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Tuttogamberi (2)

di Adriano Madonna

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 per la prima parte, leggi qui [2]

 

Anche i gamberi, come gli altri crostacei, come gli insetti e come tutte le classi in cui si dividono gli artropodi, presenta una sorta di scheletro sui generis, sostanzialmente diverso da quello degli invertebrati: questi ultimi, infatti, posseggono una “impalcatura” interna che sorregge muscoli e organi. I crostacei, invece, presentano una struttura esterna, un vero e proprio contenitore, che prende il nome di esoscheletro (scheletro esterno).

Altra importante caratteristica dell’esoscheletro dei crostacei è il processo della muta: stagionalmente, infatti, il carapace deve essere cambiato, proprio come quando un essere umano cresce oppure ingrassa e deve cambiare il vestito con un altro più grande.

crostaceo [3]

Come avviene la muta? Quale processo ne sollecita l’origine? Alla base della muta c’è la produzione di un ormone detto ecdisone, che induce l’animale a produrre un cuticola nuova sotto quella preesistente. Quest’ultima si divide in pezzi e viene assorbita (più esattamente, viene digerita), per essere conseguentemente eliminata. A questo punto, la vecchia cuticola lascia spazio a quella nuova, ma la sostituzione non è immediata: ci sono crostacei che impiegano più o meno tempo in funzione di diversi parametri, tra cui quello nutrizionale (ci sono cibi che contengono quantità diverse di carbonato e fosfato di calcio), quello ambientale (acque più o meno ricche di sali di calcio) etc. Fatto sta, che quando un crostaceo (nel nostro caso un gambero, soggetto primario della nostra chiacchierata) si trova a metà dell’opera, ovvero quando ha lasciato il guscio vecchio e ne sta formando uno nuovo, è molle e indifeso e si trova in un momento di grande vulnerabilità: non dimentichiamo, infatti, che proprio l’esistenza del carapace, corazza naturale, è un sistema di difesa contro certi competitori.

Si è osservato che in questa fase molti crostacei si nascondono per sfuggire ai predatori e l’aragosta è uno di questi: scende in profondità, si nasconde in anfratti difficilmente accessibili e si nutre prevalentemente di cibo contenente carbonato e fosfato di calcio. Osservando delle aragoste in cattività, è stato osservato che non disdegnano neppure le conchiglie delle cozze, che sgranocchiano in grande quantità per… rifarsi l’armatura.

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Composizione del carapace
Il carapace di un gambero, è costituito, al pari di tutti gli altri crosatacei, da cellule specializzate dette cellule tricogene, che, a loro volta, producono altre cellule, le cellule ghiandolari dermiche. Sono proprio le secrezioni di queste ultime che determinano la costruzione dello strato epidermico duro, la cuticola, costituente il carapace. Questa si divide in tre strati: uno interno, detto endocuticola, un secondo intermedio, denominato esocuticola, e, infine, quello esterno, la epicuticola.

Possiamo aprire una parentesi e riflettere sul fatto che il carapace dei crostacei, così com’è fatto, ricorda molto la conchiglia dei molluschi, anch’essa formata da tre strati, e ciò ci dimostra che, attraverso vie dirette e indirette, gli organismi viventi, anche quelli filogeneticamente più lontani, in un certo senso sono tutti “collegati” e ciò ci porta a considerare con una certa importanza quella teoria che vuole un primo, unico organismo nella storia della vita, da cui, attraverso milioni di anni di evoluzione, hanno avuto origine tutte le specie viventi del mondo.

Ritorniamo, comunque, alla cuticola degli artropodi, per aggiungere che essa è costituita per il 30-50% di chitina, una sostanza semirigida e flessibile (in funzione dello spessore) simile alla cellulosa delle piante. Le molecole di chitina si uniscono e formano delle fibrille che, a loro volta, formano degli strati diversamente orientati per comporre una superficie ben resistente agli urti e alla compressione (anche qui troviamo delle assonanze con la funzione della conchiglia dei molluschi).

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Nello strato intermedio, l’esocuticola, troviamo diverse proteine tra loro legate e sono proprio questi legami proteici a conferire durezza alla cuticola. Nei crostacei come i gamberi (e i granchi) si assiste a un ulteriore processo di indurimento della cuticola grazie alla deposizione di carbonato e fosfato di calcio nell’endocuticola e nell’esocuticola. Specifichiamo che lungo il caracapce di un gambero o di un granchio ci sono zone più dure e altre meno dure e ciò dipende dalla quantità di calcio che interviene nella struttura della cuticola: ad esempio, negli arti, che sono sottili e flessibili, così come negli uropodi (le palette costituenti la “coda” dei gamberi), la presenza di calcio è minore rispetto al primo tratto del carapace, che copre il capo dell’animale. All’interno della cavità del corpo, poi, sporgono delle protuberanze calcificate e dure in cui si inseriscono i muscoli e che prendono il nome di apodemi.

