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Epicrisi 50. Mo’ vene Natale…

di Giuseppe Mazzella
babbo-natale [1]

 

È quasi Natale. Un altro Natale di incertezze e di promesse che appaiono ancora lontane dal realizzarsi, ma annunciate e sperate. Un Natale insolito per il bel tempo che dura e che un po’ rianima anche quest’ultima settimana isolana.

Una settimana che sul nostro sito ha visto brillare un appassionante dibattito sul dialetto, testimone ormai sempre più in disarmo, della nostra identità.
La nostra “lingua” ritorna in una deliziosa lettera dall’America [2] che Enzo Di Giovanni ripropone con tutte le imperfezioni che ne danno appieno il sapore. Il che ha innescato un vivace dibattito nella sezione ‘Commenti’: riassunto e ordinato in una puntuale analisi [3] del nostro redattore capo.

'Merica [4]
Il linguaggio che noi usiamo, o meglio che usavamo appieno fino a qualche tempo fa, e che permetteva di comunicare tra noi con tutte le sfumature che contiene, si rivela adesso come una cittadella accerchiata ed appare sempre più come il segno di un passaggio di un’epoca. Inevitabile. Perfino allo sguardo più equanime [5]. Anche se poi riappare – il dialetto – dove nessuno se lo aspetta, come ci informa Luisa [6] nel suo articolo.
Ritorna infatti in un augurio originale che ci arriva da Maria Mazzella Marciano, con una sua composizione su Ponza [7], scritta in italiano e poi “tradotta” (!) in dialetto.

Su questo punto, ma vale per tutto il resto, va accolto l’invito di Franco De Luca [8] di tenere aperta la porta e la finestra, conservare la mente sgombra da preconcetti che ci impediscono di progredire.

Finestra aperta [9]
E cominciamo dalle leccornie, anche se tradizionalmente sono servite a fine pasto.
Con le festività, infatti, stanno arrivando i dolci tipici, con cui Martina [10] e Luisa [11], nel descrivere le diverse tradizioni e i ricordi, ci fanno subito venire l’acquolina in bocca: tra zeppole, struffoli, roccocò, castagne ed ogni altro ben di Dio; insieme ad essi ritorna ancora una volta, prepotentemente, la forza del ricordo del nostro passato.

Struffoli [12]
Con “A Priezza” si sono aperti gli invii di Auguri [13]e non solo… L’associazione, infatti, “illumina” i giorni di festa con una serie di iniziative e la riproposizione in più appuntamenti del presepe vivente, che tanto successo ha conseguito nelle passate edizioni.
Tra gli auguri e le pagine liete mettiamo anche il risultato positivo che segue agli altri recenti della Polisportiva calcio [14].

Pasquale Scarpati [15] conclude la serie di racconti in cui recupera le nostre abitudini alimentari rispetto alla carne, realizzando una piccola enciclopedia tascabile farcita di aneddoti e storie reali in cui si riflette il piccolo mondo antico del dopoguerra del secolo scorso.

Strana isola la nostra, dove è acuto il confronto (e l’incomprensione) tra chi la vive con tutti i suoi “disagi” e chi continua a non volerli capire né vedere, anzi ci sguazza dentro, come nella settimanale “scenetta” tra Giggino e Sang’ ’i Retunne [16].

Tamiggiana e buttiglione [17]

Sull’onda potente della memoria si muove invece Dante Taddia che, partendo da un luogo che oggi diremmo cult, la Caletta [18], si perde, è il caso di dire, nei ricordi delle atmosfere dei magici anni sessanta, recuperando una dimensione dell’isola, che non può non appassionare chi ha vissuto quel tempo.

Eduardo Filippo [19] ci fa conoscere il suo ultimo lavoro sull’apertura della “Porta Santa” dell’Abbazia di San Giovanni in Fiore aperta il 14 dicembre. Un luogo caro ai ponzesi, perché a quel monastero e a quell’ordine apparteneva un grande isolano, il monaco Raniero, tra i più apprezzati consiglieri di papa Innocenzo III.

Il nostro sito si è arricchito da poche settimane di un altro servizio, quello della Rassegna Stampa [20] che propone articoli – dalla stampa cartacea e on-line – direttamente riguardanti- o con influssi su- le nostre isole. Uno strumento in più per approfondire le nostre problematiche e spingere chi di competenza a ricercare le soluzioni adeguate, non disgiunte dall’opinione pubblica che in democrazia concorre alla formazione delle scelte.

La riunione cittadina alla tensostruttura.1 [21]

E andiamo alla questione centrale della settimana che si riverbererà per anni: il porto di Cala dell’Acqua.
Il 17 dicembre si è tenuto una riunione pubblica [22] promossa dall’amministrazione per illustrare i vari progetti. L’incontro, tenutosi nella tensostruttura, è stato presenziato da oltre 200 persone. Sono stati illustrati i tre progetti che parteciperanno alla gara.

La riunione cittadina alla tensostruttura.2 [23]
Sulla nuova portualità è arrivato un contributo illuminante da Ischia [24] da parte del nostro Giuseppe Mazzella di Rurillo che, sulla base della sua esperienza sul campo e della sua isola, tratteggia un possibile percorso virtuoso. Al di là delle sfumature, concentra il suo pensiero sul fatto che non è possibile realizzare un porto turistico se non si pensa a come organizzare il posto a terra, con i riflessi che ne potranno derivare ai cittadini e alle loro attività connesse.

Ponza. Cala Feola.1 [25]
Un ulteriore acuta analisi [26] ci viene da Vincenzo Ambrosino che dopo un excursus storico della pluridecennale vicenda, sottolinea l’assoluta necessità di trovare delle soluzioni condivise dalla maggior parte degli abitanti.

Non potendo al momento analizzare compiutamente la questione, importantissima per l’isola, ci poniamo solo alcune domande.
Al di là delle questioni da affrontare puramente legali e amministrative (PAI, impatto ambientale, preservazione del patrimonio archeologico e industriale), ci domandiamo, infatti, se è stato fatto uno studio sugli effetti economici e sociali che il nuovo porto avrà sulla popolazione.
Quanti saranno i nuovi posti di lavoro, quante le attività che gli isolani potranno realizzare, quali i benefici economici a media e a lunga scadenza?
Domande forse semplici, ma essenziali che hanno bisogno di una risposta preventiva, prima di intraprendere la nuova opera.
La nostra preoccupazione è che il nuovo porto, assolutamente necessario allo sviluppo armonico di Ponza, anzi direi alla sua stessa sopravvivenza come comunità, possa essere solo uno strumento di arricchimento per pochi, magari non isolani, e con fondi europei, cioè nostri, ed avere una incidenza minima sulla nostra economia reale. Ecco perché la richiesta di un porto comunque – “senza se e senza ma” – che è stato così pervicacemente sbandierata, risulta essere una risposta perlomeno semplicistica e che non affronta il cuore del problema.

Cala Cantina.4 copia [27]