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La posta dei lettori. La tradizione della bigiuète
Il nostro lettore Enrico Calzolari dà seguito al suo commento di qualche giorno fa: leggi qui Vi ringrazio della pronta e precisa risposta e invio un pezzo che ho predisposto per il nostro giornalino locale, su cui ho già inserito la memoria che mi avete inviato sulla Vostra isola. La tradizione delle bigiuéte di Enrico Calzolari Nel “Vocabolario del dialetto lericino” di Colombo Bongiovanni si trova il termine bigiuéta per indicare l’anemone di mare (Anemonia sulcata) o attinia (dal greco “raggio di luce”) che si ritrova poi nella voce òcio de cùo per indicare l’anemone rosso detto anche ‘pomodoro di mare’ (Actinia equina di Linneo). In questo modo si ritrova anche nel “Vocabolario Lericino” di Zenobia Brondi. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nella fase della presenza tedesca, i pescherecci lericini non portavano pesce, perché erano stati adibiti a dragamine, avendo il fasciame in legno. Issavano a poppa la bandiera nazista e furono anche mitragliati dagli aerei alleati. Andando al molo non si trovava pesce, ma soltanto si potevano acquistare le bigiuéte che, essendo urticanti, andavano trattate con i guanti. Venivano fatte fritte, oggi diremmo insemolate e fritte, ma molto spesso, in quei frangenti bellici, mancava la farina. Cessate le ristrettezze belliche, sul mercato lericino del pesce non si trovarono più queste prelibatezze del mare. Ancora oggi è difficile trovarle, anche se vengono allevate nella Laguna di Orbetello ed in Sardegna, ove sono oggetto di esportazione di valori d’uso del “Genius Loci”, oltre che di offerta tipica della cucina di mare dell’isola. Scorrendo i vari menù dei ristoranti delle coste italiane si nota come l’offerta gastronomica spazi dalle attinie insemolate e fritte, agli spaghetti agli anemoni di mare, alle frittelle di anemoni di mare. Non essendo facili da trovare, perché si riproducono soltanto in acque limpidissime e non inquinate, le attinie si possono acquistare anche surgelate. Immagine di copertina: Actinia equina (conosciuta come ‘pomodoro di mare’) 2 commenti per La posta dei lettori. La tradizione della bigiuèteDevi essere collegato per poter inserire un commento. |
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Oltre alla terminologia dialettale delle attinie sono interessato a sapere se esiste da Voi una terminologia dialettale per le cicerchie, il cui uso esisteva certamente anche nelle isole del golfo di Napoli (oltre che nelle Marche).
Circa la novella del Boccaccio mi sono dimenticato di aggiungere il passo in cui si parla della navigazione nella tratta Genova – Lerici, oltre che nella tratta Ponza Lunigiana.
Il Boccaccio era stato infatti molto a Napoli per motivi di commercio, ma si era spinto nei suoi viaggi anche a Nord: “e con l’ambasciatore di Currado e con la balia, montato sopra una galeotta bene armata, se ne venne a Lerici, dove (fu) ricevuto da Currado…”.
Avete prove di una venuta del Boccaccio a Ponza?
Saluti.
E. C.
Pensando che Vi possa interessare Vi giro la risposta che ho ricevuto da Carloforte (antica colonia genovese)
Buongiorno,
a Carloforte l’anemone di mare viene chiamato belorbua, mentre il pomodoro di mare pumota de mo. Sulla cicerchia non saprei dirle, mi informo e le faccio sapere.
Cordiali saluti
Anna Maria Garbarino
Posso inviare le voci corrispondenti a Lerici e Spezia
a) bigiuéta (Lerici)
b) oci de cuo (Lerici)
c) picossin (La Spezia)
Ringrazio per l’attenzione.
E. C.
Breve aggiunta del 5 agosto.
A Carloforte le cicerchie sono chiamate bacelli oppure scixerchie (la x si legge come la j di jean)