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Piante e frutti perduti, ritrovati, fantasticati… (1)

di Sandro Russo

 

Vorrei riproporre in più puntate, con minime modifiche e aggiornamenti, un mio scritto originale comparso qualche anno fa su “O”, il giornale on-line di “Omero”, Scuola di Scrittura in Roma.
Nella riedizione inserirò, ove possibile, riferimenti alla nostra isola.
Se a qualcuno dei lettori verrà in mente qualche frutto del passato ora scomparso, potremo farne ricerca insieme, approfittando del tam tam del web.
Buona lettura.
S. R.

 

L’asino viene lasciato con la briglia sciolta. Il percorso è sempre lo stesso e l’animale particolarmente abitudinario. Ma stavolta durante la salita, le sue froge sensibili fiutano qualcosa, nell’aria rarefatta del primo mattino. Scuote la testa e cambia direzione all’improvviso.
Yaah… Yaah… Il vecchio – un nome a caso: Luiggino – prova a richiamarlo indietro, ma quello prosegue sul nuovo sentiero che ha preso.
Yaah… Mannaggi’… Ormai non resta che seguirlo, e andarlo a riprendere. Che sarà stato mai? L’afrore di una femmina, forse?

Ponza Aug '81 Foto di Guy Migliaccio. Resized [1]

Qualche passo più avanti il vecchio lo raggiunge e guarda con una certa curiosità. La testa dell’asino emerge dalla macchia mediterranea che ha colonizzato quasi del tutto i vecchi terrazzamenti. Sta brucando qualcosa, dai rami più bassi di un albero, sembra. Il vecchio si avvicina. Sono delle piccole mele rosa, appiattite, di una forma che non ha mai visto prima… Ne prende qualcuna e l’assaggia.
Mmm… Però! ‘U sapore è bbuòn’ – Dà una pacca di incoraggiamento all’asino… Intanto si è segnalato il posto. Ci tornerà nella stagione adatta per prenderne delle marze per gli innesti. Ha giusto un melo, vicino casa, che fa dei frutti aspri e poco saporiti; questa pianta spuntata chissà da dove potrebbe sostituirlo…

Asino che ride copia [2]

Nasce così, per scoperte occasionali, per curiosità personale, più di rado per un progetto che si delinea con maggior precisione nel corso degli anni, la volontà di recuperare il passato attraverso le infinite varietà di piante che una volta arricchivano i frutteti, gli orti delle case, i chiostri dei conventi.
La modernizzazione delle colture e le leggi del mercato, insieme alla preferenza per le tipologie più facili da conservare, hanno portato alla progressiva scomparsa di moltissime varietà di frutta…
Delle centinaia di varietà di fichi, mandorli, meli, peri, nespoli, sorbi citati nei testi antichi, soprattutto romani e rinascimentali, non si ritrova traccia alcuna.
Ma senza andare così indietro nel tempo, nei trattati di frutticoltura ottocenteschi si contavano un centinaio di varietà di meli; già all’inizio del secolo scorso si era passati a circa cinquanta, per arrivare alla produzione odierna basata, per l’80 %, su tre sole varietà.

Certo può sembrare lontano da noi un mondo dove ancora esistono gli asini; dove per la frutta si aspettano le stagioni giuste, senza andare al supermercato: fuori posto nella nostra era tecnologica. Un mondo, che non cammina con la velocità di internet, ma ancora al passo lento degli asini per impervie salite e ripide discese… Ma a ben guardare la distanza è solo apparente.
Ci sono punti in cui questi universi si intersecano: lontano dalle città, dal mondo dei “brand” e dall’effimero televisivo.

Brand.4 [3]
In casali sparsi per la campagna come monasteri dei secoli oscuri, dove la memoria viene recuperata e tramandata; in isole affollate nella fascia costiera e solo per pochi mesi, con i sentieri dell’interno in gran parte dimenticati… In luoghi dove si osserva il tramonto per capire il tempo che farà l’indomani; dove si guarda al cielo, ai comportamenti degli animali, nell’indistinta sensazione “di cose che noi umani non potremmo immaginarci”…

In questo mondo, parallelo e contemporaneo al nostro, è importante riconoscere e conservare le piante; tramandare tecniche colturali e memorie di antichi saperi, di cui ad ogni generazione si perde una parte consistente.

Ogni volta ci si stupisce, ma è attraverso le variegate e settoriali conoscenze da parte di pochi appassionati, che si nutre la memoria del passato: la speranza di un mondo non completamente omologato.

