, nelle diverse versioni, è un’esplosione di colori e di profumi, un grato bentornato alla primavera.

Ponza-in-tavola [2]

La pastiera di Mimma

La pastiera come la conosciamo oggi direi che è arrivata a Ponza negli anni ’60. Ricordo ancora Vecienz’u napulitano, marito di Ilde che all’epoca aveva un fornito negozio di frutta e verdura giù a Sant’Antonio.
Vincenzo andava a rifornirsi a Napoli e portava ottimi prodotti (quali mozzarelle e broccoletti). Nella settimana prima di Pasqua portava il grano lessato in una grossa bagnarola. Il grano venduto quindi sfuso fu l’inizio della produzione generalizzata di pastiere di grano a Ponza (proprio per distinguerle dalle altre pastiere). Ma chi riusciva a procurarsi del grano in proprio lo metteva a macerare per alcuni giorni, e quindi a bollire a lungo in acqua e sale.
Io seguo la ricetta di una mia zia che intorno agli anni venti del ’900 passò un periodo a Bagnoli dove una prozia aveva la pasticceria. Tant’è che faceva bene anche le sfogliatelle ricce e lisce (ho la ricetta ed a volte faccio quelle lisce)
Zia Marietta per tantissimi anni ha fatto dolci per i matrimoni dell’epoca.

Nella ricetta di mia zia è previsto infatti che si parta dal grano. Comunque la pastiera era una rarità e un lusso, nei primi decenni del ’900.

Grano cotto per pastiera [3]

Il grano lessato (oggi in barattolo) viene cotto ancora per una quindicina di minuti nel latte con una grossa scorza di limone e con l’aggiunta di un po’ di vaniglia a fine cottura. Una volta raffreddato aggiungo quasi la stessa quantità di ricotta, 7 tuorli d’uovo e 3 chiare montate a neve (le quantità si riferiscono ai 580 gr di grano lesso contenuto nella confezione commerciale), 150 gr di cedro candito, un pizzico di cannella, un’arancia grattata (solo se si hanno disponibili quelle non trattate) un abbondante spruzzo di Millefiori, 200 gr di zucchero (o un po’ di più se piace più dolce); quindi niente crema pasticciera ed anche una quantità ragionevole di zucchero.

Lievito Pane degli Angeli_ [4]
La sfoglia la preparo almeno un’ora prima e la lascio a riposare, con: 500 gr di farina, 200 gr di zucchero (scarsi), 1 limone grattato, un pizzico di sale, 4/5 tuorli d’uovo + 2 chiare, 200 gr di burro (in genere ne metto un po’ di meno), un cucchiaino di lievito “Pane degli Angeli” [in epoca precedente si usava una miscela cosiddetta “bicarbonato-e-cremone” (*) che si comprava in farmacia].
La sfoglia va stesa sottile ma non sottilissima e la pastiera nell’insieme non deve essere troppo alta .

Comunque come in tutte le cose è questione di gusto. Devo però dire che le mie pastiere finiscono sempre rapidamente ovunque vengono portate.

 

(*)“Cremone” è solo il nome popolare. Il cremor tartaro è un sale acido, l’acido tartarico, chiamato anche bitartrato di potassio o cremore di tartaro. Ha proprietà stabilizzanti e dona sofficità agli impasti. Addizionato con bicarbonato di sodio funge da lievito. Può essere usato da chi è intollerante ai lieviti in quanto, tecnicamente, non è un lievito.