Iniziamo una collaborazione con la testata on-line www.libernews.it, diretta da Claudio Scalambretti, finalizzata allo scambio reciproco di stimoli, informazioni e commenti. Dalla scorsa di un video proposto sul sito, la ‘nostra’ Rosanna Conte ha tratto spunto per una sua personale elaborazione. Le molte analogie con gli usi e costumi della nostra isola saranno a tutti evidenti.
La Redazione
Il Monte di Procida fa parte del panorama che dalla piccola finestra della mia casa procidana potevo ammirare.
A sinistra c’era il bellissimo monte Epomeo che col suo profilo suggeriva l’andamento collinare dell’isola d’Ischia e a destra c’era il Monte, una piattaforma ondulata che si innalzava dal mare con in cima abitazioni che si susseguivano in tutta la sua lunghezza. Verso l’isolotto di San Martino, all’estremo nord, c’era una ferita nel corpo compatto del Monte: era la discesa che portava giù, al porto dell’Acqua Morta.
Quando nei tardi pomeriggi primaverili o estivi stavo alla finestra, potevo seguire l’imbrunire, dal tramonto a ovest, dietro l’Epomeo, all’accensione graduale delle luci sul Monte, ad est, corredato dal lampeggiare del faro dell’isolotto di San Martino.
Anni dopo mi è capitato di usufruire del porto dell’Acqua Morta come unico approdo alla terraferma. Allora facevo la pendolare per Procida e le condizioni del mare non permettevano i collegamenti con Pozzuoli o Napoli, così mi affidai con pochi colleghi ad una delle piccole imbarcazioni di linea che per l’occasione dirottò per il Monte.
In quel momento pensai: – Molto meglio per i contadini procidani arrivare al Monte, anche con il cattivo tempo, che per i contadini ponzesi andare a Palmarola.
Con queste premesse, ho gustato con piacere il video che ripercorre per grandi tratti, partendo dall’antichità fino ad oggi, le vicende di questo estremo lembo della zona flegrea, di cui è stato l’estremo avamposto a settentrione e a cui si accede per un’unica strada che sale da Torregaveta.
La sua storia è strettamente legata all’ampio territorio che va da Cuma al lago di Averno, a Bacoli, Miseno, Baia, Torregaveta, senza tralasciare Procida. A quest’isola, il Monte è stato strettamente legato almeno dal 1200, quando ne assunse il nome, per proseguire nei secoli successivi, in particolare dal ‘500 in poi, quando offrì rifugio agli isolani che fuggivano davanti ai saraceni, fino al 1907, quando se ne distaccò, diventando comune autonomo.
I montesi sono stati per molto tempo solo contadini, perché erano coloni procidani che avevano lì le loro terre, ma a fine ‘800, con l’affermazione della marineria procidana, intrapresero la strada del mare. Anch’essi emigrarono in America (ne abbiamo trovato uno ad Annapolis, nell’articolo di Ralph De Falco (leggi qui) e come i ponzesi, hanno mantenuto i legami col paese di origine, specie nelle occasioni religiose.
Per noi ponzesi è il 20 giugno, la festa di San Silverio, il momento del re-incontro, per i montesi è il 15 agosto, la festa della Madonna Assunta.
Anche lì la protettrice è portata in processione a benedire il mare, ma va al largo su una motovedetta invece che su un peschereccio, come da noi.
Non mancano i fuochi che sono sempre stati goduti in tandem con i procidani i quali la sera del 15 agosto attendono dall’isola lo spettacolo pirotecnico e alla fine esprimono il loro giudizio con calorosi applausi, anche se dal Monte non possono sentirli.
Guarda qui il video su YouTube:
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Monte di Procida (Monte ‘e Proceta o ’Ngopp ’u Monte in dialetto napoletano) è un comune italiano di 13.326 abitanti della città metropolitana di Napoli in Campania.
Il suo territorio rappresenta la parte più estrema della penisola flegrea, un promontorio dei Campi Flegrei prospiciente l’isola di Procida, da cui è separata da uno stretto tratto di mare (canale di Procida).
Al largo, in direzione ovest si trova l’isolotto di San Martino: un piccolo isolotto unito al promontorio da un ponte e da un tunnel [notizie estratte da Wikipedia]