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Risposta sul dialetto (2). Sintesi e ricomposizione

di Sandro Russo
I bambini e il dialetto [1]

 

– Pur’a casa toia dicìte ’i ppreghiere primm’i mangia’?
– No, no… mamma mia sape cucina’ bbuone!

.

Che si parli finalmente del dialetto sul sito sarà certamente una buona cosa, come sostiene Alessandro (Sandro) Romano, eppure pensando all’intera gamma dei commenti letti recentemente e ad alcuni messaggi scambiati con gli amici co-redattori, mi resta in bocca un retrogusto amaro, come di un’occasione persa o di un’enormità di tempo sprecato.

È stata Rita Bosso, nel suo commento, a nominare la parola misteriosa ‘editing’.

Sul sito la revisione del materiale in arrivo si è sempre fatta, prima di pubblicare, a cura della Redazione; non credo che questo costituisca un mistero o una scoperta per chicchessia.

Al suo meglio, l’editing è un processo di miglioramento del testo finalizzato a depurarlo da refusi, errori di ortografia, ripetizioni o incongruità varie, effettuato con il consenso e la collaborazione dell’Autore, al quale sempre, in ogni caso, spetta l’ultima parola.

Nella maggior parte dei casi si stabilisce un rapporto di fiducia tra gli Autori e la Redazione che si nutre anche di suggerimenti e stimoli reciproci. Spesso alcuni contributi hanno una tale carica di intensità e di ‘visione’ che sarebbe un vero peccato non mettere nella luce migliore… E questo può essere ottenuto senza stravolgimenti di sorta, con gradimento di ambo le parti coinvolte nel processo creativo, ovviamente in minima parte per opera dell’editor, agente più che altro come catalizzatore e focalizzatore; in gran parte per merito dell’Autore.

Non è un caso che il termine americano ‘editing’ abbia fatto fatica ad entrare in Italia e ad essere accettato dagli Autori più autoreferenziali, ma ora nell’editoria italiana non c’è Autore, non c’è casa editrice che non si avvalga del lavoro umile e oscuro, di questa figura inapparente ma indispensabile.

Dal grande al piccolo, anche nel sito questo accade; con l’italiano in misura minima, ma soprattutto con il dialetto che non avendo – come si è detto – regole precise e codificate, ha richiesto un impegno e un’attenzione di gran lunga maggiori.
Quel che spesso mi sono trovato a consigliare ad amici e corrispondenti “non ponzesi” alle prese con le difficoltà del dialetto è stato di leggere ad alta voce lo scritto, che a volte non si riconosce “con gli occhi” ma “ad ascoltarlo” risulta quasi per miracolo del tutto comprensibile.

Ha scritto Alessandro Romano nel suo articolo sull’argomento (leggi qui [2]): Lasciando le regole grammaticali all’italiano, occorre scrivere fonemi in grado di riprodurre più fedelmente possibile il suono della lingua parlata”.

A questa regola – che ovviamente non poteva essere stata concordata quattro anni fa quando abbiamo cominciato a lavorare in tal senso – ci siamo fondamentalmente conformati.
E molti punti fermi sono stati raggiunti…

Nessuno sul sito ha mai proposto aggregazioni di consonanti simili a un codice fiscale – per esempio per rendere l’italiano: ‘Preparati!’ non abbiamo mai sostenuto la forma ceco-polacca appr’par’t! ma sempre quella di maggior buon senso apprepàrete!
Nessuno ha spregiato la ‘e’ muta quando sembrava utile e appropriata.
In molte situazioni – è vero – si sono preferite le tronche perché il criterio di leggere la parola a voce alta forniva in questo modo il risultato migliore. Non ci è sembrato per esempio che scrivere puorte e sanghe costituissero una resa migliore rispetto a puort’ e sang’.

Su altri punti che neanche i detrattori più accesi mettono in discussione sembra ci sia accordo, come con gli articoli “il” “la”: ’u mare, più ‘ponzese’ di ’o mare (più ‘napoletano’); ‘a mamma. Gli articoli indeterminativi ‘un’ ‘una’ saranno invece ’nu (’nu puòrt’) e ’na (’na matina).

C’è abbastanza accordo sugli accenti (’i màmmeta… ’i sòreta…); pensati soprattutto per i non ponzesi (curiosi del dialetto). Gli infiniti del dialetto fa’, durmi’, piglia’ – per ‘fare’, ‘dormire’, ‘pigliare’, sono altri casi di tronche senza discussione…

C’è accordo anche su molte particelle: ’na palatell’i pane (una palatella di pane); p’a via (per la via), d’a via (dalla via), p’a priezza (per la contentezza); su troncamenti ed elisioni varie: so’ ghiut’a’ casa soia (sono andato alla casa sua); d’a gnora mia (dalla mia suocera), ‘questa’, ‘questo’ (’sta nuttata, ’stu ’uaglione).
Po’ (troncamento italiano per poco: “A parlare ponzese siamo bravi tutti, a scrivere un po’ meno”, come nell’ultima Epicrisi di Sandro Vitiello) in ponzese significa ‘poi’: po’ aggie ditt’…

Molte di queste cose sono già state scritte e ripetute (leggi qui [3]) per chi ha avuto la pazienza e l’umiltà di andarle a rileggere.

Ora sembra che si cominci da capo – per questo dicevo all’inizio sento amarezza e sensazione di aver perso tempo – perché a qualcuno sono venuti ’i turcemiént’i panza per il ponzese che si scrive sul sito: una resipiscenza tardiva, direi, dopo quattro anni che si va avanti in questo modo, ‘pubblicamente’ non contestato.

Si ricomincia da capo, se si delegittima e demotiva il lavoro di chi in tutti questi anni disinteressatamente ha cercato di fare ordine e chiarezza chiedendo collaborazione a destra e a manca; quelle che sono venute – segnatamente da Franco De Luca e Luisa Guarino – sono citate e sono state rispettate.

Non si ricomincia da capo, anzi si fa tesoro dell’esperienza acquisita, se si contemperano la lezione dei “padri fondatori” con le ragioni di chi la scrittura del dialetto tutti i giorni l’ha tra le mani, senza fa’ scazzella ma con l’obbiettivo di trovare una sintesi e una ricomposizione.

Un “Convegno sul dialetto ponzese” – perché no? – ma nel frattempo, mica possiamo solo mandarci ‘messaggi vocali’ su whatsapp..!?