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Epicrisi 55. Dell’assenza di Ulisse

di Rita Bosso ulisse4 [1]

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Mi scuso con gli eventuali lettori di questa epicrisi e con gli autori dei pezzi recenti: avrei dovuto soffermarmi sul materiale pervenuto nell’ultima settimana, invece  ho enucleato, in modo del tutto arbitrario, tre figure emblematiche, tre voci rappresentative. Per inciso, la poesia di Franco [2] mi è sembrata notevole anche dal punto di vista stilistico per la potenza delle immagini, per l’uso delle onomatopee.

Se appizziamo le recchie, nelle voci stanche e arrochite dei vvecchie (che) arèt’i lastre /‘uardeno preoccupate forse possiamo trovare traccia degli strilli degli scugnizzi che si radunavano sulla spiaggia di Sant’Antonio e sentivano di appartenere a/possedere quella spiaggia, quel mare, quelle strade. Il bambino è principe, non ha ancora provato la mestizia di quando si va a pigliare ‘u vapore, lo sradicamento.
Il vecchio della poesia di Franco De Luca, il bambino [3] di Domenico Musco, sono due diverse rappresentazioni dello stesso individuo, colto in momenti diversi della sua vita; sono Laerte e Telemaco, eterni e universali. La stessa Natura potente che incute paura e soggezione in uno e lo induce alla passività – c’a capa avasciata /aspetteno ca passa ’a iurnata – diventa alleata per l’altro, che la sfida baldanzoso e corre, grida, abbusca pur di non restare inerte dietro i vetri. Perché sa, con la sua intelligenza vivida, che se si rintana al calduccio, altri giocheranno la partita e lui sarà solo spettatore.
Lo scenario su cui il vecchio e il bambino si collocano è lo stesso, cambia però il modo in cui lo rappresentano e agiscono; tra il vecchio che se ne sta rintanato e il bambino che si  scorda ’a via d’a casa deve posizionarsi l’adulto che ha la responsabilità della casa, la cura, la mantiene, la adegua; che opera nel presenta, con razionalità e senso di responsabilità.
Telemaco dovrà partire perché è figlio di suo padre; la madre, dopo averlo messo al mondo e cresciuto, gli dice va’, cammina, ’u munn’ sta llà [4]
Telemaco imputerà la partenza a cause di forza maggiore (l’immissione in ruolo nel caso di Domenico) ma sa bene che essa è un momento necessario e ineludibile, così come necessario è il ritorno, la ripresa del ruolo e delle responsabilità del padrone di casa; non è ammesso un vuoto generazionale, pena la trasformazione di Itaca in un ospizio in cui trova ricovero solo chi non ha alternative. E questa, scrive Domenico, sarebbe la peggiore jattura.

Nei due scritti di Domenico Musco e di Franco De Luca che ho selezionato tra quelli pubblicati nell’ultima settimana – ripeto, in modo del tutto arbitrario – manca l’adulto che torna ed esercita un ruolo attivo e propositivo. Manca Ulisse.
Che fine hai fatto, Ulisse?
Forse sei tornato ma nessuno se ne è accorto; sei talmente invecchiato, fai discorsi talmente arteriosclerotici che la gente ti scambia per Laerte.
Forse sei ancora in viaggio, convinto che Itaca e Penelope siano fedeli e immutabili, che le tele tessute si possano  disfare e tessere nuovamente a tuo piacimento, quando starai comodo.
Forse non sei mai partito, parli di viaggi per sentito dire, sei solo un affabulatore che mai passerà all’azione.

A scanso d’equivoci preciso che, se Ulisse è assente – come a me sembra – la colpa non è di Franco o di Domenico, che descrivono ciò che vedono, ciò che percepiscono; la precisazione può sembrare superflua ma, qualche settimana fa, su Facebook, si è sviluppato un gustoso scambio di battute intorno al Memo della Befana [5], che un lettore aveva inteso come boicottaggio dei festeggiamenti; “Eh no, basta con le bugie, abbiamo avuto la befana al Porto e il presepe a Le Forna!”, è stato rimproverato a me e a Ponzaracconta. Così, nella speranza che tale lettore continui a leggere Ponzaracconta, metto le mani avanti.

C’è un barlume di speranza nel racconto di Domenico: la mamma che, di fronte all’inosservanza dell’orario di rientro, scende in spiaggia e usa le maniere forti.  L’adulto, energico e normativo, fatica a farsi sentire sia dal vecchio che dal bambino ed è perciò costretto ad urlare come un forsennato; tra i sospiri lamentosi di uno e gli strilli dell’altro, bisogna anche saper alzare la voce.
Spetta alla mamma rimproverare:  T’è scurdato ’a via d’a casa.
Implicitamente sta dicendo  Muoviti, hai pazziato abbastanza, mo’  trova a via d’a casa.

ulisse2 [6]