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Comm’è bbuono ‘u pane. (1)

di Martina Carannante
Pane.1 [1]

 

“Il pane rappresenta il cibo per eccellenza.
Il fatto che sia il risultato di una cooperazione ne fa l’emblema ideale
della comunità umana che ha bisogno della solidarietà per vivere”

[Da un recente articolo (su Repubblica dell’8/7/2015) di Marino Niola,
professore di Antropologia dei Simboli all’Università di Napoli che ha come tema
il pane, la sua importanza e il consumo (in file .pdf alla fine del presente articolo]

 

Dietro suggerimento di Giuseppe Mazzella, ho fatto un’indagine sui panifici nella zona di Santamaria. Ho chiesto informazioni a chi quel mestiere lo ha fatto e visto fare, come Giuseppe Mazzella (‘i Bunaria) e sua sorella Giovanna Mazzella o anche Dario Mazzella figlio di Generoso Mazzella, una famiglia di panettieri.
Infatti il panettiere a Ponza è un lavoro che va ‘per discendenza’, un po’ come il notaio o il dottore; solo che oggi, specialmente da noi, ce ne sono sempre meno.

Giovannina, in una lunga chiacchierata, mi ha raccontato tante storie – non solo relative al pane – che mi hanno incuriosita e sarei stata ad ascoltarla per molto tempo.

Interno forno di Bonaria [2]

Fotografie. Part. [3]
La ‘famiglia’ è diventata “panettiera” con il tempo e tuttora ha in gestione l’unico vapoforno di Santamaria.
Bonaria aveva sposato un giovane di nome Silverio, molto facoltoso per l’epoca, (‘apparteneva’ a Peppe ‘i ‘Miliano, sopra i Conti), uomo con molte proprietà e appezzamenti di terreno.
Bonaria non accettava l’idea di dover continuare a coltivare la terra, così dopo averne parlato in famiglia si presentò l’occasione di poter rilevare una licenza di “attività panaria” appena consegnata dalla famiglia di Gennaro Mazzella detto Sigaretta (padre di Silverio e Giuseppe i famosi capitani della Linea di Navigazione Mazzella).

La legge prevedeva un panificio per un certo numero di abitanti: la località di Santamaria poteva averne due; così nel 1937 Bonaria entrò in possesso della licenza per fare il pane.
Dal vecchio panificio, oltre alla licenza, prese anche gli arnesi utili per lavorare: le tavole su cui mettere il pane, la mattera per impastarlo e la panara, una pala di legno che serviva per infornare il pane.

Mattera [4]

Mattera per panificazione casalinga

Il marito di Bonaria, che avrebbe dovuto gestire il forno insieme a lei, fu richiamato alle armi (siamo alla seconda guerra mondiale); la moglie, così come moltissime altre donne, rimasta sola, doveva gestire famiglia e lavoro.
Bonaria faceva il pane di notte con l’aiuto di una cugina, Pompea, e del fratello Silverio; la mattina andava nella terra per coltivare e trarre qualche altre piccolo profitto, lasciando la figlia Giovanna dalle suore che si trovavano lì vicino e insegnavano alle giovani a ricamare. Il periodo della guerra fu durissimo, in ogni parte del mondo, e anche a Ponza, seppure soprattutto a causa delle privazioni (alimentari e di ogni altro bene). In queste pagine abbiamo narrato altri racconti del periodo di guerra guerra e fatto un quadro completo di come si viveva sull’isola.

Il lavoro era tutto manuale e dal momento che non c’era neanche la corrente elettrica la lavorazione notturna era ancor più difficoltosa.
Non essendoci luce – arriverà durante gli anni ’50 – si lavorava al lume di petrolio; il padre di Giovanna creò un treppiedi per sostenere un lume a petrolio che mise in un angolo per irradiare di luce la stanza. Bisognava stare molto attenti a non farlo rovesciare perché oltre a perdere la luce e il petrolio, se esso cadeva sul pane o sulla farina, diventava tutto immangiabile.
Per guardare nel forno se il pane fosse cotto si accendevano delle canne che venivano introdotte al suo interno per fare luce.

Il forno era a campana, di pietra e mattonelle, ed alimentato a legna. Il fuoco all’interno di esso, veniva spostato in modo tale da irradiare di calore l’intera struttura.

Forno a legna x pane. Schema e spaccato [5]

Forno a legna per pane. Schema e spaccato

Man mano che la legna bruciava, veniva messa davanti l’imboccatura del forno; una volta arrivato a temperatura questa veniva tolta e con la panara vi si infornava il pane.

Un altro importante arnese da lavoro era la stufarola: un fusto di nafta a cui veniva tolto il coperchio. Nella stufarola veniva inserita la legna bruciata e chiuso il coperchio; una volta satura e il legno spento, essa veniva rovesciata a terra e si sceglievano i vari tizzoni. Con le carbonelle più grandi si cucinava, le più piccole, definita muniglia erano destinate ai rasieri.

braciere [6]

Il braciere: ’u rasiére

Spesso, soprattutto in periodo di guerra, le famiglie portavano dei sacchi in panetteria per farsi dare doie palate ’i muniglia per alimentare i bracieri d’inverno, oltre al normale acquisto di pane. A Giovanna toccava cernere la “muniglia” e riempiere le sacchette.

Ogni forno produceva circa 50-60 chili di pane, Bonaria faceva due infornate. Il periodo di massima produzione fu durante il periodo di presenza sull’isola dei confinati.

Indispensabile per fare il pane, così come adesso, oltre ad acqua e farina era ’u criscito, lievito madre, che serviva a far lievitare il pane.

Il lavoro iniziava intorno alle sei di pomeriggio, quando si metteva a fare’u criscito, dalle dieci di sera iniziava il vero e proprio impiego che si concludeva all’alba o lamattina presto, dipendeva dalla produzione.

Nella “mattera” si metteva acqua, sale e ’u criscito e si iniziava ad impastare; quando quest’ultimo era diventato liquido si metteva la farina. Si impastava a due per facilitare il lavoro.

Il pane tirato fuori dal forno [7]

 

Bibliografia essenziale

Sul sito: Mostar, Matvejević e i miei viaggi attraverso “Pane Nostro”, di Lino Catello Pagano (leggi qui [8]);
Profumi di una volta. I panielle ’e pane,  di Lino Catello Pagano (leggi qui [9]);

Per leggere l’interessante articolo di Marino Niola citato in epigrafe, ricco di riferimenti storici, antropologici ed etimologici (“la Repubblica” dell’8/7/2017, pag. 47) , apri il file .pdfDa La Repubblica. 08.07.2015. Marino Niola. Il Pane [10]

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