di Sandro Russo
I riti degli altri.
Questi scritti non vogliono essere una trattazione completa dei riti messi in atto per solennizzare la morte e la memoria; sono più semplicemente una testimonianza di esperienze vissute in giro per il mondo, in soggiorni o viaggi che mi sono trovato a fare. Soprattutto in Sri-Lanka dove ho vissuto in maniera continuativa dal 1999 al 2001.
È un paese molto particolare, in cui quattro religioni convivono in sostanziale concordia tra loro (anche se non è stato sempre così); il paese è a maggioranza buddhista (70 %) ma vi sono rappresentate, in misura del 10% ciascuna, anche le altre religioni (islamica, cristiana cattolica e induista). Per dire, Negombo, vicino alla capitale Colombo, è il luogo dove si fermò papa Wojtyla nel 1995 durante il suo viaggio in Asia.
Matara invece, la città dove ho vissuto, è sulla costa sud-occidentale dell’isola.
Per uno scritto sul cimitero di Matara uscito qualche tempo fa sul sito, leggi qui.
Immagine del Cimitero di Matara (Sri-Lanka). Ricorrente il simbolo buddista della ruota della vita
Non è facile avere accesso alla cultura e ai riti della morte presso altre comunità, perché sono temi difficilmente partecipati agli estranei e piuttosto ‘difesi’.
Molte cose abbiamo imparato in Sri-Lanka, vivendo nello stesso posto nel corso degli anni, prendendo parte alle diverse attività, alle feste, ai ricevimenti di nozze e, quando accadeva – perché rappresenta un momento importante nella vita del villaggio – alle cerimonie funebri.
Con il tempo e una maggiore confidenza derivata dallo spartire momenti lieti e meno lieti, abbiamo conosciuto un po’ meglio le loro tradizioni e idee su un argomento così delicato.
Le anime morte
Le anime uscite dal corpo – ci hanno spiegato – sono spaventate e indecise, come quando ci si trova in una terra sconosciuta. Esse tendono a tornare nella loro casa, tra le persone e le cose cui sono abituate. Vanno incoraggiate perciò a prendere atto del cambiamento e della loro nuova dimensione, e a lasciare la casa. È per questo che per tre giorni almeno, non si devono chiudere le finestre; se trovasse tutto chiuso, l’anima non potrebbe uscire e trovare la sua strada, nel cerchio delle vite. Esse non sono legate troppo al corpo; sono gli affetti a trattenerle e gli oggetti e il luogo che meglio avevano conosciuto in vita. Anche le anime che si sono separate dal corpo su una strada, o in ospedale, è a casa che tornano. E qui, nella casa, bisogna evitare gesti o rumori che possano trattenerla, ora che un ciclo si è concluso e un altro deve cominciare. Perciò i monaci raccomandano di non piangere o gridare, e di evitare i rumori della vita quotidiana. Così, per quanto grande sia la pena della perdita, non ci saranno mai gesti scomposti e urla di dolore; il dolore sarà contenuto e sottotono: questa è la regola.
Nella casa della persona scomparsa non si deve cucinare, finché il funerale non è avvenuto; parenti, amici e vicini provvederanno per il cibo e le bevande.
E’ sempre il bianco, il colore del lutto; dalle bandierine sulla strada, ai paramenti, alle vesti dei partecipanti. Anche la strada che dalla casa conduce al cimitero è cosparsa di sabbia bianca, per tutto il percorso.
Intorno alla bara i parenti stretti del defunto sono seduti a terra. Per l’ultimo addio essi si prostrano con il capo a toccare la terra e chiedono perdono per qualunque mancanza possano aver compiuto nei confronti del loro congiunto in vita.
Il saluto viene fatto con le mani chiuse a pugno, a significare che essi non hanno niente da dare al defunto, perché niente di questa vita potrà a lui servire per il viaggio che va ora a intraprendere.
In casa, nel posto dove era appoggiata la bara, viene accesa una lampada che viene mantenuta per tre giorni: è un ricordo, un faro e un esorcismo.
