





|
|||
’A nummenàta, ovvero: cronache di poveri amanti (1)
Nel tempo in cui i suoceri erano chiamati mamma e papà e ancora prima quando quest’ultimo era chiamato Tat’ e ai suoceri era consuetudine rivolgersi con il Voi, non era agevole per un giovane entrare a far parte di una nuova famiglia, sia perché molti suoi componenti asserivano che ’u’grass ’n’adda asci’ fore d’a pignàta, cioè i beni non dovevano andare a finire nelle mani di estranei, sia perché non era semplice avvicinare una ragazza. Se si era al di fuori della cerchia o del parentado i giovani potevano incontrarsi solo in determinate o fortuite occasioni. A loro venivano in aiuto, tra l’altro, le solennità religiose, quando le ragazze potevano uscire di casa, ovviamente mai da sole, ma sempre accompagnate da altre persone: sorelle, parenti e amiche, perché, altrimenti, sarebbe caduta su di loro la mannaia della mala nummenàta. Pertanto ’na bona nummenàta andava preservata a tutti i costi. Su di questo si fondava, fin da piccola, l’educazione della fanciulla. Questa, accompagnata da una buona dote, poteva far sperare in un buon partito cioè in un buon matrimonio. I genitori erano deputati sia alla dote che al buon nome della fanciulla. Per questo, quando si era afflitti o se qualcosa non andava per il verso giusto, gli uomini, sconsolati, solevano dire “Aggie fatt’ ’na mala nuttata e ’na figlia femmina”. Non a caso le due cose si associavano. Perché la nascita di una femminuccia voleva dire solo e soltanto ulteriore spesa per tutta la famiglia e soprattutto insicurezza nell’avvenire. Era questa una preoccupazione costante ed una delle ragioni per cui i genitori la promettevano fin dalla più tenera età ad uno di famiglia che si pensava, per questo, più affidabile. Meglio ancora se già grandicello rispetto alla ragazza perché in tal caso non solo vi era una certa sicurezza economica ma era anche possibile intravvedere, fin da piccolo, la sua indole ed eventualmente porre rimedio a qualche eventuale “lacuna”. L’intervento deciso e primevo dei genitori nella scelta di colei o colui che sarebbe stato compagna o compagno per tutta la vita era dovuto non solo a ragioni economiche, ma anche a ragioni, per così dire, estetiche. Si sa la maggior parte dei giovani, specialmente se adolescenti, sono stati e sono, ancora oggi, molto più sensibili alla bellezza, al fascino di una persona piuttosto che alla sua consistenza economica. Si soleva infatti dire: un cuore ed una capanna. Ma se da una parte gli adulti non si trovavano per niente d’accordo su questa massima, dall’altra i giovani di quel tempo non avrebbero trovato negli altri coetanei quei canoni di bellezza a cui noi siamo avvezzi nella vita di tutti i giorni o che ci vengono propinati nella finzione televisiva o cinematografica. La vita grama, il lavoro duro fin dalla più tenera età, la mancanza di rimedi per le malattie o per qualsiasi accidenti che potesse capitare, la malnutrizione, facevano sì che pochi fossero quelli che non avessero alcun difetto fisico pur essendo giovani. Si poteva nascere con dei difetti a cui non c’era rimedio oppure questi potevano verificarsi nel corso degli anni. Bastava, ad esempio, una caduta da un albero per rimanere, nella migliore delle ipotesi, claudicanti per tutta la vita o semplici carie per rimanere con pochi o senza denti oppure bastava ’nu spruoccolo (un legnetto) o una piccola foglia come quella d’olivo che sfiorava un occhio, per rimanere orbi. Per non parlare del vaiolo o di ogni altra malattia che deturpava la pelle ed il viso. Le donne poi, specialmente se lavoravano in campagna, senza alcuna protezione d’estate e d’inverno, sotto il sole e con il vento, avevano già, in giovane età, la pelle screpolata, piuttosto scura e le mani callose. Non a caso andava di “ moda” la pelle bianca, quando invece oggi ognuno tenta di abbronzarsi. Si può dire che a vent’anni le donne erano già “sfiorite” e un poco oltre erano considerate non più in età da… marito. Forse il pudore, facendo coprire quasi totalmente il corpo con vestiti e scialli, era un modo per nascondere eventuali imperfezioni e/o brutture che la chirurgia estetica o altri prodotti correlati, oggi, hanno pressoché debellato. Le spese iniziavano da subito, perché vi era da costruire il corredo. Per risparmiare ed anche per renderlo più originale, il corredo si comprava senza alcun ricamo e tra le altre cose si aggiungevano anche le fasce per i futuri neonati. Esso era l’indice del benessere della famiglia non solo per il numero dei capi che lo componevano ma anche per la qualità della stoffa: dalla tela di lino, alla costosa tela d’Olanda (famosa era la Bellora). Importante poi la lana (quando c’era) per i materassi, e tra essa si distingueva quella di Tunisi e quella, più pregiata, di Scozia. Se questa non era nel novero del corredo voleva dire che gli sposi avrebbero avuto, come giaciglio, materassi imbottiti di foglie secche di granoturco (’i spoglie) o altro vegetale che non solo facevano rumore ma pungevano come spilli se la stoffa era bucata da qualche elemento appuntito che non voleva rassegnarsi ad essere schiacciato dal corpo. L’esposizione – L’appriezz’ – foto tratta da nostro articolo Alcuni giorni prima del matrimonio, in casa della sposa, avveniva l’appriezz’. Sul lettone e/o sulle casse era tutto un ricamo. Lenzuola, federe, tovaglie e tovaglioli, camicie da notte, anche coordinate con altri indumenti intimi. Si contavano i pezzi e si mostrava soprattutto quello che sarebbe servito per la prima notte di nozze.
Nota
[’A nummenata, ovvero: Cronache di poveri amanti (1) – Continua] 1 commento per ’A nummenàta, ovvero: cronache di poveri amanti (1)Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
|||
Ponza Racconta © 2021 - Tutti i diritti riservati - Realizzato da Antonio Capone %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: |
“Dote. Per costume feudale adottato col regolamento della colonia, è rimasto radicale l’uso che la donna ritira dalla sua famiglia il solo corredo, e in questo modo. In uno fissato giorno praticasi l’apprezzo delle madri dei rispettivi sposi e due apprezzatrici scelte di consenso, ed un amico nota gli oggetti di biancherie ed oro lavorato, e si autentica il tutto con complimenti di frittelle, zeppole, e vino. Nell’atto stesso il giovane conduce nella sua dimora questo dotato, e dopo anni ne stipula la ricezione per notaro.”
G. Tricoli Monografia per le Isole del Gruppo Ponziano Napoli 1855, ristampa del 2011.