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Il Convegno a Ponza. Dalla ricerca a un piano di protezione?

di Rosanna Conte

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Quando nell’estate del 2014 ebbi modo di conoscere, attraverso la dottoressa Marzia Bo, ricercatrice della facoltà di Zoologia marina presso l’Università di Genova, il progetto ECOSAFIMED, mi piacque subito (leggi qui [1]).

Da un lato, andare a verificare eventuali danni prodotti dagli attrezzi usati dai pescatori agli organismi che vivono sul fondo marino mi sembrava importante per conservare l’ecosistema del nostro mare. Dall’altro, il concetto di “pratiche di pesca responsabili” che la dottoressa illustrava mi tranquillizzava perché suggeriva che non si era davanti all’ennesima occasione per imporre nuovi divieti alle attività dei pescatori ponzesi.

Ieri 24 nov., al termine del percorso progettuale (leggi qui [2]), la dottoressa Bo, in un incontro pubblico con i cittadini, ne ha comunicato gli esiti, in primis agli stessi pescatori, che hanno collaborato alla ricerca e alla cui responsabilità viene affidata la manutenzione dell’equilibrio del nostro mare, e poi alla cittadinanza tutta che per definizione è interessata a conoscere il proprio territorio e a leggere correttamente i segnali che da esso provengono. Era presente anche il sindaco Vigorelli.

Una spugna [3]

Cosa è emerso?

Senza addentrarci nei numerosi dati che la dottoressa ha illustrato con dovizia di particolari, possiamo sintetizzare che i nostri fondali – da Palmarola alla Botte, passando per Zannone e Ponza- sono in buone condizioni, constano di alcuni luoghi di particolare interesse ed hanno un livello di presenza di spazzatura, dalle bottiglie di plastica agli attrezzi perduti, che è nella media dei nostri mari.

La ricerca è stata effettuata durante 41 uscite di 12 pescherecci ponzesi, in 17 delle quali si è pescato col tramaglio, in 20 con monofilo e in 4 col palamito. La durata del periodo degli attrezzi in acqua è stata da 5 ore a 3 giorni e gli esiti del pescato hanno evidenziato che, pur avendo tirato su anche pescato non commerciabile ed altri elementi marini come le alghe, non sono tuttavia stati strappati al fondo coralli, spugne o gorgonie che costituiscono le comunità bentoniche (quelle formate da organismi fissati sul fondale) maggiormente attrattive per sviluppare e mantenere la vita sottomarina. È nelle loro foreste (nel mare le foreste sono formate da animali e non da piante come sulla terra), formate da 10 colonie di individui per mq, che si insediano e proliferano i pesci, specie quelli pregiati, necessari alla sopravvivenza di un’attività umana come la pesca.Proprio la stretta interconnessione fra tutela dei fondali e tutela della pesca mostra l’importanza di un progetto come questo.

Corallo.7 [4]

Cosa viene chiesto ai pescatori?
Poche e semplici azioni.

Le prime sono post-impatto, cioè quelle che si compiono appena tirato a bordo il pescato, quando ci si accorge di aver compiuto un danno, perché c’è stata la cattura accidentale (bycatch) di pesci non commerciabili o di organismi bentonici.

In questo caso si raccomanda di buttare in mare entro 30 minuti i pesci non commerciabili, evitando di schiacciarli, e gli eventuali residui di elementi bentonici  che, specie se staccati con pezzetti di roccia, possono ricadere perpendicolarmente e ristanziarsi.
E’ importante che il rilascio avvenga nello stesso luogo dello strappo, perché questi organismi gradiscono vivere insieme come testimonia la presenza delle foreste.
Poi ci sono le azioni di manutenzione che sono insite nella stessa gestione di un’attività di pesca responsabile, come evitare di insistere nelle stesse zone e recuperare gli attrezzi affondati.

Ma viene chiesto qualcosa anche alle amministrazioni che possono compiere azioni ad ampio raggio e maggiormente incisive, come l’istituzione di zone protette.

ventaglio-corallo [5]

Il dibattito col pubblico ha messo in evidenza l’inadeguatezza di una legislazione europea pensata per multinazionali operanti principalmente in tratti di mare ampi come gli oceani e che, calata nei nostri mari, soffoca qualsiasi attività, come ha rilevato il sindaco Vigorelli, e sono state espresse anche le difficoltà dei pescatori locali che vengono danneggiati  dalla stratificazione di divieti e limitazioni in cui è difficile districarsi subendo spesso multe e sequestri.

E’ emerso il timore che da questo progetto possano giungere altri divieti, ma la dottoressa Bo ha sottolineato che invece, proprio da un progetto innovativo come questo, che ha usato un robot per scandagliare i fondali, può venire l’indicazione di un nuovo modo di individuare le zone da proteggere realmente.
Sarebbe una modalità di tutela ambientale effettivamente mirata, migliore della generica interdizione a qualsiasi attività umana in ampie zone di mare.

Certamente sarebbero da proteggere da qualsiasi intervento umano la zona a sud di Palmarola dove c’è una ricca foresta di gorgonie, quelle ad ovest di Palmarola e di Ponza dove ci sono ricche di foreste di corallo nero e quella intorno alla Botte dove ci sono foreste di gorgonie e corallo nero.

Gorgonie [6]

Ad una specifica domanda sul rapporto fra il progetto e il piano dei SIC (Siti di Interesse Comunitario) per le nostre isole, la dottoressa Bo ha risposto che, sebbene lo studio non sia relazionato al piano SIC, la precisione con cui il progetto ha consentito di localizzare zone ad alto interesse, da proteggere da qualsiasi impatto umano, può suggerire una modalità operativa per tracciare un piano particolareggiato di tutela del nostro mare tirandolo fuori dai divieti generalizzati e diffusi che costituiscono il quadro della legislatura europea.