Ambiente e Natura

I pesci e lo stress (1)

di Adriano Madonna

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Che cos’è lo stress? Tutti gli esseri viventi ne soffrono? Anche i pesci? Una risposta ad ognuna di queste domande e qualcosa di più.

Con il termine “stress” si intende una risposta dell’organismo a stimoli di varia natura. Non è facile, quindi, dire se lo stress sia un fenomeno patologico oppure solo fisiologico. Secondo Selye (Hans Selye, 1907 – 1982, medico austriaco noto per i suoi studi sullo stress), è essenzialmente una risposta dell’organismo a qualunque tipo di richiesta. Lo stesso Selye, per distinguere la causa dall’effetto, ha definito stressor l’agente scatenante e stress response o semplicemente stress l’effetto risultante. Quest’ultimo comporta una serie di mutamenti nella struttura e nella composizione chimica dell’organismo: una vera e propria sindrome di adattamento, quindi, indicata dalla sigla SGA (Selye 1936).

Hans Selye

(Hans Selye)

Ai primi del Novecento, Cannon evidenziò che non solo le alterazioni dell’omeostasi, ma anche l’avvertimento di situazioni potenzialmente dannose riesce a mobilitare tutte le difese dell’organismo per far fronte a un evento probabile in tempi brevi, con produzione di adrenalina e l’attivazione del sistema simpatico.

Ancora Seyle, nel 1950, definì la risposta allo stress come “la somma di tutte le risposte fisiologiche attraverso le quali un animale tenta di mantenere o di ristabilire il normale metabolismo in opposizione a forze fisiche e chimiche”.

Wendelar Bonga, nel 1997, definì lo stress come “una condizione in cui l’equilibrio dinamico dell’organismo animale, chiamato omeostasi, è minacciato o disturbato dall’azione di stimoli intrinseci o estrinseci, chiamati stressori, i quali, da un lato producono un effetto che minaccia o disturba l’equilibrio omeostatico, dall’altro promuovono una serie di risposte comportamentali e fisiologiche compensatorie e/o adattative, che permettono all’animale di superare il problema”.

Se, però, lo stress è intenso e cronico, l’animale può perdere le sue capacità adattative e, nella migliore delle ipotesi, accuserà una crescita corporea ridotta, una resistenza molto minore agli agenti patogeni e una grande difficoltà nel riprodursi. Nella peggiore delle ipotesi, lo stress intenso e cronico porta alla morte.

In ogni caso, con il termine stress non si indica solo una situazione svantaggiosa e di mancato benessere, bensì ogni momento in cui un animale necessita di una quantità ingente di energia per far fronte a una sollecitazione estrema. Ad esempio, un leone che, nascosto tra le alte erbe della savana, si prepara ad aggredire una gazzella in corsa, è sottoposto a uno stress, poiché necessita di una grande quantità di energia per mettere in moto al massimo il proprio apparato muscolare, con una pronta risposta del sistema endocrino: infatti, i veloci segnali delle cellule nervose deputati a innescare la contrazione muscolare si coniugano con la secrezione di adrenalina da parte delle ghiandole surrenali. L’adrenalina raggiunge il fegato attraverso il circolo sanguigno e lo sollecita a liberare glucosio, che andrà a “carburare” il muscolo, conferendogli la quantità di energia necessaria a sostenere la risposta meccanica.

Nella gazzella, che deve contrarre i muscoli in una corsa estrema per sottrarsi agli artigli del leone, accade la stessa cosa.

inseguimento

Stress è anche la pratica riproduttiva di quasi tutti gli esseri viventi: ad esempio, pensiamo alle energie che deve spendere un piccolo uccello per “costruire” un uovo che magari è pari a poco meno della metà del suo peso corporeo.

Tutto ciò è definibile come stress.

Le tre fasi dell’SGA

Nell’SGA (la sindrome di adattamento di Selye) si distinguono tre momenti: la pronta reazione all’agente scatenante, la resistenza e l’esaurimento della risposta.

Quando lo stress si prolunga nel tempo, si osservano tre fenomeni ricorrenti: un’attività delle ghiandole surrenali che ne comporta l’ingrossamento, la riduzione dei linfonodi, della milza e del timo e, a volte, sanguinamenti di stomaco e duodeno oltre ad altri fenomeni, come diminuzione della massa corporea, alterazioni della temperatura etc., perché nello stress vengono coinvolti diversi organi e apparati, come il sistema nervoso (in particolare l’ipotalamo), il sistema immunitario e quello endocrino.

Ci occuperemo in particolare di quest’ultimo, con speciale attenzione alla risposta del sistema endocrino dei pesci quando sono sottoposti a stress.

