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Anno 2016
Cibo in abbondanza. Sulla tavola imbandita fra le bottiglie d’acqua, di vino, i bicchieri, le posate, i tovaglioli rossi in sintonia con la tovaglia col disegno delle foglie della stella di Natale la prima portata di spaghetti al sugo è già stato consumato. Nuovi piatti sono pronti per i tocchetti del calamaro ’mbuttunato , accanto ’a menesta ’mmaretata, ’i friarielle, in un vassoio i peperoni al forno con aglio e olio. Una decina di persone, tutte di famiglia. Gli uomini seduti, le donne, quelle vestite per l’occasione accanto agli uomini, qualcuna più disinvolta è attenta alla dinamica del pranzo, Maria, che ospita, pendola fra la cucina e la sala, aiutata dalla figlia. Nonna Sofia vicino a nonno Veruccio, i ragazzi, seduti e scalpitanti. Pranzo di fine anno. “Forse vedimmo ’u puorto nuovo… Per noi Fornesi sarebbe una nuova miniera – esordisce Benedetto – dopo tanti anni che reggiamo il moccolo ai ponzesi del Porto…”. Interviene il cognato Biagio: “Dopo, reggerete il moccolo ai padroni del porto nuovo… ”. “Ah – Marina la moglie di Benedetto – non cominciate voi due a beccarvi a vicenda. Siamo a Natale… ”. “Va beh – ribatte Biagio – ma noi ormai lo facciamo come un gioco. Ci punzecchiamo come se giocassimo alla ‘battaglia navale’. Colpito e affondato, ma qui non si affonda niente e non si colpisce. Il porto è un bel disegno. Sulla carta”. “Vieni a tavola Gennaro – chiama Stefania – lascia stare il pastore che dorme. Se lo svegli crolla tutto il sogno del presepe ”. Il bimbo si avvicina. Adesso c’è la frutta che vivacizza la tavola. Giallo il melone, rosse le mele, verdi i kiwi. Il panforte nessuno lo tocca perché si preferiscono le nocciole tostate che scricchiolano, alle ‘castagne del prete ’ non si può dire di no, e il panettone è un dovere mangiarlo. Gennaro ne prende una fettona, la morde. Metà cade a terra. Tenta di raccattarla, quando la madre Stefania lo sgrida: “No, lasciala ché la buttiamo”. Il vecchio raccoglie il boccone, lo porta alle labbra e lo bacia. Lo netta così da ogni impurità e gli ridà la dignità di cibo. Il luccichìo delle lampadine sull’albero si annullano, il lampadario attutisce il brillore, acquistano colore gli aranci e i mandarini, le ombre filtrano dai vetri, e fuori, nell’argento della luna, le fronde si agitano. Niente più freddo, niente miseria, niente più attesa. L’abbondanza e lo spreco hanno ingabbiato perfino l’animo. A cosa aspirare più, a cosa ambire più se si è immersi in un mondo di colpevole sciupìo ? Ecco i botti, ecco la conta dei minuti scanditi dalla televisione.
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