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E andavamo tutti alla Caletta. (3). Il Bar Tripoli
Il Bar Tripoli era l’istituzione per eccellenza, era “il bar”, il punto di ritrovo, d’agglutinazione o come si sarebbe potuto dire in periodo di moti carbonari il luogo dove si faceva l’Italia e si cospirava contro il regime. Che poi di cospirazione ce ne doveva essere ben poca se confrontata all’impegno di rifare l’Italia e anche gli italiani. Foto ‘storica’ del caffè Tripoli (1929) con didascalia: entrambe tratte da “Ponza mia” Si discuteva d’Italia ma era di Ponza per Ponza e con Ponza. Di e per è facile capirlo ma “con” è un po’ meno chiaro, per chi non conosce l’isola. Quel bar era il biliardo, il solo, unico indiscusso biliardo dove migliaia di mani in migliaia di sere hanno fatto rotolare colorate sfere bianche, rosse e blu in goriziana a stecca, a boccette… consumando non solo il panno verde ma intere giornate mentre facevano e disfacevano per “fare l’Italia”. “Tripoli bel suol d’amore”, e mai nome era tanto appropriato quando nel 1911 iniziò l’avventura in quel grande “scatolone di sabbia” chiamato Libia. Quando sono arrivato la prima volta a Ponza non lo sapevo ancora, ma solo cinque anni dopo, con una laurea in tasca da geologo e una moglie al mio fianco, sbarcavo in quel suol d’amore per lavorare al Ministero dei Lavori Pubblici di Tripoli. Mamena Di Monaco per me è e rimarrà sempre il Bar Tripoli e con lei tutti i ricordi che mi hanno permesso di far crescere quell’amore per Ponza che non si è mai affievolito. Algida, un nome, una garanzia potremmo dire. Il rito del cremino estivo, il mio primo cremino dell’estate a Ponza, si compie al Bar Tripoli.
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Riconosco nella foto n° 1 (anche in copertina), da sinistra : Ermenelgido Colonna (nonno di “Gildo”, il dentista), Tommaso Tricoli (nonno di Tommaso, il direttore delle Poste), Sebastiano Spignesi, una turista e “Mamena” (la titolare del caffè Tripoli).