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La posta dei lettori. La tradizione della bigiuète

a cura della Redazione
Postaa [1]

 

Il nostro lettore Enrico Calzolari dà seguito al suo commento di qualche giorno fa: leggi qui [2]

Vi ringrazio della pronta e precisa risposta e invio un pezzo che ho predisposto per il nostro giornalino locale, su cui ho già inserito la memoria che mi avete inviato sulla Vostra isola.
Il nostro legame storico con la Vostra isola lo troviamo nel racconto del Boccaccio, Decamerone, Giornata Seconda, Novella Sesta, in cui si narra che Madonna Beritola, partita da Ponza su una nave dei Marchesi Malaspina “con buon vento, tosto infino nella foce della Magra n’andarono, dove smontati, alle loro castella ne salirono” (in proposito, sul sito, leggi qui [3] e qui [4] – NdR).
Il vento buono per arrivare a Luni e nel golfo della Spezia era il libeccio. Con lo scirocco si arrivava al centro della Corsica (Aleria) e di qui si saliva spinti dal Libeccio.
Per questa ragione geografico-meteorologica il Portus Lunae apparteneva al Dipartimento Marittimo Romano di Capo Miseno.
Cordiali saluti.
E.C.
Attinia-equina [5]

La tradizione delle bigiuéte

di Enrico Calzolari

Nel “Vocabolario del dialetto lericino” di Colombo Bongiovanni si trova il termine bigiuéta per indicare l’anemone di mare (Anemonia sulcata) o attinia (dal greco “raggio di luce”) che si ritrova poi nella voce òcio de cùo per indicare l’anemone rosso detto anche ‘pomodoro di mare’ (Actinia equina di Linneo). In questo modo si ritrova anche nel “Vocabolario Lericino” di Zenobia Brondi.
Bongiovanni, collegandosi semanticamente con la radice greca di attinia, spiega l’origine del termine lericino dal francese bijou, cioè “gioiello” per la bellezza delle sfumature dei colori di questi animali marini.
Nessun accenno dell’attinia si trova nel“Vocabolario di Telaro”.
Nel “Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda” di Mario Puddu, si trova indicata come orticata o ortziada, o ortigiada a seconda dei luoghi di provenienza nell’isola.
Nel Sud della Francia viene chiamato ortie de mer, in rapporto alla declamata qualità urticante. Nell’isola di Ponza sono chiamate curnicule, e gli studiosi locali ritengono che l’etimologia dialettale sia dovuta “probabilmente per la somiglianza dei tentacoli a tante sottili “cornicelle” (cioè piccole corna).

Durante la Seconda Guerra Mondiale, nella fase della presenza tedesca, i pescherecci lericini non portavano pesce, perché erano stati adibiti a dragamine, avendo il fasciame in legno. Issavano a poppa la bandiera nazista e furono anche mitragliati dagli aerei alleati. Andando al molo non si trovava pesce, ma soltanto si potevano acquistare le bigiuéte che, essendo urticanti, andavano trattate con i guanti. Venivano fatte fritte, oggi diremmo insemolate e fritte, ma molto spesso, in quei frangenti bellici, mancava la farina. Cessate le ristrettezze belliche, sul mercato lericino del pesce non si trovarono più queste prelibatezze del mare. Ancora oggi è difficile trovarle, anche se vengono allevate nella Laguna di Orbetello ed in Sardegna, ove sono oggetto di esportazione di valori d’uso del “Genius Loci”, oltre che di offerta tipica della cucina di mare dell’isola.

Scorrendo i vari menù dei ristoranti delle coste italiane si nota come l’offerta gastronomica spazi dalle attinie insemolate e fritte, agli spaghetti agli anemoni di mare, alle frittelle di anemoni di mare. Non essendo facili da trovare, perché si riproducono soltanto in acque limpidissime e non inquinate, le attinie si possono acquistare anche surgelate.
La parte del leone nell’offerta gastronomica degli anemoni la fa ora la Sardegna, ed a seguire la Sicilia e la Liguria del Ponente.
Nello Slow Food, si potrà riprendere questa tradizione del “Genius Loci”, visto che abbiamo perso la notorietà internazionale della zuppa di datteri, così apprezzata nel Medioevo da essere offerta come vassallaggio agli imperatori Federico Barbarossa e Carlo IV di Boemia e Lussemburgo.

Attinia-sulcata.Tris_ [6]

Immagine di copertina: Actinia equina (conosciuta come ‘pomodoro di mare’)
Immagine qui sopra: Actinia sulcata (in dialetto ponzese ‘curnicule’)