L’apparato circolatorio
Il nostro liquido vitale e di molti animali, in particolare i vertebrati, è il sangue. Molti invertebrati, invece, tra cui i crostacei e, quindi, i gamberi, posseggono l’emolinfa, il cui flusso nell’apparato circolatorio è regolato da un cuore uniloculare. Questa parola stranissima significa che il cuore è costituito da una sola cavità. Esso è spostato verso l’alto, nella parte superiore rispetto all’asse longitudinale del gambero.

Subito al di sotto delle arterie dorsali c’è l’intestino, che appare come un condotto scuro che va dallo stomaco (situato anteriormente all’altezza del capo) all’estremità posteriore, dove c’è l’ano.

apparato circolatorio del gambero [6]

Il sistema circolatorio dei gamberi, così come quello degli insetti, è di tipo aperto: l’emolinfa affluisce in una cavità, detta emocele, in cui sono contenuti gli organi vitali dell’animale, che si “bagnano” semplicemente di sangue, a differenza di quanto si osserva nel sistema circolatorio chiuso, in cui il sangue arriva a pressione e vengono così ottimizzati gli scambi gassosi. Il flusso di sangue verso l’emocele avviene tramite grandi arterie, poi l’emolinfa torna al cuore, esattamente al seno ventrale, e di qua giunge alle branchie, cede anidride carbonica, assume ossigeno e, attraverso i vasi branchiali efferenti, raggiunge il seno pericardico. E’ interessante notare che il cuore dei crostacei non è una pompa premente, bensì aspirante: infatti, è proprio quando si decontrae che, dilatandosi, aspira emolinfa dal seno pericardico.

E adesso, qualche dato curioso: nei gamberi la frequenza cardiaca dipende dalla temperatura ed è regolata da un complesso di nove cellule. La frequenza in un grosso gambero di circa mezzo chilo, come un’aragosta, un astice o una grossa magnosa, raggiunge le cento contrazioni al minuto. La pressione generata da ogni battito del cuore raggiunge circa 13 mm di mercurio (la nostra pressione massima normale si aggira attorno ai 130 mm di mercurio).

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Come si riproducono
I gamberi, come molti crostacei, hanno sessi separati (sono organismi dioici), ma è molto difficile dire di un gambero molto giovane se sia un maschio o una femmina, perché le strutture sessuali in genere si differenziano dopo che siano avvenute diverse mute.

Mentre in alcuni crostacei i maschi posseggono un pene e la fecondazione è interna, i gamberi, sia quelli di acqua dolce sia quelli di acqua salata, inseminano la femmina attraverso appendici addominali trasformate in organi copulatori (pleopodi) e la fecondazione avviene nel momento in cui vengono emesse le uova.

Spesso la femmina porta le masserelle di uova attaccate alle appendici ventrali, insistendo in questa azione protettiva sino alla schiusa, da cui nasce la larva natante nauplius (o nauplio). A seconda delle specie di crostacei, si può avere un secondo stadio larvale, in cui la larva successiva è la zoea, con un ulteriore sviluppo in un terzo stadio larvale, costituito dalla mysis (o larva misidiforme) e dalla postlarva. Alcune specie di gamberi incubano i nuovi nati per l’intero periodo larvale, liberandoli solo alla stato di postlarva o addirittura allo stadio giovanile.

Terminiamo qui il nostro viaggio tra i gamberi: abbiamo detto l’essenziale, ma su questi crostacei la biologia ha tutt’altro che terminato di scoprire i segreti più nascosti. Di certo, tra una decina d’anni se ne saprà molto di più. E’, dunque, di buon augurio per voi e per me darvi un futuro appuntamento per vedere che cosa ci sarà di nuovo sull’argomento. A risentirci!

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[Tuttogamberi (2) – Fine]

Dott. Adriano Madonna, biologo marino, EC Lab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”


Bibliografia

C. Agnisola, Fisiologia degli organismi marini, Università di Napoli Federico II;
Mitchell, Mutchmore e Dolphin, Zoloogia, Zanichelli;
A. Poli, Fisiologia degli animali, Zanichelli;
G. Ciarcia e G. Guerriero, Lezioni di biologia animale, Università di Napoli Federico II;
O. Mangoni, Lezioni di biologia marina, Università di Napoli Federico II;
C. Motta, Organismi marini, Università di Napoli Federico II;
Palma Simoniello, lezioni di anatomia comparata dei crostacei, Università di Napoli Federicoi II;
A. Madonna, Colori in fondo al mare, Edizioni Caramanica;
Hill, Wyse e Anderson, Fisiologia animale, Zanichelli;
Wehner e Gehring, Zoologia, Zanichelli.