In linea generale, possiamo asserire che lo stress genera la produzione dell’ormone CRH (corticotropin-releasing-hormone), che rilascia la corticotropina. Questa, una volta entrata in circolo, va a stimolare la produzione degli ormoni surrenali, in particolare del cortisolo (ricordiamo che il cortisolo, della categoria dei glucocorticoidi, è un ormone steroideo, quindi prodotto dal colesterolo. Essendo liposolubili, gli ormoni steroidei possono attraversare la membrana plasmatica e raggiungere i recettori proteici situati nel citoplasma delle cellule bersaglio).

CRH stimola l’ipofisi anteriore a rilasciare l’ormone adrenocorticotropo ACTH, che, agendo sulle ghiandole surrenali, induce queste ultime a produrre diversi ormoni steroidei, a loro volta agenti su organi e cellule bersaglio, come sui linfociti e sulle cellule dello stomaco e del duodeno.

Ciò spiega come forti stress possano comportare importanti effetti immunosoppressori.

Vari tipi di stress nei pesci

In genere, i pesci possono essere sottoposti a stress di varia natura. Tra i più importanti ricordiamo:

– Esposizione a fattori ambientali avversi
– Mancanza di cibo
Aggressione da parte di predatori

I primi due tipi di stress si riferiscono in particolare ai pesci in allevamento.

spigole in allevamento

In tempi recenti, a causa del riscaldamento delle acque dovuto al global warming, molti pesci del bassofondo, come le specie costituenti la cosiddetta criptofauna (blennidi, gobidi, pomacentridi, alcune specie di sparidi etc.), di solito stanziali nella prima fascia del piano infralitorale, devono sopportare temperature molto elevate, ben al di sopra di quelle normali (ricordiamo che il cosiddetto strato mescolato risente moltissimo della temperatura atmosferica), e quindi sono sottoposte a stress.

Un secondo tipo di stress attualmente osservabile per le specie ittiche di bassofondo è dato dalle acque limacciose dovute al riversamento in mare e nelle acque interne di grandi quantità di terra. La diminuzione della superficie di assorbimento data dalla forte cementificazione, infatti, fa sì che le acque piovane affluiscano in mare trasportando terra da colline e campagne. Il terriccio si deposita sui piccoli organismi bentonici di cui le specie ittiche costiere normalmente si nutrono e queste vengono a trovarsi in una situazione di scarsità di cibo. Ma c’è di più: il terriccio in sospensione ad un certo punto precipita e va a coprire alghe e piante acquatiche, impedendo loro una corretta azione di fotosintesi, con il risultato di acque ipossigenate. Tutto ciò, ovviamente, provoca stress nei pesci, costretti a vivere in un ambiente difficile.

mare-inquinato

Per quanto riguarda le aggressioni da parte dei predatori, possiamo asserire che queste sono in netto aumento per l’affluenza in Mediterraneo di specie aliene, provenienti da altri mari, come i barracuda, giunti nelle nostre acque dal vicino Oceano Atlantico, attraverso Gibilterra.

barracuda

La colonizzazione delle acque nostrane da parte di specie aliene provoca un aumento dei competitori delle specie autoctone e un continuo stato di allarme che muta le abitudini di vita di molti pesci mediterranei e, pertanto, può essere decisamente considerato uno stress.

Vediamo, adesso, come tutte queste situazioni stimolano il sistema endocrino.

I pesci e lo stess (1) – continua

 

Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università di Napoli “Federico II”

2 Comments

2 Comments

  1. silverio lamonica1

    21 Settembre 2015 at 15:29

    Una volta il porto di Ponza veniva dragato periodicamente e una chiatta, trainata da un rimorchiatore, si dirigeva verso il largo a sversare i materiali di risulta del fondale del porto stesso. Da diversi anni questo “dragaggio” non viene più fatto. Forse per non coprire le alghe nelle profondità marine?

  2. Adriano Madonna

    22 Settembre 2015 at 08:09

    Rispondo a Silverio Lamonica

    Caro Silverio, ignoro perché il dragaggio del porto di Ponza non si faccia più. I motivi possono essere diversi: incuria, mancanza di fondi e, infine, motivi ecologici. Su questi ultimi, però, esprimo i miei dubbi, ricordando che, specialmente in passato, sono stati devastati tratti interi di posidonia per motivi anche futili, non tenendo conto che la posidonia è un dono che Dio ha fatto al Mediterraneo: la posidonia, infatti, è un formidabile produttore di ossigeno e di energia. Un metro quadrato di prateria di posidonia può arrivare a produrre circa 20 litri di ossigeno al giorno, a tutto vantaggio dell’ambiente acquatico e, quindi, della vita che vi alligna.
    Credo, dunque, che le ragioni del mancato dragaggio debbano essere altri. Colgo l’occasione per chiedere a Silverio di informarmi, nel caso in cui venga effettuato un prossimo dragaggio. Mi piacerebbe, infatti, andare a impiastrarmi di fango per cercare qualcosa di interessante tra gli organismi della cosiddetta endofauna che verrebbero portati alla luce.

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