Archeologia arborea [4]
La copertina del libro di Livio e Isabella Della Ragione: “Archeologia arborea. Diario di due cercatori di piante” – 1997; Ediz. ali&no – Perugia. Gli autori sono padre e figlia; lui antropologo, lei agronoma. Livio è scomparso qualche anno fa; Isabella continua la sua opera (http://www.archeologiaarborea.org/ [5])

Un libro che parla di frutti dimenticati, gustosi anche solo per il suono delle parole che li nominano, e affascinanti per storie ricordate o sentite raccontare, per la ricerca che ha portato al loro recupero, a volte tra le mura dei conventi o nei frutteti ormai incolti di cascinali abbandonati…

I nomi delle piante, poetici e misteriosi, fantastici o legati alla vita di tutti i giorni; a volte derivati dal colore del frutto (mela ‘bianchina’, mela ‘verdona’, mela ‘roggia’) o dalle caratteristiche della polpa (pera ‘briaca’, pera ‘ghiacciola’, mela ‘rosa in pietra’, ‘ciriegia amarina’) o delle caratteristiche del fiore e delle foglie (“fiori di pesco magni petali a corolla porporina”; mela ‘a fiore nero’; mela ‘fogliona’); altre volte con riferimento alla zona di produzione (mela ‘fiorentina’, mela ‘conventina’) o all’epoca della maturazione (mela ‘rossa al presepe’, pera ‘luglia’). Molti i nomi di santi, per la cui ricorrenza il frutto è maturo…

Interessante la storia del ‘fico degli zoccolanti’, dal frutto di dimensioni eccezionali, così denominato per essere coltivato nel convento dei frati ‘zoccolanti’ di Gualdo Tadino (PG), che dal legno del fico ricavavano i loro zoccoli. E ancora… Le ritualità dimenticate del raccolto, quando il contadino lasciava almeno tre frutti sulla pianta: uno per la terra, uno per il sole, uno per la pianta stessa, che si meritava un dono per aver così duramente lavorato.

Perduti i nomi, le forme e i sapori, come dimenticati dai più i tanti modi di riprodurre le piante: per talea, per propaggine, per innesto… Le varie tecniche per ‘innestare’ gli alberi, fondamentali per riprodurre identiche le caratteristiche di una pianta su un’altra, con essa compatibile, che funge da portainnesto. Similarità “assoluta” che la riproduzione per seme, ad esempio, non permette.
 Pomona [6]

Le ‘Pomone’
In altri tempi, una funzione di catalogazione e raccolta avevano le ‘pomone’.
La Pomona Italiana’, di Giorgio Gallesio è la prima e più importante raccolta del genere realizzata in Italia, da cui sono tratte alcune delle immagini e didascalie successive [Giorgio Gallesio: ‘Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi’ (Pisa 1817-1839), edizione ipertestuale a cura di Massimo Angelini e Maria Chiara Basadonne, Ist. Marsano, Genova 2004; www.pomonaitaliana.it [7] ].

Pomoma italiana di Giorgio Gallesio. 1817 [8]

Giorgio Gallesio (1772 – 1839), ligure, fu funzionario pubblico e diplomatico (partecipò al Congresso di Vienna per la Repubblica di Genova); successivamente lavorò sempre con funzioni pubbliche per il Regno sabaudo. Pur senza una formazione specifica botanica ma da appassionato di genio e dotato di ottime capacità di osservazione e di esperienza pratica, mise a punto un’opera di rilievo per i tempi che gli richiese tempi lunghissimi per la preparazione e non era ancora completata alla sua morte

Pomona è la dea romana dei frutti (Patrona pomorum)Vertumnus (v. in seguito) la divinità etrusca dei giardini e della frutta, capace di cambiare aspetto con il volgere delle stagioni (‘vertere’: mutare, cambiare). Nel sincretismo religioso romano Vertumno corteggiò a lungo Pomona e alla fine si unì a lei.

Mela.Bis [9]

Immagine tratta dalla ‘Pomona’ di Gallesio e, nel riquadro piccolo, foto della mela ‘panaja’, di grosse dimensioni, schiacciata ai poli; denominata anche ‘mela pagliaccia’

Susina [10]

Immagine e (parziale) didascalia della susina ‘verdacchia’, sempre ripresi dalla ‘Pomona’ di Gallesio

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