I buddisti seppelliscono o anche inceneriscono i loro morti. In quest’ultimo caso, abbastanza infrequente, vengono preparate delle pire funebri molto elaborate e costose, che solo poche famiglie possono permettersi.
I cimiteri possono essere quello grande, in città, oppure degli spazi dedicati, lungo le spiagge o tra i campi; qualunque posto, in realtà, anche lungo la strada o nel cortile di casa.
Un cimitero di villaggio proprio alle spalle della spiaggia, con la simbologia inerente: le scritte bianche (il colore del lutto), la colonna spezzata. Il cane intanto se la dorme all’ombra
I parenti stretti, subito dopo la cerimonia abbandonano il cimitero; essi dovranno entrare in casa dalla porta posteriore; lasciare i vestiti all’ingresso e lavarsi.
Dopo la cerimonia funebre, nella casa si tiene un pranzo cui partecipano anche amici e parenti, a significare che nonostante la mancanza, la famiglia continua ad essere unita e a spartire il cibo, così come ha fatto per il dolore.
Sarà un membro anziano della famiglia a ringraziare coloro che hanno partecipato e ad invitarli a tornare nelle loro case.
In termini più prosaici, nei tre giorni che la salma viene esposta, gira per casa tutta la gente del villaggio; si consuma molto arrak (il brandy locale derivato dalla fermentazione del succo estratto dal fiore della palma da cocco)) e ai tavolini disposti intorno alla casa, illuminata a giorno dai riflettori dall’organizzazione delle pompe funebri, si beve e si gioca a carte per tutta la notte. A grande dolore si risponde con sbronze colossali (!).
Al settimo giorno dall’inumazione viene tenuto un’altra cerimonia (daané in sinhala; almsgiving in inglese (alms: elemosine) che consiste in doni e cibo per i monaci che a loro volta li distribuiranno ai poveri; le elemosine così elargite saranno messe nel conto dei meriti del defunto.
Alcune piante del commiato e della devozione buddista
Plumeria alba – Fam. Apocynaceae. Questi alberi nodosi sono caratteristici di tutti i luoghi di culto – templi, cimiteri, detti temple flower o, in singalese, aralyia – ma si trovano un po’ dovunque, anche lungo le strade. I fiori sono intensamente profumati
Fiori e foglie di Plumeria rosea. Seppure meno profumate rispetto alla varietà alba, anche le varietà rosea e rubra sono diffuse ai tropici
Ninfee (in alto) e fiore di loto (Nelumbo nucifera – Fam. Nelumbonaceae; Nimphae spp. – Fam. Nympheaceae) – Leggi qui
La pianta del loto nasce da acque fangose ed emerge in superficie con un lungo stelo che termina con un bocciolo e poi un fiore di particolare bellezza. Di notte il fiore si chiude e torna sott’acqua, per riemergere all’alba. Il loto è uno dei più antichi simboli floreali, sacro alle religioni buddista e induista con sfumature diverse. Simboleggia la perfezione e il risveglio alla vita spirituale. La simmetria del fiore rappresenta l’ordine del cosmo e viene utilizzata come modello per la realizzazione di mandala.
Il ‘fiore di Buddha’: Couroupita guaianensis, Fam. Lecythidaceae (albero delle palle di cannone, cannonball tree, dalla forma dei grossi semi. Sacro alle religione induista e in Sri-Lanka anche alla religione buddhista, per la somiglianza del fiore con la testa del serpente che protesse Buddha l’illuminato
Pira funebre secondo il costume singalese. Il corpo è nella bara e un baldacchino di fantasia ricopre il tutto; non brucerà che quasi alla fine della cerimonia. Vengono esplosi mortaretti e girandole di fuochi d’artificio.
Niente di comparabile con la sacralità delle pire funebri viste in India, a Varanasi (Benares) sul Gange (nella prossima e ultima puntata)…
[Le piante e i modi del commiato e della memoria. I riti degli altri (3) – Per il (4): leggi qui]
Gli articoli precedenti:
Le tradizioni nostrane e ponzesi, dal punto di vista botanico (1)
Le piante del commiato e della memoria, miti e leggende (2)