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E andavamo tutti alla Caletta (7)
Anche questo racconto è tratto dalla raccolta di Dante Taddia “E andavamo tutti alla Caletta“: anzi esso è dedicato proprio alla protagonista della raccolta stessa, la spiaggia della Caletta, riferimento indiscusso degli anni ’60, almeno per chi risiedeva nella zona Porto-Parata-Madonna.
“A mare”, ci si va cercando una caletta. La Caletta, ciò che nel ricordo infantile di diverse generazioni ha rappresentato l’ubi consistam delle varie età non si discute, la Caletta è un’istituzione, la Caletta è Ponza e per un ponzese “doc” come forse si abusa nel dire oggi, è la vera madre, una volta fuori dell’utero materno. Maestra di vita di ognuno. Gennaro, Peppe e altri amici della nostra generazione alla Caletta (vedi nel commento di Gennaro Di Fazio, l’identificazione di tutti i componenti della foto) La Caletta è il primo bagno in acqua di mare a pochi mesi, le tappe del nuoto fino ai cinque – sei anni, le mete da raggiungere negli scogli sparsi della scogliera per quelli successivi. Sono tappe, confini da raggiungere e superare, ma tutto gradatamente: Lo scoglio du’ giovane, profondità dell’acqua poco più del metro e dislivello oltre i 60 centimetri. Da questi scogli si spiccano i primi salti in acqua, a bbomba, a cannéla, a sparapanza, secondo l’età si tentano i primi tuffi. Dopo quei due piccoli scogli c’era un’altra tappa, lo scoglio giallo… Quello sì che era il vero banco di prova. Anzi di ‘scoglio giallo’ ce n’erano due, uno più basso e l’altro più alto. Affacciavano fuori della Caletta, fuori della scogliera, ed erano le colonne d’Ercole da superare, possiamo dire però le prime colonne d’Ercole, perché per i giovani ponzesi se ne sono sempre poste ad ogni tappa della loro vita e non solo per il mare. Tutto era fatto per gradi e quando la vita seguiva questi ritmi l’esistenza era davvero più umana. Il primo scoglio giallo era la tappa per l’adolescente che dopo tutti gli esercizi fatti nel ventre caldo e rassicurante della Caletta si spingeva all’esplorazione del mondo al di fuori di essa. Era il mare aperto, era l’acqua blu. Era l’acqua profonda di cui si intravedeva il fondo pieno di alghe (da notare che in realtà la scogliera è un frangiflutti costruito all’interno del grande bacino, l’antica caldera in cui è impostato il porto di Ponza e fronteggia lo scoglio della Ravia, delimitando così una specie di canale in cui transitano le barche per entrare nel porto). Quindi tanto aperto non è proprio. Ma già la differenza di temperatura e il colore dell’acqua, nella fervida immaginazione di un adolescente, fanno dello specchio sottostante lo scoglio giallo un mare impegnativo. Lo scoglio giallo è il primo tuffo che si fa in acqua più profonda, cui solo chi ha sperimentato le due tappe precedenti può accedere. Un salto, lo stile non proprio perfetto si ripete… si ripete ancora ma poi si affina pian piano e l’acqua blu ti accoglie amica, quel mare ti abbraccia quasi a compensare la tua attesa, ti mostra il suo aspetto più accattivante. È ammirazione e senso di emulazione. – Aggia pruva’… ma i’ tenghe appaura”. E quando nessuno ti vede, quando nessuno si tuffa, provi a salire dallo scoglio giallo più basso, superi una specie di sella quasi incollato alla parete come un geco, avanzando pochi centimetri alla volta. Quando, più grandi ed esperti, si supererà questa difficoltà, per ora estrema, solo allungando il passo dal piccolo al grande scoglio giallo e viceversa per dare prova della sicurezza raggiunta, un sorriso ironico farà da commento alle paure passate. È questo lo smacco più grosso. Essere chiamato ’uagliò e mostrare di avere paura. Non vuoi. Però fare la figura dell’imberbe neppure e… ecco, ti butti… o è il più grande che ti ha spinto? Però il salto è fatto. – ’Stu ddi’e strunze… m’hai menate a mare”. – Ie? …zo dici? – E giù le sonore risate dei più grandi, che ricalcano con i loro commenti di superiorità quelle emozioni che pochissimo tempo prima hanno provato loro, magari forse al massimo la settimana prima. Ti danno una pacca cameratesca sulla spalla, quasi a sancire l’appartenenza ormai ai più grandi e una sommozzata amichevole (ti spingono la testa sott’acqua all’improvviso) per dimostrare cameratismo e anzianità, e paternalisticamente subito dopo, eccoli a istruirti. – Tu t’he a te mena’ dall’alto comme si tenesse a fa’ nu zompe e poi… ppoi te mine a mare comme ‘na fera” – È tutto. Ma è un giro, una meravigliosa ruota in cui tutti vogliono essere presi e coinvolti, partecipare, da attori.
E lì partiva la classica botta ’n capa, uno scapaccione – Nunn’ u ffa’ cchiù, he capite, ca mammeta se piglia appaura”. E poi sottovoce compiacendosi e capendo che quella tappa è arrivata per il suo ragazzo ormai: – Bravo ’uaglio’. Accuorte… quanne te mene d’u cchiù auto”. Il più alto. Il secondo scoglio giallo, lo scoglio giallo più alto. Un’altra tappa della vita. Le altre colonne d’Ercole da superare, ne restavano ancora. Tre. Ancora tre tappe, e il ciclo di preparazione per diventare un vero uomo, un uomo ponzese si sarebbe compiuto. ‘La Caletta’ com’è adesso, ormai da qualche anno. Lo ‘scoglio giallo’ di cui si fa menzione nell’articolo è visibile verso la destra e in basso nella foto, vicino allo scoglio piatto: ci si tuffava in direzione della punta della scogliera 1 commento per E andavamo tutti alla Caletta (7)Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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Descrizione dei componenti della foto: “…amici della nostra generazione”
Da sinistra: Tony Coppa poi, che avanza da dietro, Silverio Tomao. Al centro il sottoscritto Gennaro Di Fazio con sopra, a cavalcioni, Giuseppe Colella. Continuando, chinato, Mariano Picicco e poi a seguire Giuseppe Tricoli.
Anni di riferimento: fine ’60 – inizi ‘70
saluti a tutti
Gennaro Di Fazio